Sono seduta sulle fredde e impersonali panchine dell'aeroporto, attendo l'annuncio del mio aereo, nel frattempo dondolo avanti e indietro i piedi, come se fossi una bambina che sta aspettando che la mamma arrivi e le porga tutte le caramelle che ha appena comprato.
Mi sento così: una piccola bambina che attende qualcosa che non arriverà mai.
Finalmente una voce meccanica mi attanaglia le orecchie, il mio volo è stato annunciato.
Mi siedo e volgo lo sguardo alla mia destra in cui è situato il finestrino. Penso a quando vicino a me c'era seduto Jake, quando lui e Nick pensavano che io avrei ceduto. Penso a tutto quello che ho passato in questi due anni, ho trascorso periodi magnifici che non credevo potessero esistere, o almeno credevo che non fossero possibili per me. Ovviamente niente è rose e fiori, basta ricordare il periodo che purtroppo ho trascorso con Thomas, o quello che ho trascorso con i miei genitori, quando c'era mia sorella a confortarmi o comunque potevo sfogarmi con lei, invece se adesso Jacob non mi vorrà più sarò sola, perché combino sempre guai? Mi sfrego la faccia, sento gli occhi pungermi, sono gremiti di lacrime. «È inutile che piangi, è tutta colpa tua, perché volevi restare in questo posto? Forse ha ragione, non lo ami più, forse non lo vuoi perdere solo per non rimanere sola». Taci Charly, ti stai sbagliando di grosso, io lo amo e non voglio ritornare da lui per non restare da sola, solo perché mi manca e non posso stare senza di lui voglio ritornare lì.L'aereo atterra e io prendo un taxi per andare a trovare Jake a scuola, non ce la faccio ad aspettare.
Jacob:
Arrivati a casa mi dirigo subito nella mia stanza, ma sembra troppo piccola e ogni secondo si stringe sempre di più attorno a me. Infilo una tuta ed esco di casa.
Con gli auricolari nelle orecchie inizio a correre, è molto tardi, il buio avvolge ogni cosa, per fortuna però ci sono i lampioni che illuminano tutto.
Arrivo vicino al bosco in cui Sasha si addormentò sulle mie gambe quando scappò dallo psicologo. Ricordo come mi raccontava tutto e mi distruggeva ogni sua lacrima come faceva altrettanto ogni sua parola, perché era dettata da un dolore immane. Cado in ginocchio, l'ho persa, è rimasta in Italia, non ho nemmeno la possibilità di vederla tra le strade o nei bar. Lei mi è entrata nel cuore e non posso nemmeno provare a dimenticarla perché lei pian piano è diventata il mio cuore: il motivo per il quale rifiutavo ogni ragazza, la causa per cui io posavo ogni sigaretta e ogni drink, ma ora sono in caduta libera, non ho più freni, non ho più il mio freno. La cerco disperatamente ed è estenuante poiché so che non la vedrò più, lei non dico che mi ha già dimenticato ma sicuramente non sta soffrendo come me. Mi siedo sull'erba e poso la schiena vicino alla corteccia di un albero secolare.
Apro gli occhi e mi ritrovo le guance un po' incrostate e umide, non ho mai pianto per nessuna ragazza, ma per lei sì, sono troppo innamorato. Eppure non posso fare nulla, mi ha lasciato, devo accettarlo.
Sono le sette di mattina, mi alzo e corro verso casa.Michael:
Jacob non viene a fare colazione, così mi dirigo verso la sua camera. Busso ma non odo nessun rumore, decido di entrare, tuttavia non lo vedo, sul letto e appallottolato il jeans che indossava durante il viaggio, capisco che è andato a fare una passeggiata. Decido di non chiamarlo, sono felice perché sta sfogando la rabbia e il dolore con qualcosa di diverso da alcol e sigarette. Lo vedo arrivare e gli sorrido ma lui non ricambia, il che non mi stupisce né ferisce. Il tragitto in macchina è insolitamente silenzioso, tuttavia non c'è motivo per preoccuparmi, saranno ancora storditi dal viaggio.Sasha:
Sono le due di pomeriggio, chiedo in segreteria di poter incontrare Jacob Brown, però mi dicono che stamani non è presente. Ciò nonostante non ci credo e chiedo di poter andare a verificare io stessa, ma ovviamente me lo vietano. Quando mi hanno detto che era assente non ci volevo credere perché se non è andato a scuola o sta male o ha compiuto qualche pazzia, ed è tutta colpa mia.
Comunque, un po' affranta, non mi perdo d'animo e vado verso la casa di Mike.
Ricordo quando ho trovato Belle, chissà come sarei diventata se fossi rimasta con Thomas, forse apatica, cinica e crudele.
Suono il campanello, sento dei passi leggeri che mi vengono incontro, la pesante porta si apre e compare la figura di Carmen, mi sorride, «Hai fatto presto, pensavamo che il servizio di cui ti dovevi occupare ti avrebbe tolto più tempo. Sono felice di rivederti», servizio? Mi sono persa qualcosa?
«Chi ti ha detto che dovevo sbrigare una faccenda?»
«Nicolas e mio figlio».
«Ah, forse non dovrei dirtelo, ma sono andata a scuola per dirgli che ero arrivata e lui non c'era».
«Oh, non so dove sia, mio marito mi ha detto che era andato a correre come tutte le mattine solitamente fa, ma poi pensavo che fosse andato a scuola con la moto».
«Da quanto tempo non lo vedi?»
«Da ieri sera, ricordo che stava piegando dei panni quando l'ho chiamato per la cena, stava bene».
«Mi sto un po' preoccupando, vado a cercarlo con la macchina, ok?»
«Fammi sapere» dichiara Carmen. «Certo, spero il prima possibile».
Controllo se nel portafogli ho la patente, ovviamente falsa, però con Nick ho eseguito molte prove guida.
Parto e percorro la strada che porta al bosco in cui mi sono rifugiata quando sono scappata dallo strizzacervelli. Parcheggio frettolosamente l'auto e scavalco la bassa staccionata, che tra l'altro, è mezza abbattuta. Chiamo il mio fidanzato a gran voce, ma non ricevo alcuna risposta. Non mi scoraggio e cerco sul lungo mare dove giocavamo a obbligo o verità, però non l'ho ancora trovato. Lì vicino c'è un bar in cui Jake spesso va perché incontra i suoi amici, tuttavia il barista mi ha detto che non lo vede da un po'.Mi siedo sul sedile in pelle nera, picchietto con i polpastrelli il volante, non ho idea di dove posa essere, poso la fronte sul manubrio. Mi ridesto dal mio animo scoraggiato e metto subito in moto, c'è un altro posto dove ancora non ho cercato: il fiume! Di lì non passa anima viva e poi nessuno penserebbe che possa essere lì.
Lo vedo seduto sull'erba chiara, chiamo Carmen per tranquillizzarla. Io, al contrario, sono molto agitata perché non ho idea di come ha reagito e di come reagirà.
«Ciao» sibilo mentre mi siedo cautamente vicino a lui. «Ehi, bellezza».
«Sei ubriaco?»
«No, meglio», la sua voce è strana così come lo sono i suoi occhi, «Non mi dire che ti sei fatto uno spinello?»
«Perché, ci sono problemi per te? Basta che scopiamo poi non ti devi preoccupare per me, è solo una sveltina».
«Non mi riconosci?»
«Effettivamente sei molto simile alla mia ex fidanzata, solo che è impossibile che sia tu, perché lei è in Italia».
«Andiamo a casa?» Sta proprio male, «Adoro le ragazze che vanno dritte al punto». Inizia a ridere, gli do una mano ad alzarsi, barcolla sulle sue lunghe gambe e la sua risata si fa più fragorosa. «Attento a non sbattere con la testa quando entri in auto».
«Anche premurosa dolcezza, eh?» Non rispondo, sto male nel vederlo così, ed è tutta colpa mia.Parcheggio nel garage, per fortuna la macchina di Carmen non c'è, forse sapendo che il figlio sta bene è andata a fare delle commissioni.
«Attento ai gradini», lo conduco in bagno. Lo faccio spogliare e riempio la vasca con dell'acqua gelida, ovviamente mica ci può entrare senza protestare. Dopo mezz'ora di questioni finalmente si immerge, ride e mi guarda.
Sento la porta di ingresso aprirsi e Carmen arriva con tre sacchetti della spesa, «Jacob si sta facendo la doccia, io vado a sistemare i miei panni, ti dispiace se non ti aiuto?» Lei mi sorride e mi congeda calorosamente. Corro in bagno per paura che lui possa combinare qualche stupidaggine. Invece, come al solito, mi stupisce: ha gli occhi chiusi e la pelle d'oca. Gli sposto i capelli umidi dalla fronte e gli sussurro «Mi dispiace se hai freddo, ma questo ti aiuterà».
Una voce familiare risuona in corridoio, mi precipito verso di lui: Nick!
È molto confuso, ma è contento di vedermi. Mi rifugio tra le sue braccia piangendo, «Credo di aver fatto una cazzata!» Lui annuisce e dichiara «Sì, l'hai fatta, tuttavia sei qui per rimediare, giusto? Emetto un lievissimo «Sì», lui continua, «Carmen mi ha detto che stavi sistemando la tua stanza, così sono salito al piano di sopra, ma tu sei uscita dal bagno, se non sbaglio». Gli prendo la mano e lo conduco fin da Jake. «Alcol?»
«No, canna».
«La regge abbastanza bene, mica Carmen lo sa?»
«No, le ho detto che si stava facendo una doccia. Bella l'idea che dovevo sbrigare una faccenda, ma se non ritornavo?»
«Però sei qui, no?»
«Mi conosci proprio bene, che dobbiamo fare con lui?»
«Aspettare solamente», gli solleva una palpebra e vede che gli occhi sono meno opachi e già più limpidi e attivi. «Nick, secondo te mi perdona?»
«Per ridursi così ci tiene davvero a te, ma comunque già prima non avevo dubbi. Stavolta, però, hai toccato quasi il fondo... Tuttavia solo lui e l'amore avranno valore in questa faccenda».
«Lo so». Il mio migliore amico mi posa un braccio sulle spalle per confortarmi, mi appoggio a lui, mi sento esausta, come se avessi corso dall'Italia fino a qui.
«Che cazzo di freddo!» Sentiamo dire alle nostre spalle, «Oh, il bell'addormentato nella vasca si è svegliato» esclama divertito Nicolas. Nel frattempo porge una mano a Jake che si alza e strappa con violenza un asciugamano dall'attaccapanni. Ancora non mi ha notato. «Come ci sono arrivato qui? Io non ero vicino a un fiume?»
«Ti ha portato lei» dice il mio amico mentre mi indica. Jacob mi vede e resta interdetto, Nick mi dà un bacio sulla guancia e se ne va. «Ciao» sibilo, «Perché sei tornata?»
«Mi mancavi...»
«Non puoi fare come ti pare e piace, sai quanto ci ho sofferto. Lo so che sono stati solo due giorni, ma sono stati i più brutti che ho trascorso da sei mesi a questa parte».
«Mi dispiace».
«Ah, non sai quanto fa piacere a me soffrire come un animale che viene bastonato ogni secondo sul punto in cui il dolore prende ogni singola forma».
«Non ho mai detto che a te piace soffrire».
«Non c'è bisogno che tu lo dica, si capisce da ciò che fai, a te piace torturarmi».
«Non è vero e lo sai benissimo».
«Allora perché restare lì e poi ritornare?»
«Perché mi mancavi e ti amo».
«Dovevi dimostrarmelo».
«Quante volte te l'ho dimostrato? Non basarti su un solo fatto per favore».
«Come faccio, me lo spieghi? Come puoi dirmi: "Voglio lasciarti"! Su due piedi, in un aeroporto?!»
«È stato uno sbaglio».
«Lo so, ma chi mi dice che non lo farai ancora?» La sua voce è cambiata, non è più arrabbiata e carica di rancore, ha paura di soffrire nuovamente.
«Jake, non ho mai promesso niente a nessuno, ma a te prometto una cosa: non ti lascerò mai, non posso, ormai i nostri cuori battono all'unisono...»
«Ora devo andare» conclude ed esce dalla stanza. Vado in camera mia, infilo gli auricolari nelle orecchie e al buio mi stendo sul letto.Nicolas entra e mi chiede se voglio cenare, ma gli rispondo che non ho fame, lui sospira e, prima di chiudersi la porta alle spalle, sussurra un «Mi dispiace». Questo non fa altro che bagnarmi, con una lacrima in più, la guancia.
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Non scrivere mai la parola fine
RomanceSasha è una ragazza che dell'adolescenza ha vissuto poco e niente, eccetto per le birre e i pacchetti di sigarette vuote che la circondano a tarda notte dopo che, piena di lividi, ha terminato gli incontri di boxe. Una notte, che sarà decisamente d...