41. Credi di avermi spezzata?

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Prima mi ero limitata ad uno spinello, ora sono diventati tre, ho bevuto circa cinque birre e due bicchierini di Scotch. Sto ridendo, non so per quale motivo, credo per il fatto che Tom e il suo amico si stiano picchiando e anche piuttosto forte, ma non ho alcuna intenzione di dividerli. Thomas si merita qualche cazzotto, ma non oso assestarglielo io, non perché sono codarda, forse anche per quello, tuttavia non è il motivo principale.

Cinque ore dopo...
Sono distesa sul letto, ora ricordo perché non mi ero mai drogata, bevevo, ma non fino a ridurmi ad uno straccio come sono ora. Solo in quel breve momento ti dimentichi dei problemi, ma non di tutto; diventi un'altra persona, non ricordi un accidenti di quello che hai detto o fatto, è: orribile. Thomas ha già smaltito tutto, gli occhi un po' arrossati e qualche livido che si sta formando sono gli unici che rivelano quel che in realtà è accaduto.
«Non pensavo che non avessi mai fumato erba» confessa mentre mi passa un bicchiere d'acqua. Lo vuoto in un secondo e poi ammetto «No, quella mi mancava». Lui sorride, si siede sul letto e poi inizia ad alzarmi il tessuto della maglia, ma stavolta non per constatare che non avessi nessuna cimice addosso. I suoi occhi felini esprimono nitidamente quel che vuole ed al solo pensiero mi si accappona la pelle. Mi scosto e decido di usufruire di una scusante «Scusa, ma ancora non mi sono ripresa del tutto, poi la mia mente ancora non riesce ad accantonare da qualche parte la verità sull'incidente». Lui si ferma con mia grande sorpresa. Inutile dire che il mio stupore viene frantumato nello stesso modo in cui un specchio si spacca quando lo si colpisce con una pietra, perché le mie orecchie intercettano l'ultimo messaggio di Tom prima che la porta si chiuda dietro di lui, «Non ti preoccupare che stasera sarai in perfetta forma e recupereremo tutti gli appuntamenti pomeridiani che abbiamo saltato, compreso quello di oggi».
Mi copro gli occhi con il braccio, la luce forte del mezzogiorno mi infastidisce. Provo ad addormentarmi, a quanto pare ci riesco, e per fortuna sprofondo in un sonno privo di qualsiasi sogno o incubo.

Thomas:
La vedo stesa sul letto, non è nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata molte ore fa. Non l'ho chiamata per la cena, ma le ho portato la pietanza in camera. La scuoto, i suoi occhi da cerbiatto si spalancano, le indico con il capo il piatto su un tavolino, lei si alza, lo prende e si siede su una vecchia sedia che scricchiola.
Finisce con gusto gli spaghetti e poi mi raggiunge. L'attiro a me e inizio a toglierle i pantaloni, lei sembra distaccata, poi specifica «Quando ho detto che non volevo farlo con te, intendevo nemmeno stasera». Sospiro e me la scrollo di dosso facendola cadere a terra. Esco dalla stanza sbattendo la porta, lasciandola stesa ai piedi del letto.

Sasha:
Mi alzo a sedere, sono intimorita da Tom, ho paura di aver innescato una bomba che, esplodendo, potrebbe provocare danni di cui non conosco la gravità.
Concedermi a Thomas non è stato mai piacevole, anzi tutt'altro; ma ora che so tutta la verità, ogni volta che mi bacia, rivivo le immagini più dolorose che io abbia mai visto.
Aspetto, camminando avanti e indietro lungo la stanza. Finalmente Tom compare sulla soglia della porta ponendo così fine alla mia sfiancante e ansiosa attesa.
Viene a letto, si stende non emettendo nemmeno un lieve sibilo. Questo silenzio mi snerva,
«Mi dispiace...» Inizio a dire, ma lui mi blocca, «Non ti preoccupare, ora dormi». Lo dice senza una chiara espressione. Apro la bocca per richiuderla subito dopo, essendo incerta se parlare o meno, ma per sicurezza non proferisco parola.

La mattina mi sveglio, lo trovo in piedi mentre riflette accarezzandosi l'accenno di pizzetto sul mento. Appena nota che sono sveglia mi viene subito incontro, posandomi un bacio sulle labbra, io ricambio controvoglia. Una volta che ci siamo staccati ansimo «Dovremmo parlare». Lui non mi risponde, si stende su di me e fa quello che avrebbe voluto fare la sera precedente. Nel mentre io cerco di trattenere le lacrime e ci riesco. Giuro a me stessa che dopo quest'esperienza, farò l'amore solo, mai più sesso. Dentro di me so che non sarà facile però dimenticare tutto questo, ricorderò ogni: movimento, rumore, bacio e sguardo. Quegli occhi che ti fanno pietrificare dalla paura. Inevitabilmente una lacrima sfugge al mio controllo ricordando quando, per la prima volta, rimasi paralizzata dalla bellezza degli zaffiri incoronati da smeraldi di Jacob.
Dopo essersi saziato di me, si stende sul letto e cerca la mia mano, l'afferra e la stringe forte. Mi volto a guardarlo, non sorride, poi mi confida «Ho una sorpresa per te» non lo dice con enfasi, usa tono piatto. 
Mi fa alzare e mi accompagna nella cantina fino ad arrivare nella stanza di pietra. Lì, l'uomo che mi tiene d'occhio quando Tom è troppo impegnato a bere o a fumare, è voltato di spalle.
Poi si gira e quello che vedo mi spezza.

Thomas:
Vedo i suoi occhi, il suo cuore sbriciolarsi. Per tutto questo tempo non sono mai stato mai capace di piegarla alla mia volontà. Io la amo, ma sento che lei non prova altrettanta dedizione per me, nonostante io sia un ragazzo stupendo. Se solo avessi saputo che bastava questo per farmi scongiurare, l'avrei fatto molto tempo prima.
«Che significa q-questo?» Chiede rivolgendomi gli occhi da cerbiatto spaventato,
«Ah questo devi dirmelo tu». 
«Mio p-padre era morto per me, in senso figurato...»
«Posso chiedere il perché?»
«Molte discussioni sono accadute dopo la morte di... E prima che io partissi per l'America». Annuisco, noto che Sasha non ha ancora cercato di incrociare lo sguardo del padre. Ci prova varie volte ad alzare gli occhi, ma prima di incontrare i suoi li abbassa nuovamente. Mi stufo di quella inaspettata debolezza, quindi da dietro le prendo i capelli e li tiro in modo che lei possa finalmente avere lo sguardo all'altezza di quello paterno.

Sasha:
I suoi occhi non sono più velati come li ricordavo dopo l'incidente: è sobrio. Dopo tanto tempo, tanto dolore, finalmente non è ubriaco. Nei suoi occhi c'è il dispiacere, dai miei non so quale emozione traspare, credo che siano imperscrutabili. Thomas fa un gesto all'uomo che possiede una pistola, «No! Fermo!» Urlo, ma lui non ha intenzione di fare quel che gli ho detto. Così, quando sta per premere sul grilletto, mi scaravento su di lui. Tuttavia la pistola sputa il proiettile ugualmente. Mi volto verso mio padre che ha una mano sanguinante premuta sull'addome, poi si inginocchia per infine stendersi. Gli corro contro e mi chino di fianco a lui, «M-mi dispiace, ti ho fatta soffrire» una lacrima gli cade all'angolo dell'occhio.
«Quello non eri tu, il mio papà era colui che rientrava a casa la sera e dava un bacio alle figlie». Il suo sguardo si perde nel vuoto e mi sussurra con un flebile frammento di voce «Ora rivedrò tua sorella e tua madre... Sto morendo... Ti voglio bene». Gli sfioro la guancia, chiude le palpebre con un tremolio. In poco tempo il respiro si interrompe, il petto si abbassa di colpo. Lo guardo con gli occhi spalancati e la gola sbarrata, il suo torace rimane basso, non si solleva più.

Thomas:
Sasha si porta una mano alla bocca, poi si volta di scatto verso me, si alza e lentamente sorpassa il corpo del padre senza guardarlo. Quando sta a meno di tre metri da me, inizia a digrignare i denti. In un attimo me la ritrovo addosso, mi dà due cazzotti sugli zigomi, mi sta per sferrare un gancio destro quando Bryan me la scrolla da dosso.
«Portala nella sua camera» ordino.

Sasha:
Non ci capisco niente più, non basta essere rinchiusa qui; no, dovevo vedere anche morire mio padre. Non piango, me lo proibisco, però non so per quanto tempo ci riuscirò. Thomas pensa di avermi distrutta finalmente, ma non è così. Entra proprio l'ultima persona che vorrei vedere: Tom!
Cammina alla larga, come un leone che ha trovato la preda e le sta girando attorno. Peccato che lui si può considerare di più un cucciolo, perché si espone solo se attorno a lui ci sono altre persone, in questo caso c'è quell'uomo, Bryan. Giuro che prima o poi li farò soffrire talmente tanto da fargli perdere conoscenza.
Lo fisso dritto negli occhi, poi sorrido e assottiglio le palpebre a mo' di sfida «Sai che diceva sempre mia sorella quando c'era stata una giornata brutta?» Lui non cammina più, per la prima volta sono felice che i nostri occhi si incastrino, continuo «Alza le chiappe, non permettere a nessuno di sconfiggere un'Anderson. Beh, tu una l'hai già distrutta, ma non ti permetto di fare lo stesso con me, e sai che ti dico? Hai ucciso un'Anderson, ma non solo, mi hai tolto tutto e per questo dovrai pagare! Potrai dirmi di non aver paura di nulla, però una cosa dovrai pur temere: la morte! Perché puoi: essere ricco o povero, misericordioso o spregevole, ma sempre in cenere ti ridurrai. Stai bene in guardia per quanto riguarda me, perché mi accerterò personalmente che la tua sia una morte lenta e dolorosa». Lui espira rumorosamente ed esce dalla stanza. 


Non scrivere mai la parola fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora