8. Il ritorno

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Sono le otto di mattina, ormai si saranno accorti della mia scomparsa. Prendo il telefono e chiamo Jacob:
«Me ne sono andata, spero che non presenterò più un pericolo per voi...»
«Dove sei?» Mi chiede sussurrando,
«Davanti alla scuola statale, perché?» Nella mia voce c'è una punta di speranza, sembra che Jake l'abbia percepita e mi risponde «Non farti illusioni, vai via, Michael sta venendo a cercarti». Mi si spezza nuovamente il cuore, mi sono illusa di poter tornare a far parte di quella famiglia che tanto invidio e bramo.
«No Jacob, non mi puoi chiedere questo, non so dove andare». Una lacrima mi riga il volto, mi sento fuori posto, cacciata via come un cane randagio.
«Sapevo che ci avresti dato problemi!» Tra un singhiozzo e un altro riesco a dire «Non ti preoccupare, non mi troverà. Prima di attaccare, però dimmi come sta Betty?» Lui sbuffa e poi risponde «È viva!» Prima che potessi rispondergli male, mi attacca il telefono.
Decido di incamminarmi per le strade interne, non ho una meta, la gente si sposta davanti a me. Le palpebre non sbattono, gli occhi si riempiono di lacrime che impiegano un po' a rigare le guance. Un tempo avevo il mio posto felice, ma qui ho la strada e gli incontri. Mi sento terribilmente sola. Molte volte ho pensato di passare sull'altra sponda, ma non andrei in paradiso dove si trova lei, a quel punto sarebbe inutile togliersi la vita. 


Mi trovo in un boschetto, facile trovarne uno dato che siamo ai margini della città e agli inizi delle zone poco abitate.
Senza sapere il perché, a destra intravedo la casa di Michael. Probabilmente il mio inconscio mi ha portato qui. Rimango inerme, incapace di muovere un muscolo, sento un tocco dolce sul palmo della mia mano, ho paura di voltarmi, di vedere negli occhi qualcuno che potrei mettere in pericolo. Quello che noto mi sorprende: una cucciola di razza. Conosco bene le razze dei cani perché lei li adorava. La piccola ha le zampe congelate ed il musino dolce. Mi inginocchio, la prendo e la metto nel borsone. Tra le maglie vecchie e macchiate di sangue che mi porto dietro non sapendo perché, dovrebbe stare calda.
La cucciola si stende e dopo un po' smette di tremare. Decido di andare in città per comprare il cibo per lei. Mi volto e intraprendo nuovamente il cammino, ma non prima aver lanciato un ultimo sguardo alla casa.
Le temperature si sono abbassate di parecchio e la neve cade delicata a terra formando ormai uno strato di trenta centimetri. Decido di andare a "casa" dove dormo poche volte alla settimana. 

«La leggenda narra che, qualche notte, Sasha venga a dormire qui...» Dice con voce tenebrosa una mia coinquilina che sta informando una ragazza sulla leggenda che hanno inventato su di me.
«Sì e tu sei fortunata perché mi stai vedendo ora. Inoltre ti ho anche rivolto la parola, quindi sentiti al settimo cielo!» Affermo sarcasticamente, guardando in modo truce le ragazze di cui non ricordo nemmeno il nome nonostante siano sempre le stesse da un anno e mezzo. Ovviamente tranne la ragazza nuova che è sbigottita per la stupida leggenda.
Nella casa non si dovrebbero portare gli animali, ma normalmente io non rispetto le regole. 
Subito dopo aver posato il borsone sul letto, la cucciola salta fuori dalla sacca. Resto a guardarla sorridendo, il mio cellulare squilla:
«Pronto?»
«Sono Jake, dove stai?»
«Non sono affari tuoi, Michael non mi ha trovato, non chiamarmi più!» Sbraito,
«Stai calma, volevo solo sapere come stai...»
«Sono viva!» Detto ciò attacco.
Mi sono scocciata di come mi tratta Jacob.
Ritorno a fissare la cagnolina, le palpebre si fanno pesanti. Mi stendo sul letto e mi lascio andare tra le braccia di Morfeo troppo esausta per resistergli.

Mi sveglio con un calore sulla pancia, mi alzo per vedere la fonte di calore e vedo solo una palla di pelo bianca,
«Una cucciola?» Ci impiego un po' a ricordare.
Mi sento osservata, mi volto leggermente e vedo un ragazzo biondo con gli occhi color ghiaccio. Strofino con forza gli occhi affinché mettano a fuoco quella figura.
«Nick!» Urlo di gioia, la cagnolina si sveglia e scende a terra.
Cerco di andare verso di lui ma le coperte mi fanno inciampare cadendo a terra come un salame.
«Dante Alighieri!» E' il soprannome che mi ha affibbiato data la mia vecchia passione per la poesia e la prosa.
«Ti prego non chiamarmi così!» Non mi dà fastidio, mi fa ricordare...
«Sai Dante, io sono andato a casa tua prima di venire qui ed ho preso questo!» Apre il trolley scuro che si è portato. Appena si volta verso di me, riconosco l'oggetto che ha in mano: il quaderno delle poesie! Continua a parlare non curandosi della mia faccia sorpresa, ma allo stesso tempo spaventata per il dolore che mi causerà quell'oggetto.
«Mentre ero in aereo l'ho letto. Ho cercato su internet il titolo della maggior parte delle poesie appena ho avuto la connessione Wi-Fi, però non mi usciva alcun risultato. Mi spieghi il perché?»
«Non avevi il diritto di leggerle, poi che ci fai qui? Perché me l'hai portato?»
«L'ho letto perché mi volevo ricordare la vecchia te, mi manca. Sono venuto per vederti. Le hai scritte tu le poesie?» Mi chiede.
«Che ti importa... Sì comunque sì, sono io l'autrice, ma cosa c'entra?»
«Le cose che hai scritto sono vere, sull'amore, sull'amicizia... Ho letto l'ultima pagina, quello che hai scritto prima di partire e...» Non finisce la frase perché gli salto addosso piangendo. Lui mi stringe in un abbraccio sincero che non ricordavo più. Poggia il mento sulla mi testa per rassicurarmi, aspetta che sfoghi il mio dolore bagnandogli la maglia. Dopo mezz'ora siamo ancora stretti l'uno all'altra, io singhiozzo rumorosamente ma le lacrime non bagnano più le mie ciglia nere e le guance infuocate.
La cucciola ringhia verso Nick solo allora ci lasciamo sorridendo:
«Devo portarla al parco, non può stare tutto il giorno qui...» Prendo il collare e il guinzaglio comprato ieri, glieli metto, lei fa qualche storia ma poi li accetta.
«Sai che diventerà enorme?» Annuisco facendo spallucce.
«Come si chiama?» Non ci ho pensato,
«Belle!» Rispondo dopo averci riflettuto.
Passeggiamo per il parco, Nick mi mette un braccio sulle spalle. Mi fa piacere che sia qui, mi mancava il mio migliore amico.
All'improvviso alzo gli occhi al cielo e vedo che minaccia una tempesta, così ritorniamo a casa per non prendere un raffreddore.
«Ti va di andare al ristorante questa sera?» Quella domanda mi coglie alla sprovvista, tuttavia accetto.
Mi vesto velocemente, infilando: un jeans e un maglione ovviamente scuri.
«Belle, tu stai qui e non combinare guai» dichiaro mentre lei scodinzola e mi lecca il pantalone. «Credo che sia un: Okay capo!» Mi beffeggia il ragazzo. Sorrido e gli do un bacio sulla guancia per ringraziarlo di essere qui. Mi prende per mano come facevamo quando eravamo piccoli. Mi blocco a questo pensiero, tuttavia ora mano nella mano per me ha un significato diverso. Lascio andare la mano e gli abbraccio la vita. 

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora