Capitolo 51

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Nei giorni successivi Laura fu ricoperta di attenzioni e premure da tutti quanti: la nostra famiglia, i Santini, addirittura gli Sciarra, che s'erano presi il merito di aver capito per primi le sue condizioni.
Non volevamo che facesse sforzi, che si affaticasse, che si stancasse in alcun modo e per questo insistevamo nel fare qualsiasi cosa al posto suo; credevamo che le facesse piacere, e lei in un primo momento si sentì addirittura lusingata da questo nostro esserci messi d'accordo per sgravarla un po'; tuttavia pochi giorni dopo la cosa cominciò a darle fastidio, fino a farle perdere la pazienza.
《Sono incinta, non malata!》ci redarguì un giorno, dopo averci dato appuntamento al bar.
Da quel momento le nostre attenzioni si ridussero di molto, fino a scomparire.

                                  ***

Chiunque conoscesse mia sorella, faceva fatica, in quel periodo, a capire la vera causa del suo nervosismo, ossia se si trattava degli ormoni sballati della gravidanza o semplicemente del suo caratteraccio: in realtà era una sottile linea di confine tra le due cose.
Gli unici argomenti che la distendevano un po' erano i preparativi del mio matrimonio con Dario e il dottorato di Antonio.
Quando le raccontavo di avere l'impressione che la signora Sciarra preferisse di gran lunga lei a me, si metteva a ridere, dicendomi che se l'avesse conosciuta davvero sarebbero state sempre a litigare; io le davo ragione e ridevo a mia volta ad immaginare mia sorella e la mia futura suocera lanciarsi i coltelli reciprocamente.
Antonio invece le raccontava della guerra che gli faceva quotidianamente la madre da quando aveva cominciato il dottorato alla Sapienza: ogni giorno, quando andava via e quando rientrava a casa, la signora Rosa sfoderava i classici paragoni con Claudio, ricordando al giovane Leonardi che il fratello s'era fatto una posizione aprendo un'officina tutta sua e aveva formato una famiglia con Livia Di Stefano; il loro matrimonio si era infatti svolto poco dopo quello di Laura e Giovanni.
Mia sorella lo ascoltava con attenzione, mentre sedevano al bar, la mano appoggiata sulla guancia, il gomito piantato sul tavolo e gli occhi fissi sul suo interlocutore come se gli stesse leggendo dentro.
《Sono convinta che quando diventerai professore tua madre si starà zitta》decretava.
《Mia madre non sarà mai fiera di me. Se anche riuscissi a diventare professore ordinario di Letteratura Inglese e mi sposassi con Giulia, rimarrei sempre il suo più grande fallimento》sospirava lui.

                                  ***

Una volta, per sdrammatizzare, chiesi ad Antonio se mi poteva prestare sua madre per sguinzagliarla contro la signora Sciarra durante i preparativi per il matrimonio.
Metteva bocca su tutto: ogni volta che Dario e io dovevamo scegliere qualcosa, che si trattasse della tipologia di fiori o del numero di piani della torta nuziale, lei doveva dire per forza la sua.
Tutto quello che proponevo lo considerava o troppo dozzinale o troppo minimale; mi guardava dall'alto in basso, mi faceva sentire inadeguata e forse aspettava che facessi un passo falso per screditarmi davanti a Dario.
Ai suoi occhi ero un'intrusa, e non si faceva alcuno scrupolo a farmelo capire.
Per quanto riguardava l'abito da sposa, trovammo un accordo: lo avremmo fatto fare su misura da Anita Ricciardi, una sarta bravissima e amica della mia futura suocera, ma il modello lo avrei deciso io, nei minimi dettagli.
《Ti lascio completa libertà, cara, ma mi raccomando: che sia originale. Non sia mai che una Sciarra venga tacciata di copiatura》sottolineò.

                                  ***

Meno male che c'era Dario a stemperare tutta quella tensione: i momenti in cui eravamo io e lui da soli erano gli unici in cui riuscivo a respirare, anche perché ero sempre stanca, tra il matrimonio, la laurea e le idee da buttare giù per il nuovo romanzo che tutti si aspettavano che scrivessi.
Parlavamo della nostra vita, dei progetti per il futuro, di come sarebbe stata la nostra esistenza una volta che fossimo stati marito e moglie.
Avremmo avuto dei riti e delle abitudini: lui propose di farci portare la colazione a letto ogni week end fino a quando saremmo diventati genitori.
Riguardo il luogo dove saremmo vissuti e dove avremmo educato i nostri figli, era implicito che sarebbe stato in Prati, nella villa della sua famiglia.
Non osavo controbattere; era palese che non sarebbero potuti vivere nel Quartiere, dove sia i maschi che le femmine andavano incontro a destini diversi ma ugualmente ineluttabili: dopo aver sperato che entrambi non passassero dalle canne alle droghe più pesanti, e che si pigliassero almeno la licenza media, ai primi si augurava di trovare un lavoro e di formarsi una famiglia, che alle brutte era sfigata come quella di provenienza; con le seconde si doveva fare attenzione che non rimanessero incinte del primo che capitava, e che trovassero un marito che le mantenesse. Da dove provenissero poi, quei soldi, non importava.
All'argomento "figli" sorridevo e annuivo, fingendo serenità: da quando stavamo insieme non gli avevo mai raccontato di aver abortito a quindici anni. Non ne avevo il coraggio, ma nei giorni successivi dovetti trovarlo per forza.

                                  ***

Accadde che svenni durante uno dei nostri momenti di relax. Così, come una pera cotta.
Dario mi portò di peso in un bar del centro in cui mi fecero rinvenire facendomi annusare un po' d'aceto.
《Credo di essere incinta》gli dissi istintivamente.
《Era per questo che avevi una brutta cera negli ultimi giorni?》mi domandò.
《Per quello e per un'altra cosa che è successa molto tempo fa》sospirai.
《Cosa?》chiese.
Presi il coraggio a due mani e gli raccontai quella verità che mi ero tenuta dentro per troppo tempo.
《A quindici anni sono rimasta incinta di un ragazzo che non era il mio fidanzato. È successo così, per sbaglio, perché eravamo incoscienti, perché episodi simili nel Quartiere sono normali. È stata Laura a convincermi, perché all'inizio non volevo. Ho invidiato una mia amica che invece l'ha tenuta, la sua bambina, che adesso ha sei anni e vive a Londra. Io non sono stata coraggiosa e non lo sono neanche ora. Non valgo niente, e certe volte mi chiedo che cosa ci trovi in me...》confessai.
Dario mi mise due dita sotto il mento e mi sollevò il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi.
《Non devi dirle neanche per scherzo queste cose. Io ti amo, e voglio passare la vita con te, anche se non hai avuto una vita facile. Nessuno alla fine ce l'ha, neanche il più fortunato degli esseri umani. L'hai detto tu, avevi quindici anni e sognavi un'altra vita: una maternità non ci sarebbe potuta stare. Ma adesso non sei più da sola. Io ti starò vicino e saremo felici》mi rassicurò. Lo abbracciai forte: nessuno mi capiva come lui; sentivo che tra le sue braccia non mi sarebbe capitato nulla di male.

                                  ***

Il nostro matrimonio fu celebrato nella stessa chiesa dove si erano sposati i genitori di Dario, mentre il rinfresco venne fatto in uno dei ristoranti più esclusivi della città; Laura ci rimase malissimo quando scoprì che la signora Sciarra non l'aveva minimamente interpellata per occuparsi del catering, ma la mia preoccupazione era un'altra: che effetto le avrebbe fatto rivedere Davide, il suo ex, ormai sposato anche lui? Durante il pranzo scoprii che non le faceva né caldo né freddo: gli aveva presentato Giovanni, e lui la nuova compagna Beatrice, laureata all'Accademia di Belle Arti.
Anche Antonio e Giulia erano presenti, e lei mi confidò che alla fine del dottorato di lui avrebbero cominciato a parlare di nozze: il mio bouquet era infatti capitato in mano proprio alla giovane Serra.
Quando la festa finì, salutammo tutti e salimmo sulla macchina nuziale che ci portò fino a Villa Sciarra, dove era stata preparata la nostra stanza apposta per l'occasione.
Quella notte fui immensamente felice: cominciava la mia nuova vita, lontana dal Quartiere, dai suoi fantasmi e dai suoi legàmi viscerali; non pensavo al futuro, mi importava solo del presente.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora