49. Sono io il problema

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Il boschetto diventa sempre più scuro e gli alberi mi riportano nella stanza squadrata della grotta. Vedo Thomas davanti a me, mio padre a terra, con gli occhi spalancati e vuoti: la sua anima è già volata via. Poi, inspiegabilmente, mi trovo nuda sul pavimento ruvido, con la bocca di quel bastardo addosso che è avida e spregevole. So che nessuno può salvarmi perché in un sogno che ho fatto, anche se mi sembrava molto reale, arrivava prima di questo momento la polizia, ma ora non è arrivata, perché non verrà nessuno, perché io ho allontanato tutti, perché in realtà il problema sono io non gli altri. Sono io che estirpo le radici ai fiori ma non faccio altrettanto con i rovi, lasciandoli crescere e pian piano farli incombere su di me.
Sento una goccia cadermi sulla faccia, ma non capisco da dove provenga, sono al chiuso, non sto piangendo, non posso farlo perché non posso dimostrarmi debole davanti a Tom. Mi sento scuotere per le spalle, ma dietro di me non c'è nessuno, solo rude cemento che ha visto tanti omicidi.
Tutto attorno a me si dissolve precipitosamente, apro gli occhi: era un sogno, uno scherzo infame di Morfeo. Ormai è completamente buio, i gufi si sentono solamente, senza farsi vedere. Sento un rumore di foglie, ma sono troppo congelata per muovermi. Tanto cos'altro posso perdere?
«Ma si può sapere cosa ti salta in mente?» Chiede preoccupato Jake. Non rispondo, «Cosa ha rotto Nick?» Dico invece. Lui si siede accanto a me, «Un portapenne di vetro... Avevi paura della reazione che avremo potuto avere, per questo ci hai fatto andare via?»
«No, beh un po', ma non è per quello. Mi vergognavo a dirle davanti a voi».
«Io e Nicolas ora abbiamo capito, ci siamo arrabbiati perché ci hai allontanati. Però forse è stato meglio che non lo hai detto davanti a noi, perché avremmo potuto uccidere quel bastardo. Ma tu non devi vergognarti, non è stata colpa tua».
«Sono io il problema non gli altri» sussurro, «Ma che stai dicendo?» Chiede sbalordito.«Se ha fatto quello che ha fatto, vuol dire che sono stata io a fargli credere che lo volevo».
«Non è vero, ascolta tu non hai fatto nulla di sbagliato, lui è un lurido bastardo» insiste Jake.
«Ma se non lo conosci nemmeno».
«E credimi, meglio che non lo veda mai, altrimenti quella faccia gliela spacco».
Mi accarezza l'avambraccio, «Sei freddissima», si sfila la felpa e me la infila come aveva fatto con la maglietta al fiume. Lo fisso circospetta, ancora non mi fido, ultimamente, per ovvi motivi, non mi fido molto delle persone. La maglietta bianca leggera che indossa è quasi trasparente e fa notare chiaramente i muscoli.
«Come fai ad avere muscoli scolpiti se non ti alleni mai?» Lui sorride e io capisco di averla detta ad alta voce, arrossisco all'improvviso, tuttavia nemmeno il calore causato dall'imbarazzo riesce a farmi riscaldare un po'.
«Sono uno di quei pochi ragazzi che, anche facendo poco allenamento ha un fisico perfetto». Alzo gli occhi al cielo «Il solito modesto», ma come posso biasimarlo: è la verità. Si alza e si toglie i fili d'erba dal pantalone prima di porgermi la mano, la afferro e mi tiro su. Percorriamo in silenzio il piccolo e invisibile sentiero che ci conduce a casa, mi stringo nelle spalle, cammino con la testa bassa.
«Jake, fermati, non possiamo continuare a rimandare quel discorso che mi hai fatto mentre ci baciavamo e...» M'interrompe, «Pensavo che stessimo insieme» dice confuso. «Ascolta, lo so che ti ho baciato, ma non... Sono congelata in questo momento, non riesco a fidarmi di nessuno, non so nemmeno io cosa voglio e non posso pretendere che tu mi stia vicino».
«Ma io sto vicino a te perché ci voglio stare».
«Jacob non rendere le cose così difficili, ti ho detto di volere tempo».
«Ma non spazio, se ricordo bene io non ti ho forzato a fare nulla, non ti ho violentata!» Sbraita. Lo guardo, lui si rende conto di quel che ha detto, cerca di scusarsi ma non gli do ascolto e mi precipito in casa. Trovo Nicolas sul mio letto, non ce la faccio ad affrontare un'altra bomba pronta per esplodere. Vado in camera di Christian sicura di trovarci anche Sam, so che Betty mi vuole bene, ma farebbe entrare Nick e mi travolgerebbe come un fiume in piena; ora ho bisogno di calma e di riflettere.

Busso, quando dicono che posso entrare abbasso la maniglia, mi siedo sul letto dove c'è stesa anche Sam, lei lancia un'occhiata a Chris che esce lasciandoci sole.
«Spara!»
«Come fai a sapere che devo dirti una cosa?»
«O sei ubriaca o sei confusa più che mai per venire da me, e mi sembri sobria, quindi parla». Mi conosce piuttosto bene per essere amiche da poco.
Le racconto tutta la faccenda ma ovviamente ometto della polizia e delle violenze che ho subito, mi concentro di più sul parlare di Jake e Nick. Lei riesce a dire solo «Cazzo».
«Così però non mi aiuti, non so che fare» le faccio notare. «Lascia un secondo da parte Jacob, prendi un po' le distanze da lui, se è quello che vuoi; ma con Nicolas hai sbagliato, sei partita prevenuta. Poi a lui devi molto da quanto ho capito, almeno tu devi provare a parlargli, che ne sai che scoppierà o che ti importunerà con domande a cui tu non vuoi rispondere?»
«Non ho la certezza di voler stare lontano da lui, potrei dire che oggi è stata una brutta giornata, in parte è la verità, ma non del tutto».
«Cosa ti blocca?» Chiede Sam mettendosi in attenzione. «Non riesco a fidarmi di lui».
«Sasha ti posso assicurare che ha mandato a quel paese Claire e le sue amiche subito dopo che te ne sei andata», mi rassicura. «Lo so però...»
«Però è difficile fidarsi di qualcuno, perché poi inizi a volergli bene e temi di perdere anche lui, allora ti chiudi in te stessa e diventi una super stronza come me». Lo dice con tale nonchalance che quasi penso stia recitando, però poi incontro i suoi occhi e capisco che non è affatto una recita.
«Fidati, fai del male solo a lui ed a te stessa».
«Va bene, farò come hai detto e penserò sul fatto di Jake». Esco dalla stanza e in corridoio trovo Nick che scuote la testa e mi sorpassa. Sta per scendere il primo gradino quando lo tiro per un braccio, lui non si muove, gira solo la testa. «Possiamo parlare? So di aver fatto molte cazzate, ma fammi spiegare». Lui annuisce e mi segue; si siede sul mio letto, ma io preferisco restare in piedi. «So che mi vuoi fare delle domande, quindi parla».
«Cosa ti hanno fatto?»
«Devi capire che non mi piace parlarne, questo non giustifica la reazione che ho avuto prima, però in qualche modo e penso sia anche ovvio, mi provoca un senso di nausea parlarne».
«Sasha, dimmi che sei ancora intatta». Ma quando scuoto la testa, lui si alza e viene verso di me, indietreggio fino a toccare l'armadio, poi alzo una mano per tenere ancora spazio fra di noi, perché so che se mi abbracciasse non gli direi più nulla e dovremmo affrontare nuovamente quest'argomento.
«Non lo sono in nessuno dei due modi: non sono intatta né psicologicamente né fisicamente».
«Quando è stata la prima volta che ti ha...»
«Al secondo incontro, quando non mi trovavi da nessuna parte». Sgrana gli occhi, «Perché non mi hai detto nulla? Okay questa è una domanda stupida perché sappiamo entrambi che l'avrei ucciso, ma come hai fatto ad essere così forte?»
«Non lo so, forse ho realizzato dopo».
«Quante altre volte è successo?»
«Non ricordo il numero, ma ricordo ogni infernale momento, sono dipinti nella mia mente con tempere orrende e indelebili».

Nicolas:
Le ginocchia le si piegano un po', la mano si abbassa piano tremando, il suo sguardo è fisso a terra. Sento un singhiozzo, l'abbraccio anche se non so a quanto serva. Mi stacco da lei lasciandola confusa, cerco nel suo armadio i guantoni e finalmente li trovo, glieli porgo «Il sacco ancora è appeso in garage, andiamo a dargli qualche colpo?» Lei è titubante, tuttavia mi segue.
Non lo colpisce con tanta forza, ma quanto basta per sfogarsi. Dopo un po' mi viene vicino e mi ringrazia posandomi un bacio sulla guancia.

Sasha:
Vado a fare una doccia, salto la cena e aspetto che Jacob si ritiri in camera sua. Sto per bussare quando ci penso su, non voglio dirgli di sì se non sono sicura, non è giusto e non se lo merita perché è cambiato e questo non posso non notarlo.
E' appena passata la mezzanotte, il mio stomaco brontola, come biasimarlo, ho colpito il sacco e non ho cenato nulla. Vado in cucina, prendo un pacco di biscotti e inizio a sgranocchiarne qualcuno, poi un'imprecazione si fa strada nella penombra. Mi copro il viso, so perfettamente da quale bocca è uscita quella parola molto "garbata". Sento che si sta avvicinando, ma poi si ferma, io alzo lo sguardo dal bancone e lo punto nel vuoto, lui sospira e si allontana. Mi volto nella sua direzione, e le spalle curve non si addicono alla presunzione che è solito avere Jacob. Non ci sono volute parole per dirci addio: è finita. Siamo troppo diversi o troppo simili, non ho avuto il tempo per capirlo. L'unica cosa che so è che sono io a rovinare tutto, io e il mio passato, io e le mie fissazioni, io e le mie insicurezze, insomma io.
Esco di casa, percorro la strada che porta al centro della città, ricordo quando Jake mi disse che ero pericolosa, quando mi aveva invitato al ballo. Ma come ho detto quelle sera, la favola si era conclusa e, poiché io ero la protagonista, non c'era il lieto fine. Senza nemmeno riflettere mi ritrovo a comprare delle sigarette, e il tizio mi offre anche una birra. Me la fa pagare di più perché ancora non ho l'età per acquistare gli alcolici, ma non mi importa dei soldi, non mi importa di nulla. Voglio ritornare ad essere quella ragazza fredda e menefreghista, non farei più gli incontri, ma vorrei riacquistare quella freddezza che ero riuscita ad ottenere. Sento che sto ritornando ad essere quella ragazza e il gelo nel mio petto me lo dimostra. Alzo gli occhi da terra e mi accorgo che sto passeggiando sul marciapiede, lo stesso sul quale ho giocato ad obbligo o verità con Jacob, scaccio il ricordo con un sorso di birra. Alla fine Thomas non aveva torto su di me, la cosa migliore che so fare è ubriacarmi e fumare.

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora