39. Il caso è nelle loro mani

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«Sono passati tre giorni, non hai quasi toccato cibo» mi ricorda Thomas. Sono stesa a letto con gli occhi fissi in avanti, mi sento vuota. Odo dei forti rumori e degli... Spari. Tom sgrana gli occhi e salta giù dal materasso, scosta la tenda per vedere all'esterno e sussurra «La polizia è qui!» Mi viene da ridere, finalmente sono libera, lui mi guarda e vedo i suoi ingranaggi iniziare a girare e spremersi fino a fumare, avrà capito?
«Sei tu la spia!» Oh cavolo! Ma non finisce qui il suo monologo «Da un po' mi sono accorto che mancavano dei documenti abbastanza vecchi, mi sarei potuto aspettare tutto da te, ma non questo! Però non lascerò che loro ti portino via, perché tu resterai con me per sempre! Io non posso fare a meno di te!» Se fosse stato un altro ragazzo a dirmi codeste parole mi sarei commossa, ma solo ora mi ricordo dei seri problemi psichici di Tom ed inizio a preoccuparmi. Mi tira per un braccio e mi conduce in svariate stanze fino a che, in una camera, solleva un tappeto e apre una botola. Senza alcuna delicatezza mi ci spinge dentro, per poco non rotolo per tutte le scale umide e ripide. Ci ritroviamo in un garage in cui ci sono auto di alta cilindrata, mi fa salire in macchina ed a una velocità impressionante si immette su una stradina sterrata alzando un polverone.

«Dove siamo diretti?» Chiedo mentre il panico e la paura si impossessano di me, cosa succederebbe se la polizia non mi trovasse. Sarei costretta a restare per sempre con lui, e come mi tratterebbe ora che sa che sono stata io a farli trovare e molto probabilmente far arrestare la maggior parte di loro?
«Non ti deve importare!» Decido di non fare più domande, presto attenzione a tutte le insegne stradali, ma proprio non riesco a capire dove stiamo diretti. Fino a quando non vedo un jet privato che attende noi. Tom apre la portiera e mi stringe un po' troppo la mano per essere affettuoso, «Vieni» sbraita. Ho il sentore che è meglio stare in silenzio e assentire a quel che ordina.
Thomas mi fa accomodare sui sedili in pelle color crema, sembra un po' più rilassato. Si dirige verso la cabina di comando e poco dopo ritorna sedendosi accanto a me. Con mia sorpresa mi prende la mano e inizia a tracciare piccoli cerchietti con le dita ruvide; mi dà fastidio questo contatto, tuttavia decido di non muovermi, è imprevedibile quando è irritato e si dà il caso che in questo momento è la dimostrazione dell'ira in persona.
«La nostra meta è: l'Italia» dichiara quando stiamo decollando. Trasalisco al sol pensiero di mettere piede lì. Oramai non posso fare altro che assecondarlo in tutto e cercare di restare viva fino a quando, e se mai, la polizia mi troverà.
«Mangia qualcosa», mi propone in tono duro Tom. Vedo l'unica hostess portarmi un tramezzino e un dolcetto. Mangio solamente la fetta di torta, poi poso lo sguardo fuori al finestrino ricordando inevitabilmente quando sono stata l'ultima volta nella mia città, mio padre, la mia reazione.

Ellie:
Vedo Andrew entrare nella mia stanza con un altro poliziotto, Sasha mi ha raccontato che lui era sotto copertura. Mi salgono le lacrime agli occhi quando mi rassicura «Siete libera, è finita». Mi affretto ad uscire, tuttavia non mi conducono all'esterno della mia casa-prigione,
«Dov'è Sasha?» Chiede preoccupato lui, io faccio spallucce, credevo fosse nella sua stanza, ma Andrew mi confessa che ci è appena stato e gli altri stanno perquisendo l'intera villa e ancora non l'hanno trovata. Mi viene in mente un tunnel sotterraneo di cui mi parlò una volta di sfuggita John. A stento mi ricordo dove si trovi, però se per tutta la casa non c'è, Thomas l'avrà condotta sicuramente lì.
«Seguitemi» esclamo. Alzo il costoso tappeto persiano situato nell'ufficio di mio marito e vedo la porticina di legno, ma non ho idea di dove siano le chiavi per aprire il catenaccio. L'altro poliziotto mi sposta di lato e sfonda con un calcio le vecchie assi di legno. Inizia a scendere le scale umide, cerco di avvertirlo «Non serve a nulla perché dopo...» Vengo interrotta da un eco molto chiaro «C'è una porta blindata» rispondo posando le mani sui fianchi «E' quello che cercavo di dire: se non abbiamo le chiavi non possiamo proseguire, perché non c'è solo quella porta, se ricordo bene ce ne sono altre due; se ci mettessimo a trovare il modo di aprirle ci impiegheremo troppo tempo e se Sasha fosse ancora qui, non potremmo impedire a Thomas di portarla via». Andrew riflette sulle mie parole e poi corre via, nel frattempo il suo collega è risalito da quel buco e ammette «E' sempre così!» Capisco che allude al suo superiore. Non che poi mi interessi tanto, penso alludendo al comportamento del poliziotto sotto copertura.

Egli ritorna con il bastone di mio marito, cosa ci vuole fare con quello? Ma, prima che possa chiedergli qualcosa, caccia dalla tasca un anello, è quello preferito di John, non se ne separa mai, neppure quando dorme.
Con un coltellino ci stacca il grosso diamante nero incastonato nell'oro, vedo una strana forma, come se dovesse combaciare con qualcosa oltre che ovviamente il diamante. Andrew fa incastrare perfettamente l'anello con la parte più sottile del manico, gli fa fare due giri completi in senso orario e poi mezzo giro in senso antiorario, con mia grande sorpresa il pezzo sfila via rivelando una chiave. Lo guardo sbalordita,
«Come facevi a saperlo?» Chiedo, lui risponde con noncuranza «Bastava guardare tutte le abitudini di suo marito per capire che il bastone e l'anello erano importanti». Successivamente scende a rotta di collo la scalinata aprendo la prima porta e poi le seconda, giungendo infine alla terza. Una volta spalancata ci ritroviamo in una stanza di cemento armato con un'auto di alta cilindrata che non avevo mai visto prima e poi alla mia destra degli scaffali stracolmi di carte e, dato il loro colore giallognolo e le macchie di umidità, comprendo che sono alquanto datate.

Andrew:
Dall'espressione di Ellie capisco che in questo posto non ci era mai venuta o comunque non se lo ricordava nitidamente. Sasha qui però non c'è e neanche Thomas. Il mio sguardo si sofferma su dei segni di sgommata, mi rivolgo alla moglie di John «Se hanno preso una macchina, dove possono essere diretti?» Lei si sofferma a pensare, poi le passa una strana luce negli occhi ed esclama «Si sarà diretto verso l'aeroporto, abbiamo un jet privato... Da lì poi saranno andati in Italia, credo... Abbiamo una casa». Sono deluso da quell'informazione, mi sarebbe piaciuto catturare di persona quella specie di vertebrato, ma devo muovermi ad informare la polizia italiana, ora il caso è nelle loro mani.
Do un ultimo sguardo a quel posto per accertarmi che non mi sia sfuggito niente e purtroppo è così.


Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora