36. Come se nulla fosse successo

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Dopo quasi una settimana tutti i lividi sono scomparsi, tuttavia qualche graffio deve ancora cicatrizzarsi, ma c'è Tom a darmi un po' di sostegno. Il nostro rapporto è tornato come prima, ora parliamo e dormiamo insieme, per adesso solo dormire, per fortuna. Lo odio di meno, ma questo non vuole dire che gli voglia bene, lo sopporto leggermente di più.

«Sei già sveglia?» Chiede stiracchiandosi, sorrido e annuisco. 
«Oggi, se te la senti, potresti aiutarmi con le scartoffie in ufficio». Mi alzo e rispondo «Certo». 
Thomas esce dalla stanza ed Andrew si avvicina di più alla porta, bisbiglia «Ottimo, prendi alcune cartelle in cui loro commettono qualche reato. Però sta attenta a non prelevare quelle più recenti altrimenti potrebbero accorgersene. Anche vecchia di qualche anno va più che bene». Lo guardo e dichiaro «Okay, ho capito, ma voi a che punto siete?» Lui fa spallucce e precisa «Questo non ti riguarda, pensa a quel che devi fare e non ti interessare d'altro». Per non imprecare, sbatto la porta e inizio a vestirmi.

A colazione John domanda «Sasha, come mai hai sbattuto la porta in faccia ad Andrew?» Comprendo a cosa si riferisce, ma quel che non capisco è come lo faccia a sapere, «Dalle telecamere ho visto. Se ti importuna possiamo sempre...» Lo blocco scuotendo una mano,
«No, non m'infastidisce affatto, sono stata io a chiedergli una cosa impossibile, lui me l'ha solo fatto notare, ed io mi sono innervosita». Tom m'incalza «Cosa volevi?» I nostri occhi si incontrano, «Volevo uscire un po', dopo essere stata una settimana rinchiusa qui. Ma so che non è possibile, sono stata stupida io a chiedere». Gli occhi di Thomas si fanno un po' cupi ed imperscrutabili, questo mi spaventa, e rabbrividisco ancora di più al pensiero di dover stare tutto il giorno con lui ed il suo umore pessimo per causa mia.

In ufficio non svolgo quasi niente, trascorro la maggior parte del mio tempo a leggere un libro sul divano, lanciando qualche sguardo a Tom. Sento che anche lui mi guarda sottecchi, cerco di far incontrare i nostri occhi per decifrare quel che gli passa nella mente.
Dopo svariati tentativi i nostri occhi si incontrano,
«Non puoi chiuderti in te stesso quando affermo che voglio uscire, l'ho sempre fatto, e sono iperattiva. Non puoi chiedermi di abituarmici, in pochi mesi, a stare tra queste immense quattro mura». Lui mi osserva e puntualizza «Sono cinque mesi ormai, siamo a giugno, dovrebbe essere facile per te accettare il tuo nuovo stile di vita anche perché lo hai scelto di tua spontanea volontà, giusto?» Oh cazzo! La situazione si mette male.
«Certo che l'ho scelto io e non me ne pento, magari io ho bisogno di tempi più lunghi per adattarmi, ti chiedo solo di aspettare». Lui si rilassa un po', «Va bene». Si, tu spera, non mi ci abituerò mai! Per essere più credibile mi alzo dal comodo sofà e gli faccio un dolce massaggio rilassante sulle spalle e sul trapezio molto rigido a causa della costante seduta vicino alla scrivania. Dopo, però, la situazione mi sfugge di mano, perché lui capisce che dopo il massaggio vorrei di più. Mi spinge sul divano, inizia a togliersi la camicia, i pantaloni, mi bacia ovunque. Dove non ci sono le sue dita o ci sono le sue labbra o il suo sguardo. Le sue mani vagano sul mio corpo, mi stringe i seni e le cosce, non si cura di constatare la pelle ancora leggermente infantile. Lui ha reso il mio corpo più adulto di quanto in realtà sia. Lo sento entrare in me con impazienza. Quegli occhi felini sono bramosi come se altro non volesse che uccidere la preda che ha puntato da tempo. Quella preda sono io, la mia anima e la mia mente vengono distrutte ad ogni sua spinta, ad ogni suo sibilo; perchè non è la voce di Jacob, non è il corpo di colui che amo.

Siamo stesi, incastrati per non cadere da quel materasso angusto.
«Non pensavo fossi pronta per fare questo, siamo stati freddi per parecchi giorni...» Ti è mai affiorato il pensiero che non volevo fare nulla, e che tu vedi solo quello che desideri?!
«Già» mi alzo, infilo i vestiti e gli tendo una mano, «Vogliamo passeggiare? In realtà non ho mai visto il giardino della villa» lui esita un secondo, poi però annuisce.
Mi conduce prima intorno a una fontana con intorno tavolini in ferro e statue, poi mi accompagna a vedere i cani.
«Ecco i Pitbull, sono il nostro orgoglio, vincono qualsiasi incontro, sbranano qualsiasi cosa, han... Attenta!» Mi toglie la mano giusto in tempo da vicino alla gabbia prima che me lo mordesse.
«Volevo solo accarezzarlo»,
«Questi non sono animali da compagnia!» Esclama ridendo. 
«Solo perché voi li avete addestrati in questo modo. Sono sicura che con tanta pazienza possano ritornare non aggressivi... Come te, ci è voluto tanto prima che ti togliessi gli occhi da felino, però poi ci sono riuscita». 
«Ma poi li ho rimessi» puntualizza. «E' diverso, tu vuoi che ti rispettino, a loro invece basta sapere che qualcuno li voglia bene» Dichiaro.
«Non smetti mai di sorprendermi, sei capace di stendere qualsiasi uomo tu voglia e per lui non hai rimpianti, ma per gli animali sì». Faccio spallucce, usciamo da quella struttura, poi mi ricordo... «Che fine hanno fatto i due uomini che mi hanno pestato?»
«Non ti devi preoccupare per loro, ci penso io, avranno quel che meritano». Proprio per questo mi preoccupo!
«Vorrei saperlo», lui sospira e mi prende per mano. Pian piano dinanzi a me prende forma un edificio in cemento.
«Eccoli» afferma indicando una porta, la apro e vedo due uomini magri, mal ridotti e con gli occhi cerchiati. Mi volto sconvolta verso Tom,
«Lasciali andare, sono sicura che hanno imparato la lezione». Lui aggrotta la fronte, «Ma ti hanno riempito di lividi senza un valido motivo!»
«Si, ma ora sono sicura che se li lasci andare non ci daranno più problemi, ti prego».Lui sospira e fa qualche strano segno ad un uomo che non riesco a vedere perché sono concentrata a decifrare le sue pupille.

Non stacco mai lo sguardo da quei poveri stupidi che mi hanno picchiata, li vedo uscire dall'imponente cancello zoppicando. Veglio su di loro dalla finestra della mia camera fino a che non scompaiono all'orizzonte. Qui il sole tramonta dietro le montagne, invece in Italia si nasconde dietro il velluto cristallino popolato da magnifiche creature che lo rendono misterioso talvolta magico.
«Io non ti capisco», la voce di Thomas aleggia dietro di me. Abbasso il capo sorridendo «Tu non puoi comprendere perché hai tutto. Una madre in un'ampolla di vetro, per esempio, sai per certo che nessuno può togliertela da un momento all'altro...»
«Dove vuoi arrivare? Vuoi incolparmi della sventura che è successa alla tua famiglia?!»
«No! Solo... Se loro avessero una famiglia, sai che dolore avranno provato? I familiari non sapevano se fossero morti, se stessero bene».
«Sasha, io capisco quel che intendi, ma non posso stare a guardare di fronte ad un'azione del genere che mi ha toccato personalmente!» Ha detto che lo ha toccato da vicino? E' pazzo di me, non posso lasciarmi sfuggire quest'occasione: devo capire se si fida di me e ora non posso fare capricci, devo assecondarlo oppure potrei non avere nuovamente quest'occasione per troppo tempo o peggio: non riaverla proprio!
«Lo so, scusami, è che vederli così mi ha ricordato...» Stavo per dire mio padre, ma non posso permettermi un errore del genere, se sapesse che non gli ho detto la verità, ossia: è morto solo per me, ma non veramente; butterei all'aria tutti gli sforzi compiuti fino ad ora.
«Chi?» Chiede,
«Me stessa appena saputa la notizia» mento Gli occhi mi bruciano, mi accade sempre quando ci penso, lui mi scruta e poi dichiara «Vado in ufficio, appena ti sarai ripresa vieni giù. Non farmi aspettare troppo». Quando esce mi rifugio in bagno, lontano dall'occhio elettronico. Quell'uomo non ha un cuore, ne ha dato una perfetta dimostrazione. Mi sciacquo la faccia con l'acqua gelida nel tentativo di calmare la fuoriuscita di lacrime. Dopo cinque minuti abbondanti, non piango più e decido di restare ancora un po' in bagno per poi scendere di sotto, decisa e fredda come mai prima.

Entro nell'ufficio con disinvoltura. Lui mi osserva e poi scoppia a ridere, «Cosa c'è?» chiedo con calma, anche se dentro di me la rabbia sta divorando lentamente tutti i miei organi.
«Mi piace il tuo modo di superare le cose, come se non fossero mai accadute», so che mi sta schernendo, ma non ho intenzione di sopportare altri litigi oggi. «Esattamente» rispondo con cautela. Mi guardo intorno per fargli capire che non so quale lavoro devo svolgere, lui coglie il mio messaggio muto ed indica con il capo un raccoglitore, lo apro e sono tutte le vincite o le perdite delle scommesse sugli incontri, anche canini. C'è una cartellina in cui si parla solo di me, inizio a fare tutti i totali, mi sorprendo nel scoprire quanto guadagnano ad ogni incontro.


Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora