57. L'inizio di un'avventura

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Tutti sono eccitati per la nostra avventura, decidiamo i turni per chi dormirà sotto le stelle. I primi ad offrirsi sono: Betty e Nicolas. I secondi sono: Chris e Sam, poi seguiamo io e Jake, a seguire Melany e Paul e infine la coppia di Mike e Carmen. Per i cinque giorni che navigheremo ci fermeremo in due posti: la Sardegna e poi il golfo di Napoli.
Ci impieghiamo poco per sistemarci e indossare i costumi, io sono ancora un po' magra per essere attraente. Infatti, indugio qualche secondo prima di uscire dal bagno e mostrarmi a Jake che, così "spoglia", non mi ha mai visto. Anche al fiume non è mai riuscito, per fortuna, a vedermi per intero.
Lui sgrana gli occhi, sbuffo ed esclamo «Smettila che ho ancora le anche sporgenti, il tratto della colonna vertebrale è ben visibile e le costole si possono ancora contare», lui annuisce e precisa «Si ma non come prima, sono felice che tu stia provando a mangiare».
Stiamo tutti stesi per prendere il sole, e se abbiamo troppo caldo ci facciamo la doccia sul ponte. Il vento è tiepido e delicato sulla nostra pelle, dopo circa un'oretta i ragazzi iniziano a lamentarsi. Io li conduco nel salone dove è presente un biliardino e i loro occhi si illuminano. 
All'ora di pranzo cucino un veloce piatto tipico italiano, tutti dicono che è squisito e, come al solito, Jacob non si trattiene dal ricordare quando mi sono ferita con il coltello da cucina mentre stavo affettando delle verdure.
Sto riordinando la cucina quando sento una presenza, ma non ho il tempo di voltarmi che due mani possenti mi cingono i fianchi e mi conducono nella cabina. Mi spingono sul letto e mi accarezzano ovunque, io chiudo gli occhi per assaporare questo momento perché il panico ancora non si è fatto sentire. Jake è molto prudente, infatti sta attento nel toccarmi solo parti scoperte dal costume, mantenendo anche qualche centimetro di distanza dai confini tracciati dal tessuto. Mi bacia delicatamente, poi le sue labbra si posano sul mio collo, io accarezzo i suoi muscoli tracciandone le rientranze. Sorrido e gli intreccio le gambe dietro alla schiena, lui si ferma e mi guarda, «Meglio andare con calma, possiamo provarci più volte al giorno...» Dice in tono malizioso mentre mi fa l'occhiolino. Rido e gli bacio la guancia, mi avvolgo nel pareo per andare a prendere un po' di sole insieme alle altre ragazze.

Con mio grande stupore sul solarium non c'è nessuno, vado anche in salone, ma non c'è anima viva, così mi stendo sui morbidi cuscini bianchi e chiudo gli occhi lasciando che il sole mi baci. Mi sto rilassando quando vengo invasa da ricordi felici trascorsi con la mia famiglia, io e mia sorella che correvamo spensierate senza sentire nulla, solo il vento che ci scompigliava i capelli. La libertà e la consapevolezza di essere felici erano dipinte sui nostri volti. L'assoluta felicità, però non me la ricordo molto bene come sensazione.
Sento qualcosa di fresco sulla guancia, è una lacrima. Mi alzo e mi aggrappo stringendo forte con la mani la ringhiera, come se potessi perdere la vita se riducessi la pressione sul metallo. Sento dei passi e non mi sforzo nemmeno di voltarmi o di asciugarmi la lacrima. Quando la persona si materializza al mio fianco riesco a capire che è Carmen. Non dice nulla aspetta che sia io a parlarle, ma non apro bocca, poi sento altri passi, e dato che Carmen sorride capisco che è Michael. Mi rivolgo a l'uomo con un sussurro «Io non ci riesco a perdonare mio padre, perché se anche avesse venduto tutto, non avrebbe perso nulla di importante, perché la gioia gliela davamo io e mia sorella correndo, ridendo e stando tutti insieme». Vado in bagno, giusto per stare sola. Dopo pochi secondi qualcuno bussa, «Occupato!» Sbotto, «Sasha, sono io», riconosco la voce del mio migliore amico. Apro con delicatezza, «Non si può nemmeno più andare in bagno in santa pace?» Lui mi guarda con sufficienza, io sospiro e me ne sto per andare quando mi trattiene per un braccio, «Sto bene!» Esclamo per prevenire la sua domanda, lui mi fissa e poi sospira sta per chiudere la porta quando mi rendo conto di averlo trattato male, così blocco la porta.
«Scusa, è solo che...» Lui annuisce e dichiara «Non posso saperlo, perché è vero che i miei genitori sono degli stronzi, tuttavia non li ho persi quindi non posso sapere il dolore che si prova. Però, invece di chiuderti in te stessa, prova a parlarne con me». Io chiudo la porta a chiave, lui mi guarda un po' sconcertato e poi tende le orecchie in ascolto, «Io non sono mai andata a trovare... Non sono mai andata al cimitero». Sgrana gli occhi, poi si ricompone, e continuo «Secondo te dovrei andarci? Intendo ora che siamo qui, sai quei due giorni che stiamo in hotel, per quanto ne so il... Posto in cui devo andare dista circa due ore di auto dall'albergo». Lui mi osserva e poi con delicatezza afferma «Secondo me sì, perché così forse potrai goderti il futuro e il presente senza avere i rimorsi come quello di non essere mai andata a trovarli». Sentiamo bussare e apriamo, compare Jake e per scherzare chiede «Mi devo preoccupare anche dei tuoi amici ora?» Io rispondo «Si sa che i migliori amici poi diventano fidanzati!» Lui ride e appena Nick ci lascia da soli mi chiede «Tutto okay?» Io annuisco, lo prendo per mano e andiamo in salone.
Christian e Paul giocano a biliardino mentre gli altri guardano la televisione, appena vedono Jacob lo chiamano e il mio ragazzo chiede «Ma non possiamo giocare a tre, Nicolas dov'è?» Chris risponde facendo spallucce «Betty ha un po' di mal di mare, quindi le sta vicino, ma forse è solo una scusa...» Mi tappo le orecchie e dichiaro «Se non finisci la frase gioco io con voi», il ragazzone sogghigna e annuisce. Segno il primo punto e lui mi guarda, «Hai doti nascoste!» Tutti ridono, la partita va per le lunghe e non vedendo ritornare i due piccioncini credo che quello che abbia lasciato intendere Christian sia vero.

Sono le nove di sera quando arriviamo in Sardegna, ci prepariamo per uscire e andare a mangiare in un ristorante. Indosso un vestito bianco con in vita una cintura sottile nera, Jake invece ha addosso una maglietta bianca che lascia intravedere un po' il tatuaggio del teschio messicano sulla spalla e poi ha un paio di jeans neri. Sto per infilare i sandali neri con il tacco quando Jacob entra nella cabina ed esclama «Se vuoi che non ti spogli in pubblico è meglio che ti cambi». Io scuoto la testa sorridendo, mi fisso allo specchio, lo scollo a "v" mette in mostra il mio seno che anche se sono dimagrita non è diminuito molto, il pizzo nero sopra al ginocchio che pone fine al vestito bianco è stupendo, poi incrocio il suo sguardo ed affermo «Mi dispiace, ma dovrai resistere». Poi esco dalla stanza strusciando volontariamente contro lui che emette un ringhio basso.

Al ristorante mangiamo un buonissimo piatto tipico del posto, poi passeggiamo un po' per le strade. Jake mi adagia sulle spalle la sua giacca leggera, gli poso la testa sulla sua spalla, dove, giusto per chiarire, ci arrivo solo perché ho i tacchi. A mezzanotte ci ritroviamo tutti quanti nella strada che porta al porto. Jacob nota la mia difficoltà nel camminare su questi piccoli tasselli di pietra, così, senza preavviso, mi prende in braccio a mo' di sposa. Sorridiamo entrambi, nei suoi occhi leggo la sincerità per il sentimento che prova nei miei confronti. Decido che questa sera a letto gli avrei detto dei miei progetti, ossia: andare a trovare la mia famiglia.

Tutti sono già sulla barca, prendo una coperta per Nicolas e Betty che oggi proveranno il brivido di dormire all'aperto. Io da piccola, la prima volta che mia mamma me lo aveva proposto, non ero riuscita a chiudere occhio, ero troppo stupefatta nel vedere quante stelle si potessero contare senza l'inquinamento luminoso. Per fortuna il porto non è molto illuminato così potranno godersele anche loro.
«Jacob ti devo dire una cosa» cerco di intavolare il discorso, «Spara» dice saltando sul letto. Il tono è calmo ma gli occhi sono un po' preoccupati, «Staremo due giorni a terra, io in uno di questi due vorrei andare al cimitero, perché... Ehm, ecco, io ehm non ci sono mai andata». Non ho mai visto il ragazzo di fronte a me sgranare così tanto gli occhi, «Lo so che ora pensi che sia una persona orribile però...» Lui mi blocca subito «Non ti reputo affatto una ragazza cattiva, ecco, mi sembra strano», poi continua «Comunque non devi preoccuparti perché io ci sarò se tu avrai bisogno di me». Annuisco e mi infilo sotto alle coperte abbracciandolo e, prima che il sonno abbia la meglio, sussurro un «Grazie».

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora