32. La speranza è di carta

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Il sole fa capolino dalla finestra. Nonostante sia una fresca, ma non gelida, mattinata d'inverno, non sono dell'umore giusto. Mi bruciano gli occhi a causa delle lacrime che vogliono uscire forzatamente. Cerco di respingerle, stringo forte il lenzuolo al petto. Mi volto timorosa e do un'occhiata alle mie spalle: Thomas sta dormendo ancora. Ruoto su un fianco fissando nuovamente il muro e dando la schiena a quel felino che devo soddisfare contro voglia.
Cerco di racimolare attorno al mio corpo quanto più lenzuolo possibile, mi sento terribilmente nuda e vulnerabile. Alzo le ginocchia al petto sfregando delicatamente la guancia sul cuscino, quasi a simulare una carezza: una banale, calda, accogliente carezza alla quale mi ero abituata nuovamente a ricevere di tanto in tanto nella famiglia di Michael.

«Tutto bene?» Sobbalzo nel sentire quella voce, «Sì» sussurro, «Non credo» obbietta. Mi fa girare in modo tale da stendere la schiena sul materasso. Mi posa un dito appena sotto la palpebra, me lo mostra e compare una gocciolina, «Se stessi bene non piangeresti. Ieri sera non ti è piaciuto?»

«Certo che mi è piaciuto, stavo solo pensando» non avrei potuto usufruire della scusa dello sbadiglio perché non ci avrebbe creduto. Un pregio, che però nei miei confronti si rivela un difetto di Tom, è che è troppo astuto e per nulla credulone. «Voglio provare ad indovinare cosa tenesse occupata la tua mente... Stavi riflettendo sul tempo perso a cercare un ragazzo giusto per te, fino a quando non hai trovato uno affascinante come me?» Annuisco, un altro suo difetto è quello di avere un ego troppo grande, tale da diventare pian piano soffocante. Si posiziona a cavalcioni su di me, suoi occhi si incastrano fastidiosamente nei miei. Inizia a baciarmi, spero con tutta me stessa che si limiti ad un bacio a stampo per augurare il buongiorno, ma ovviamente sono un'illusa. Inizia ad abbassare lentamente il lenzuolo, la mia presa su di esso, già precedentemente forte, ora diventa ferrea. Con uno strattone presuntuoso mi sfila dalle mani il tessuto mettendo in mostra i miei seni. Per fortuna, qualcuno bussa alla porta prima che il mio corpo si possa scoprire ulteriormente. Lui con un grugnito di fastidio va ad aprire, annuendo varie volte alla persona che si trova davanti prima di tornare nuovamente da me.

«Mio padre vuole vederti, ma non adesso, tra mezz'ora in sala da pranzo. Quindi possiamo terminare quello che abbiamo cominciato» sta per rimettersi a cavalcioni quando rotolo sul bordo opposto del letto, quasi cadendo da quest'ultimo. Corro in bagno avvolta nel lenzuolo che ho tirato via dal giaciglio, «Devo farmi una doccia prima di fare colazione» giustifico in questo modo la mia azione repentina. Non mi volto perché ho paura dell'espressione che avrà dipinta in faccia.

Mi chiudo in bagno, la doccia dura pochissimo, tuttavia lascio l'acqua scorrere, così ho il tempo di scrivere tutte le informazioni utili alla polizia su un foglietto che consegnerò durante la giornata ad un agente in borghese. Finito di scrivere, chiudo l'acqua nella doccia e inizio ad asciugarmi i capelli. Infilo il foglio un po' umido nel reggiseno, mi guardo intorno, cavolo! Mi sono dimenticata di prendere i vestiti, sono costretta ad uscire dal bagno con indosso solo la biancheria, stringo forte la maniglia ed emetto un profondo respiro prima di aprire la porta.
Mi dirigo decisa verso l'armadio, lo apro e tiro fuori il primo mini vestito che trovo. Due mani forti si posano fameliche proprio sulla coppa che contiene la lettera. Gli poso la mia mano, piccola in confronto alla sua, e sposto un suo dito alla volta sulla mia vita, do un rapido sguardo al reggiseno, da cui, per fortuna, non fuoriesce nemmeno un microscopico lembo cartaceo. Sorride contro il mio collo, abbassa sempre di più le mani, sta per arrivare quasi al mio punto più sensibile, quando la porta scricchiola e compare l'omaccione che sta solitamente di guardia fuori dalla mia stanza,

«Vostro padre è impaziente» si blocca quando Tom lo scaccia con la mano, come si fa con una zanzara fastidiosa, poi se ne va. Perché in realtà per le persone come il ragazzo che ho di spalle contano solo tre cose: droga, alcol e soldi; il resto è pari ad un insulso insetto.
Il fiato di Thomas continua a farmi accapponare la pelle, ma non per la stessa emozione che provavo con Jake. Questa sensazione è insopportabile, se ne può fare volentieri a meno. «Dobbiamo andare» sussurra prima di allontanarsi solo un po', ma non abbastanza affinché io possa vestirmi senza sfiorarlo.

«Ieri sei stata formidabile nel farci recuperare i soldi perduti. Ho deciso quindi di premiarti: sarai al fianco di Tom per tutto il giorno, affinché tu possa comprendere al meglio il lavoro che ti spetta. Però se caso mai dovessimo aver bisogno che tu salga sul ring, tu dovrai farlo senza esitazioni, ti sta bene? O c'è qualcosa da chiarire?» Chiede il padre di Tom con voce da fumatore. «In realtà ci sarebbero due cose che vorrei variare. La prima è: svincolare Nicolas dall'accordo e ovviamente prenderei il suo posto. La seconda invece è: continuare a rubare per la città, ma solo la mattina, come ho fatto ieri, poi il pomeriggio starò vicino a Thomas. Siete d'accordo?» I miei occhi da cerbiatto prima si incastrano con prepotenza dentro quelli del capo, che sono piccoli ed arrossati, poi in quelli del figlio, che si gratta lentamente la gola pensieroso. Dopo qualche secondo mi concedono il loro assenso. Appena il padre esce dalla stanza, Tom si avvicina a me e indaga «Mi stai evitando?» Aggrotto le sopracciglia facendo finta di non capire, ma in realtà sono molto preoccupata per la delicatezza della situazione, «Non ti sto evitando. Solo che prima ero abituata ad uscire tutto il giorno ed ora, anche se questa villa è enorme, mi sento un po' soffocare, tutto qui». Il suo sguardo è ancora da felino sospettoso, quindi aggiungo «Questa sera la dedicherò a te, farò tutto quel che desideri». Gli compare in volto un sorriso d'oro, ma solo per i denti. Non mi pento di quel che ho detto, tanto comunque mi sarei trovata nel letto ad assecondarlo. «Ora devo andare». Senza ulteriori indugi mi dirigo verso lo stesso suv scuro di ieri, vi entro e immediatamente partiamo con una rumorosa sgommata.

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora