1 anno prima.
Peter.La chemio fa schifo.
Era dolorosa e durante la terapia vomitavo come un dannato ubriacone. Mi faceva male la pancia, mi faceva male la testa e non riuscivo neanche a distrarmi guardando un maledetto film.
Odiavo stare in una stanza con altri malati che soffrivano con me, non volevo far parte di loro. Volevo solo tornare a casa mia e dormire.
Il dottor Jacobs insisteva che secondo lui avrei dovuto vedere uno psicologo per parlare della situazione, ma di strizza cervelli io non ne volevo sapere nulla. Non mi serviva parlare della situazione, comprendevo benissimo cosa mi stava succedendo e non avevo bisogno del sostegno di nessuno.
Mi faceva schifo vedere come stava cambiando il mio corpo, non riuscivo neanche a guardarmi allo specchio.
Ero dimagrito troppo e non mi stavano la metà dei miei vecchi pantaloni. Avevo due occhiaie da far schifo perché dormivo malissimo e la mia pelle era diventata cadaverica. Sembravo già morto.
Avevo perso quasi tutti i capelli e avevo deciso di rasare a zero il resto. Fortunatamente avevo ancora le sopracciglia, almeno con quelle non sembravo del tutto un malato terminale. In reparto con me c'erano ragazzi che avevano la testa talmente liscia e lucida che sembrano palle da bowling.
Erano bastate solo poche settimane e già sembravo uno di quei malati del cazzo. Anzi... sono un malato del cazzo!
Avevo deciso di non andare più a scuola, almeno per un po'. Mia mamma era d'accordo. Non volevo ancora farmi vedere completamente rasato.
Avevo perso le ultime tre settimane di lezione e adesso con le vacanze di Natale potevo stare un po' tranquillo.
I ragazzi mi avevano cercato, mi chiedevano che cosa mi stesse prendendo, ma ignoravo tutti. Non avevo voglia di dare spiegazioni.
So che mia mamma aveva sentito Sam, ma lei era rimasta vaga seguendo le mie indicazioni. Una cosa positiva di lei era che almeno in questo mi rispettava.
Era difficile per mia mamma, forse più per lei che per me e per questo la stavo tenendo a distanza. Non volevo vederla soffrire, avevo bisogno di stare da solo.
Il mio unico amico e compagno di giochi in questo periodo era Salsiccia, quella lurida palla di pelo. Avevamo iniziato a legare... o meglio, lui mi stava sempre attorno e io mi ero ritrovato a parlare con lui come se uno stupido cane potesse capirmi.
Era il giorno della vigilia e mia mamma invece di fare il solito cenone con pesce e patate organizzò una festicciola con un po' di suoi amici.
La gente era iniziata ad arrivare il pomeriggio. Faceva freddo e mia mamma aveva acceso nella postazione barbecue in giardino sul retro un fuoco per non far congelare tutti gli invitati e aveva tirato fuori dei funghetti per scaldare l'ambiente che avevano comprato apposta per queste feste. Era una bella idea. Stavamo bevendo vin brûlé e cantando vecchie canzoni dei Dire Streits. Almeno quella era una bella giornata e potevo permettermi di non pensare alla mia malattia.
Joanna, un'amica di mia mamma dai tempi del college, mi stava seduta accanto su una delle panche da giardino mentre suonavo la chitarra e cantava con me Sultans of Swings. Lei faceva un sacco ridere sia per il suo strano accento, sia per il modo che aveva di vestirsi, sembrava uscita da una serie punk anni novanta. Mia mamma conosceva solo questi strani soggetti. Joanna mi piaceva, mi aveva praticamente visto crescere... e presto mi avrebbe anche visto crepare.
Bill stava battendo il ritmo con noi e altre persone ci avevano circondato cantando con noi o semplicemente parlando tra di loro.
"Sabrina, tuo figlio è una rockstar!" Gridò Joanna a mia mamma quando finimmo la canzone.
Mi misi a ridere per l'enfasi che aveva dato alla parola rockstar.
"E poi questo cappellino ti sta da paura" mi disse cercando di avvicinarsi con la mano alla mia testa. Io mi scostai da lei ancora ridendo. In quei giorni andavo sempre in giro con un berretto nero, non ero pronto a farmi vedere senza capelli.
"Come hai detto che si chiama il tuo gruppo?" Mi chiese prendendo in mano il suo bicchiere di vino che aveva appoggiato sul prato vicino alla panca su cui eravamo seduti.
"Peter's machine" dissi.
"Ah quindi tu sei il grande capo!" Disse prendendomi in giro.
"E che capo!" Confermò Bill.
Io alzai gli occhi al cielo.
"Peter! Peter! Dov'è mio figlio?" Mia mamma uscì in giardino per cercarmi e si guardava attorno cercando il mio volto.
"Mamma sono qui!" Urlai.
"Ci sono i ragazzi" mi disse sorridente.
Di colpo sbiancai. Si spostò dalla porta ed uscirono sul retro tutti quanti, uno alla volta: Josh, Sam, Cris, Jack e... lei non c'era. Il mio diamante grezzo non era lì.
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Obbligo o Verità?
RomanceABSTRACT Sognava il successo, i concerti negli stadi, gli applausi, i dischi di platino e le premiazioni ai Grammy. Peter sognava la musica, e lo faceva in grande. Niente di ciò fu mai realizzato e il suo ricordo visse solo nella mente dei component...