38. Sei stato tu?!

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«Allora ci sono novità?» Domando impaziente di sapere la risposta. Mi allaccio la cintura di sicurezza, la mia guardia del corpo incrocia il mio sguardo nello specchietto e sorride confermando le mie speranze, «Si, ci vorrà ancora qualche giorno, ma abbiamo abbastanza materiale per arrestare Thomas e John». Da parecchio tempo non mi sentivo così felice, finalmente la mia prigionia sta per giungere al suo tramonto per non vedere mai più l'alba.
«Finalmente, ma hai specificato bene che Ellie non c'entra nulla vero?»
«Certo, il mio lavoro lo eseguo perfettamente. I criminali al freddo e gli innocenti a casa». Freno il suo orgoglio con una semplice osservazione «Sì, ma dovresti imparare a velocizzare un po' il procedimento».

Ho un sorriso stampato in faccia quando Tom entra in camera, si toglie la maglietta e i pantaloni rimanendo così solamente in boxer. Sento il materasso incurvarsi leggermente e poi le coperte tendersi un po'. Mi volto verso di lui, che appena vede i miei occhi vigili chiede «Ma non eri stanca?» Annuisco, in realtà sono troppo eccitata per lasciarmi abbracciare da Morfeo,
«Ah, ho capito, volevi me... Quando mi hai detto di aspettarti a letto non intendevi dormire insieme, tu non hai proprio in mente di riposare». Ribadisco che lui pensa quel che in realtà vuole e non prova minimamente ad immedesimarsi nella mia persona per capire quel che intendo. Purtroppo non posso impedire a Tom di guastare un po' il momento di felicità in cui mi ero avvolta.

La mattina comunico la buona notizia ad Ellie che quasi si mette a piangere per la felicità e, ad esser sinceri, mi sto per commuovere un po' anche io.
In ufficio canticchio un po', spesso mi ritrovo lo sguardo di Tom addosso e mi chiede sempre come mai sono così felice, io rispondo facendo spallucce, non credo che sarebbe appropriato ammettere «Sono felice perché presto ti chiuderanno in carcere e, in parte, è stato anche merito mio che ho rubato dei documenti incatenanti».
«Sasha potresti prendermi delle cartelline? Stanno nel primo cassetto del mobile accanto alla libreria» annuisco e finalmente lui si fida di me tanto da farmi prendere dei documenti.

Inizio a rovistare nel cassetto, sono archiviati, il buon ordine alfabetico, trovo il mio cognome: Anderson. Mille domande mi riempiono la mente, e Charly non perde tempo a tormentarmi con il suo zampino. «Cosa ci fanno lì? Troppo strana per essere una coincidenza... Solo aprendoli potrai capire se riguardano te». Charly mi provoca come il serpente fece tempo addietro con Eva e lei ha abboccato come faccio io in questo preciso istante. La carta scricchiola sotto le mie dita, la rabbia si impossessa di me in un secondo, appena leggo quelle piccole macchie d'inchiostro.
«Cosa significa questo?!» Urlo appena sono di fronte a lui, gli lancio la cartellina sui documenti che sta stilando con cura. Lui mi guarda come se fossi impazzita, poi apre la cartellina con tranquillità, e la sua aria di noncuranza continua anche dopo aver letto. Come si fa a restare impassibile dopo quel che c'è scritto? Dopo quel che  prova per me o almeno quello che mi ha detto di provare.

«Mi potresti spiegare?» Chiedo con occhi iniettati di sangue. Lui si alza, oltrepassa la scrivania, cerca di prendermi una mano, tuttavia mi allontano. Si appoggia al tavolo di mogano con le braccia conserte.
«Allora?» Lo incalzo in maniera frettolosa. Mi scocca un'occhiata prima di cominciare, «Avevo appena iniziato a capire come andavano eseguite determinate cose, avevo ventotto anni, mio padre mi concedeva di fare la bella vita». Lo interrompo bruscamente «Non mi interessa di quel che cazzo facevi, voglio sapere che significa quella dannata cartellina nelle tue mani!»
«Siediti per favore».
«No!» Sbraito, lui sospira e conferma i miei sospetti «Quello che c'è scritto è vero». 
«Stai ammettendo che voi c'entrate con l'incedente che ha ucciso mia madre e mia sorella e ti limiti a dire che quel che ho letto è vero!? Sapevo che non avevi un cuore d'oro, ma non pensavo fino a questo punto!»
«Sasha, capisco che sei arrabbiata e te la vuoi prendere con qualcuno, ma io allora non decidevo niente!»
«Me la prendo con te perché la tua famiglia si è sporcata le mani con il sangue di mia sorella, cavolo!»
«Sasha, mi dispiace!» Cerca di stringermi la mano, mi scanso come se avessi appena ricevuto una scossa elettrica alquanto forte.
«Non fare così!» Assottiglio le palpebre e tra i denti chiedo «Come dovrei reagire secondo te? Ah, avete tolto di mezzo metà della mia famiglia, ma non fa nulla tanto prima o poi tutti, ricchi o poveri, ritorneremo cenere!?»
«Tuo padre aveva un debito con noi, non intendeva estinguercelo, così abbiamo avuto la mano forte! Tutto qui!»
«Ma ti senti quando parli? Di quant'era il debito?»
«La somma ci accingeva attorno ai ventimila...»
«Vi crogiolate nel denaro e per una somma così minima uccidete due persone! Almeno sapendo che avrei lavorato con i documenti, avresti potuto nascondere la cartellina nell'intento di non farmela trovare. Invece non l'hai fatto, perché?»
«Chi cavolo sapeva che facevi Anderson di cognome, sei nata in Italia!»
«Mio padre è americano» mi accorgo subito dell'errore che ho commesso, lui sa che mio padre è morto, «Era americano e mia madre italiana» sussurro calmandomi di poco. Annuisce e tra di noi cala il silenzio, sembra che non abbia percepito la mia bugia e questo mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Dopo qualche minuto, che mi è sembrata un'eternità, tenta di avvicinarsi, io indietreggio e mi rendo conto che sono spalle a muro. Mi prende il viso tra le mani e la bile minaccia di salirmi in bocca, «Sasha, non è vero che non ho un cuore d'oro». Aspetta, mi stai dicendo che per te il succo di questa selvaggia conversazione è che tu non hai un buon cuore?! Penso davvero che ha toccato il fondo. Ma quale uomo, se così si può definire Thomas, si comporterebbe in questo modo dopo tutto quel che è accaduto!
«Lasciami! Non mi toccare!» Lui tenta di baciarmi ignorando, come sempre, quello che gli chiedo. Mi volto ed esco dall'ufficio dirigendomi in giardino dove di trova l'edificio in cemento. Entro e lancio un furtivo sguardo dove prima erano rinchiusi i due uomini. Poi proseguo e conto circa cinque stanze che fungono da "prigione". Finalmente vedo ciò di cui necessito. Si stanno allenando due dei pugili migliori, salgo sul ring, un uomo mi blocca, «Non può salire, è pericoloso e loro non possono essere interrotti». Rivolgo un'occhiata a John che è seduto su una sedia di legno con molte decorazioni, con una mano sorregge un sigaro e l'altra, la mano del comando, è posata sul bastone con gli stemmi. Il suo sorriso sghembo si allarga appena mi vede. Prendo dei vecchi guantoni appesi alla rete e dichiaro «Che nessuno provi a fermarmi!» Rivolgo un'occhiata a Thomas che nel frattempo mi ha raggiunta, sta per ribattere quando inarco le sopracciglia e lo faccio per una buona volta tacere.
I due uomini a petto nudo si girano verso di me e sorridono sapendo che sono due contro uno. Incasso molti più colpi di quanti ne sferro. Ad un certo punto le immagini mi scorrono davanti agli occhi e non solo, vedo anche quello che mi ha fatto Tom. Colui che mi ha avuta completamente anche se senza il mio consenso, ha ucciso mia sorella e mia madre, ma soprattutto mia sorella! Vivevamo l'una per l'altra, ci capivamo con una sguardo... E la sua famiglia me l'ha portata via! Colpisco alla cieca, nel vero senso della parola perché davanti agli occhi ho un velo rosso, sento «Fermatela altrimenti lo ucciderà!» Due mani mi stringono i polsi, la mia schiena è schiacciata contro il petto di qualcuno che mi sussurra «In questo modo cosa hai risolto?» E' Tom, mi divincolo e mi dirigo nella mia stanza. Una volta nella mia camera chiudo la porta a chiave, inizio a girare in tondo, spero solo che la polizia si sbrighi a farmi uscire da qui, oggi ho fatto molti passi falsi, però non mi importa. Ogni giro che compio sembra che la stanza si rimpicciolisca sempre di più.

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora