35. Mi proteggerà da tutti, tranne da lui

201 10 12
                                    

Da quella cena sono passati alcuni mesi, il rapporto tra me e Tom è cambiato. La polizia sta a buon punto e, incrociando le dita, potrò essere presto libera. Intanto io sto tutto il giorno rinchiusa nell'ufficio con Thomas, cosa resa ancora più pesante dal fatto che a stento ci salutiamo. 

«Thomas, una curiosità: perchè avete bisogni di persone che compiono furti per la città, insomma sono guadagni minimi» chiedo. «Non serve alla nostra economia, quanto più alla nostra immagine, è un po' per dire che stiamo ovunque. Poi è utile per coloro che non pagano i debiti, o fanno una brutta fine oppure compiono furti. Incide sul loro morale, le prime volte sul loro volto è dipinta la vergogna, e nelle loro menti si compone la domanda:"Come ho fatto a ridurmi così?"»

«Per intenderci quindi è più un divertimento per voi che un bisogno effettivo».

«Sì, in breve è così. Stasera c'è un incontro, va' a prepararti, qui finisco io» annuncia Tom. Annuisco ed esco notando subito Andrew seguirmi, «Non ho niente da darti» bisbiglio, lui rallenta e si ferma vicino allo stipite della porta della mia camera.
Sono pronta in poco tempo. Esco dalla stanza e mi dirigo in salone, dove sorseggio un po' di scotch, affinché l'attesa che Thomas arrivi sia meno noiosa e lunga. Sento una mano ruvida cercare la mia, mi volto e vedo quegli occhi felini, gliela stringo, non posso permettermi il lusso di stargli alla larga, me lo ha ribadito anche Andrew. Tutte le informazioni che gli sto dando servono a ben poco, devo mettere le mani su qualche cartella di crimini che hanno commesso, e per fare ciò, Tom, deve fidarsi ciecamente di me. In auto gli poso la testa sulla spalla, lui mi accarezza il ginocchio, quel gesto mi fa venire la nausea al pensiero che più tardi quella mano potrebbe salire più su.

Ed eccomi nuovamente in questo buco: la puzza di tabacco inevitabile mi attanaglia la mente. L'ultimo incontro l'ho eseguito un paio di giorni fa, quindi sono in perfetta forma. Il ragazzo tatuato e con gli occhi felini mi accompagna verso la sua stanza, ma non prima che John mi abbia presentato agli avversari. Quasi tutti si sono messi a ridere; beh, è comprensibile vista la mia statura. Stavolta Thomas mi concede un po' di privacy ed esce dalla camera per farmi cambiare in santa pace. Il mio sguardo inevitabilmente cade su quella poltrona di pelle nera, tutti i ricordi più brutti si concentrano lì.

«Sei pronta? Devi andare» annuncia poco dopo Tom. Annuisco e sorpasso gli occhi felini, provo una strana sensazione nel sentirli fissi sulla mia schiena.
Sono concentrata sull'avversario che ho davanti, per fortuna sarà l'unico che dovrò affrontare stasera, ovviamente eccetto imprevisti.
Per i primi minuti entrambi incassiamo e rispondiamo colpi, ma poi è arrivato il momento di porre fine ai giochetti e di combattere faccia a faccia. Mi rendo conto di averlo steso solo quando Tom mi blocca le braccia e mi trascina con forza nella stanza. Sono accecata dalle immagini che scorrono come un fiume in piena dinanzi ai miei occhi.
«Ma cosa ti è preso?» Chiede Thomas tenendomi ancora stretta fra le sue braccia, la mia schiena è premuta contro il suo petto, mi stringe i polsi con forza, «Lasciami, così mi fai male». Come sente queste parole molla immediatamente la presa, «Non mi è preso niente... Vado a fumare fuori, non voglio nessuno vicino, neanche Andrew». Lui si sfrega la nuca frustrato. Non mi interessa niente, in questo momento, se non uscire all'aperto per scrollarmi di dosso questa strana sensazione opprimente. Ho ancora il fiatone quando, con dita tremanti, caccio il bastoncino di tabacco dal pacchetto.
E' la seconda sigaretta che fumo, da quando sono uscita dal seminterrato. Le mani tremano un po', ma non ci faccio molto caso. Sono nervosa e la cosa che mi fa più rabbia è che non so il motivo per la quale mi sento in questo modo.

Thomas:
E' da più di un'ora che Sasha è fuori. So che ha detto di non volere nessuno tra i piedi, ma il suo comportamento mi preoccupa. Esco a cercarla. Vicino alla mia macchina c'è un mozzicone con del rossetto, sicuramente è il suo, però di lei non c'è traccia.
Mi spingo oltre il parcheggio, in un'area illuminata solo da un lampione, nessuno ci sarebbe andato se non di proposito. Vedo due uomini che prendono a pugni qualcosa, mi avvicino e noto che chi sta incassando pugni è proprio Sasha!
«Va' a chiamare mio padre e gli altri uomini!» Urlo ad un mio scagnozzo che mi è vicino. I due uomini mi sentono e si voltano, uno lo riconosco è l'avversario che ha affrontato Sasha. La vedo lì, priva di sensi. La rabbia si impossessa di me, colpisco uno dei due, incasso qualche colpo, poi sento che qualcuno me li scrolla di dosso. Non mi interessa chi, ora mi importa solo di lei. Mi accovaccio, le scosto i capelli incrostati di sangue dal volto gonfio e ricoperto di lividi: è svenuta. La prendo a mo' di principessa e la porto in macchina, in meno di cinque minuti siamo nella sua stanza con un medico che la visita. Sono fuori dalla porta e cammino nervosamente avanti e indietro, poi finalmente la figura snella del medico compare, «Nessun trauma, solo lividi e ferite. Quando si sveglierà potrà avere del mal di testa, ma può assumere tranquillamente un'aspirina». Gli stringo la mano ringraziandolo, spero che abbia ragione, so che la sua diagnosi non è perfetta non potendola portare in ospedale, per ovvi motivi, e quindi non ha eseguito tutte le analisi necessarie per avere un quadro medico completo. Le faccio compagnia tutta la notte inumidendole il volto e togliendo il sangue.

Sasha:
Riesco finalmente ad uscire dall'oblio che mi avvolgeva con prepotenza. La testa pulsa dolorosamente, il volto mi fa male. Apro gli occhi, ma uno è più chiuso di un altro. Scorgo una figura di lato e cerco di metterla a fuoco con l'occhio che più o meno è aperto.
«Thomas?» Lui sorride e mi accarezza delicatamente i capelli,
«Come ti senti?» Rispondo con un lamento e lui afferma «Capito. Ha detto il medico che puoi prendere un'aspirina se il dolo...» Lo blocco con una mano e sussurro «Non ho bisogno di n-niente, solo che tu mi stia accanto». Lui annuisce e mi stringe una mano. Mi riaddormento esausta, come se avessi corso cinquanta chilometri. Per tutto il tempo sento Tom vicino e devo essere sincera, la sua presenza un po' mi dà sicurezza. So che mi proteggerebbe da chiunque, tranne da lui stesso.

Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora