Capitolo 11

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Niente. Di latino, Antonio non ci capiva niente.
Era dalla prima declinazione - quel "rosa, rosae" che perseguita generazioni di studenti - che non sapeva proprio da dove cominciare: era come se quella lingua antica, apparentemente morta ma incredibilmente viva, si rifiutasse di rivelargli i suoi segreti.
E la cosa peggiore era che Laura, invece, di quei segreti se n'era appropriata immediatamente; le sue versioni erano perfette, i suoi esercizi di traduzione impeccabili.
Volendo lui avrebbe potuto chiederle aiuto, ma per la verità era troppo orgoglioso per ammettere la sua sconfitta: da quando quei due si conoscevano, infatti, si era innescato tra loro un meccanismo di competizione che vedeva mia sorella sempre davanti ad Antonio, perennemente prima e insuperabile.

***

Fu Laura, a ridosso dell'uscita delle pagelle invernali, a bussare alla sua porta.
《Ehi, come mai qui?》fece Antonio, vedendola comparire sull'uscio.
《Presto usciranno le pagelle e io mi sono accorta della tua media del quattro fisso in latino》rispose mia sorella, senza peli sulla lingua.
《Perché non mi hai detto niente?》aggiunse poi.
《Non lo so. Volevo farcela da solo. Forse》confessò lui.
《Allora fammi entrare e prendi il quaderno, la penna e il dizionario》ordinò lei.
Antonio la accompagnò dentro casa e la condusse in camera sua, dove il dizionario di latino "Castiglioni-Mariotti" troneggiava minaccioso sulla scrivania.
Laura prese una sedia e sfogliò il libro di testo, scegliendo una versione a caso.
Antonio si sedette vicino a lei.
《Ok, leggi la prima frase》gli fece.
《Vesper adventum noctis nuntiabat》lesse lui.
《Traduci》lo incoraggiò la prima.
Il secondo fece scena muta.
《Devi cominciare trovando il soggetto》gli consigliò l'una. 《Qual è il soggetto?》chiese poi.
《Vesper》indovino l'altro.
《Perfetto. Dopo devi trovare il verbo e capire se è transitivo e regge il complemento oggetto, o intransitivo e regge un altro complemento》continuò mia sorella.
《Nuntiabat》fece il piccolo Leonardi.
《Ecco, adesso dimmi: cosa regge nuntiabat?》
《Adventum?》
《Bravo, quindi che verbo è nuntiabat?》
《Transitivo, perché regge il complemento oggetto》
《E poi alla fine che cosa abbiamo?》
《Noctis》
《E sai dirmi cos'è?》
Antonio rimase in silenzio per qualche minuto.
《Genitivo, Antonio. Che complemento rappresenta il genitivo?》lo aiutò mia sorella.
Il ragazzino ci pensò su.
《Complemento di specificazione》rispose poi.
《Bravo, adesso traduciamo》lo incitò Laura, e presero a cercare le parole sul dizionario finché la frase non fu completa.
Lo stesso fecero con il resto della versione.
《Laura, posso chiederti una cosa?》domandò lui quando ebbero finito.
《Che cosa?》chiese lei.
《Perché ti riesce così facile il latino?》volle sapere il piccolo Leonardi.
《Perché è bellissimo》rispose mia sorella con naturalezza.

***

Un mese dopo iniziarono le Olimpiadi invernali di Albertville, in Francia.
A scuola ne parlarono a lungo maestre e professori, utilizzando parole come globalità, uguaglianza e apertura mentale: tutti concetti che nel Quartiere contavano come il due di coppe quando regna bastoni.
Ci affezionammo subito a queste gare, come avevamo fatto con i Mondiali di calcio, l'Eurovision Song Contest e il Festival di Sanremo, ma le Olimpiadi avevano origini che risalivano ai tempi dell'antica Grecia, come mi spiegarono Laura e Antonio.
《I Greci si sono inventati quasi tutto, a parte la televisione e internet》mi disse lei.
Ci dispiacque tantissimo quando si conclusero, anche perché nel frattempo era cominciata la Guerra del Kossovo, in Bosnia Erzegovina.
Ci eravamo illusi che dopo la caduta del Muro di Berlino i problemi per l'Europa fossero finiti: non era facile gestire un mondo libero, e le guerre ne erano la dimostrazione.

***

Nello stesso periodo scoppiò lo scandalo di Tangentopoli: un'inchiesta aperta dal magistrato Antonio di Pietro, il quale scoperchiò un universo di mazzette, accordi e alleanze che legava partiti politici, imprenditori, poliziotti corrotti e gente comune.
Quella mattina Miriam Castello, la professoressa di italiano e latino di Laura e Antonio, invece di tirare fuori i libri per fare lezione, prese il gesso e scrisse alla lavagna la parola CORRUZIONE a caratteri cubitali.
《Ragazzi, probabilmente avrete sentito spesso questa parola, negli ultimi giorni. Qualcuno sa cosa vuol dire?》esordì.
Antonio alzò la mano un attimo prima di Laura.
《Sì, Leonardi?》fece la Castello.
《Corruzione vuol dire che ci sono delle persone che fanno qualcosa di sbagliato sapendo che è sbagliato, ma lo fanno comunque perché gli conviene》rispose lui.
《Bravo, Leonardi. La corruzione c'è sempre stata, fin dall'Antichità. È stata combattuta, ma nessuno è mai riuscito a sconfiggerla, e sapete perché?》continuò la professoressa.
I ragazzini scossero il capo.
《Perché ci sono delle cose in ballo: soldi, interessi, promesse varie che fanno gola a un sacco di gente e rovinano anche gli animi più onesti》aggiunse lei. 《E non pensate che la corruzione stia soltanto tra le persone che contano. La ritroviamo anche nella vita di tutti i giorni, anzi, è soprattutto lì che si annida. E genera criminalità, malavita, violenza. È per questo che vi dico di non accettare compromessi nella vita, ragazzi, anche se si creeranno le condizioni. Non fatevi comprare, mai》concluse poi, lasciando tutti quanti in silenzio. Chissà in quanti di loro quel discorso aveva sortito l'effetto sperato. Oggi posso dire con certezza che la maggior parte dei ragazzi non l'ascoltò. A parte Laura e Antonio: era dai tempi del maxiprocesso che credevano nel potere della giustizia.
Da quel periodo in poi si erano convinti che se le cose si fossero potute aggiustare in grande - nella politica, in Sicilia - allora sarebbe potuto succedere lo stesso anche in piccolo, nel Quartiere.
A undici anni te la bevi, la storia della creazione di un mondo migliore.

***

Il 23 maggio del 1992 era un giorno come un altro: c'era appena stato l'Eurovision Song Contest e faceva un caldo che annunciava l'estate imminente.
Laura aiutava Antonio in latino, e la media di quest'ultimo si era rialzata; ai quadri di fine anno mancava poco tempo e non avrebbe rischiato la bocciatura.
Faceva quasi sempre bel tempo e noi ragazzi stavamo spesso all'aperto, che si trattasse di momenti di gioco o di studio: quando in casa faceva troppo caldo andavamo a fare i compiti al bar di nostro padre; lì c'era più fresco perché il ventilatore e le pale sul soffitto erano già entrati in azione, e poi c'era la radio accesa: le notizie non erano delle più allegre, tra gli andamenti della Guerra del Kossovo, gli arresti di Tangentopoli e l'omicidio del deputato palermitano Salvo Lima da parte della mafia, per questo noi aspettavamo sempre le canzoni: era l'unico momento di leggerezza che tutte le stazioni si concedessero.
Anche quel pomeriggio eravamo al bar; erano quasi le sei, ma con l'ora legale c'era ancora tantissima luce.
Laura e Antonio stavano traducendo una favola di Esopo dal latino all'italiano, io e Claudio svolgevamo degli esercizi di grammatica; alla radio c'era una canzone di Ligabue, si intitolava "Urlando contro il cielo" e ci piaceva tantissimo, la trasmettevano tutti i pomeriggi e noi la cantavamo in continuazione.
Quel giorno però non l'ascoltammo fino alla fine: venne interrotta verso le sei a causa di un'edizione straordinaria del giornale radio; alle 17:56, il tratto dell'autostrada A29 che collegava la cittadina di Capaci con Palermo era stato fatto esplodere nel momento in cui passava un'automobile con dentro il magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Era il 23 maggio del 1992 e noi bambini non riuscimmo più a studiare. Anche gli adulti rimasero alquanto sgomenti, non tanto dall'omicidio in sé - erano all'ordine del giorno nel Quartiere - ma dalla brutalità con cui era stato commesso.
In tutta la Sicilia ci furono fiaccolate in onore dei morti, alla testa di quella di Palermo c'era anche Paolo Borsellino, considerato l'erede naturale di Falcone.
L'ho immaginato con un'espressione strana, come se fosse consapevole di essere il prossimo.

                                  ***

Tra l'omicidio di Falcone e quello di Borsellino passarono cinquantasette giorni esatti: erano le 16:58 del 19 luglio e noi eravamo al mare dai parenti di nostro padre, vicino Bari.
Il magistrato antimafia, collega e migliore amico di Falcone, era andato a trovare sua madre, che abitava in Via d'Amelio; i mandanti dell'omicidio avevano fatto piazzare dell'esplosivo nel citofono. Tutto il palazzo saltò in aria.
Il fatto di essere in Puglia, in quel momento, diede l'impressione a me e a mia sorella di essere vicine al luogo della tragedia; ma Antonio era proprio in Sicilia, dai suoi parenti, e così Laura decise di chiamarlo.
Parlarono dell'omicidio di Borsellino e di quello di Falcone, avvenuto due mesi prima.
La ritrovai che aveva appena concluso la telefonata e piangeva. Le chiesi cosa avesse.
《È che ha ragione la vedova dell'agente Schifani. Loro non cambiano perché non vogliono cambiare》mi rispose.
Io sapevo che non si riferiva solo ai mafiosi, ma anche, e specialmente, agli abitanti del Quartiere.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora