2. Un incontro che mi cambierà

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Mi sveglio in una stanza bianca. Sento un bip frequente, sono un letto duro come mattoni quindi scomodissimo e i cuscini sono talmente poco imbottiti che è come se non ci fossero... Da questa descrizione deduco che abbiate capito che mi trovo in ospedale: fantastico! Inizio a strappare tutti i cerotti che prudono e cerco di mettermi in piedi, ma la testa gira e qualcuno mi spinge delicatamente giù. E' uno sforzo immane riaprire gli occhi, ma dopo un po' mi sacrifico esaurendo tutte le mie forze aprendo le palpebre. Vedo un uomo in camicia, ha i capelli ricci e neri come la pece e dello stesso colore scuro sono gli occhi profondi, ma senza la divisa medica che controlla i macchinari che mi circondano. 

«Chi sei?» Lo chiedo con un sospiro poiché una stretta improvvisa mi attanaglia le costole.
«Sono Michael, io ti ho portata qui». Respiro a fondo prima di riaprire la bocca,
«Cosa vuoi da me? Quanto ero vicina alla morte?» Lui si siede su una sedia di plastica facendola un po' scricchiolare.
«Non voglio nulla, eri messa parecchio male... Ricordi qualcosa?» Rispondo con il tono più duro che so usare, senza un apparente motivo,
«Sì, cosa ti importa! Perché non mi hai lasciato morire?!» Il bip accelera dandomi ancora più sui nervi. L'uomo mi posa una mano sulla spalla e poi mi rassicura,
«Calma, altrimenti ti farai ancora più male e ti sederanno nuovamente facendoti dormire per qualche altro giorno». 

«Da quanto sto qui?» Indago, lui fa spallucce e poi dice tra sé e sé «Ti ho ricoverata cinque giorni fa, ma non so quanto tempo sei stata in quel vicolo scuro e poco raccomandabile». Il suo tono si fa più duro sulle ultime parole come se volesse farmi la predica, ma chi si crede di essere?! 

«Mi hai salvato, non eri tenuto a farlo, grazie ma ora puoi andare!» E come se non avessi detto niente si alza e va a chiamare un'infermiera tozza. Quest'ultima senza esitazione mi rinfila gli aghi che ho strappato, lo fa con alcuna delicatezza, come se fossi un manichino privo di vita. Prima di uscire la donna con un cenno del capo e con un sibilo dice «Dottore» per congedare Michael. Curiosa, indago senza alcun doppio fine, solo per passare il tempo,
«Di quale parte del corpo ti occupi?» Lui risponde vagamente «Generale, chirurgia generale».
Passano alcuni minuti prima che la mia bocca emetta qualche suono,
«Posso andarmene?» Lui scuote la testa e poi aggiunge «No, ti dimetterò  tra due settimane, solo se tutto fila liscio. Hai due costole rotte e dato che non sei calma nemmeno quando dormi preferisco trattenerti qui, affinché tu possa rimetterti al meglio». Valuto l'opzione di restare immobile per tutto quel tempo e al solo pensiero mi annoio.
«Ma se per caso dovessi muovermi, ad esempio alzarmi da questo stupido letto, cosa potrebbe succedere?» Lui mi guarda sottecchi, evidentemente ha capito le mie intenzioni, è meno stupido di quanto credessi, anche perché gliele ho dette chiaramente,
«Beh le costole fratturate potrebbero perforarti qualche organo... Non mi costringere a sorvegliarti per tutto il giorno!» Non ne posso più e tento di urlare, ma quello che mi esce è un sospiro spezzato,
«Chi ti credi di essere?! Io sono solo una paziente e tu ora mi stai importunando, potrei chiamare la sicurezza solo premendo un pulsante!»
Michael si avvicina scuro in volto e mi sussurra all'orecchio «Dovresti essermi grata, nel tuo borsone c'era della droga e io non ho detto niente, ma prova a scappare e dirò tutto. Non potrai nemmeno usufruire della scusa che avrebbe potuta mettercela qualcun altro mentre eri sedata poiché questo posto è colmo di telecamere. Il tuo borsone guarda caso è nell'inquadratura migliore. E anche se dicessi che te l'ha messa qualcuno dopo averti colpito non ti crederebbe nessuno... Ora sto solo facendo finta di controllarti la ferita che hai in fronte e non ti sto affatto parlando della droga. Sai, meglio mettere le cose in chiaro». Si allontana dopo aver parlato, resto spiazzata: io bevo e fumo, ma non ho mai fatto uso di stupefacenti. 

Ritorna con la stessa infermiera tozza, però quest'ultima si blocca sull'entrata passando con un sorriso una siringa con un medicinale al medico dai capelli corvini. Dopodiché se ne va.
«Io non spaccio quella roba, tanto meno la assumo» Sussurro, lui mi somministra il farmaco e poi con un lieve sorriso annuncia,
«Va bene. Ti ho dato un sonnifero, così sarai tranquilla fino a domattina». Le palpebre si fanno quasi subito pesanti e io non mi oppongo tenendole aperte.

Ragazzi mi farebbe piacere cosa ne pensate! Ho dovuto cancellare lo sazio autrice per il wattys... Vi aspetto nei commenti ❤️

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora