CAPITOLO QUARANTACINQUE

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«Salve, sono Luna McCall. Un paio di mesi fa ho sporto una denuncia per stupro» dissi distrattamente dopo essere entrata nella centrale di polizia ed essermi diretta al banco informazioni. «Oh, Luna, come va'? È successo qualcosa? Mi auguro che quel Matthew non ti stia dando più fastidio» mi interrompe gentilmente l'agente Parrish che era seduta dietro il bancone, sono così agitata che non mi ero neanche accorta fosse lì dietro. «In realtà non benissimo, da quando Harris è stato rilasciato me lo ritrovo letteralmente ovunque, non ne posso più.» «Quel ragazzo dovrebbe rimanere chiuso in una cella per i prossimi dieci anni, immagino non stia rispettando l'ordine restrittivo, vero?» domanda retorica con un'espressione comprensiva dipinta in volto. Lara Parrish è una donna sui trent'anni con dei bellissimi capelli castani e la pelle ambrata, è un po' robusta e ha dei grandi occhi marroni che emettono calma e tranquillità solo al pensiero, è fantastica e trova sempre il modo per farti sorridere. È lei che mi ha aiutato quando sono venuta a denunciare, mi ha seguita passo passo fino a quando non si è accertata che Jacob e Zoe fossero ragazzi per bene e non come Matthew.
Sussurro un «già» e sposto una ciocca di capelli dietro il mio orecchio mentre osservo il disegno di un drago sul mio braccio destro. «Oggi è anche venuto a cercarmi ad una festa, ha chiesto di me ai miei amici dicendo che voleva parlarmi, ma il mio ragazzo mi ha portato via prima che mi potesse cercare», tengo lo sguardo basso iniziando ad osservare le mie scarpe bianche. «A questa festa c'era tanto alcol?» Annuisco in risposta posando, nuovamente, lo sguardo sulla donna davanti a me che ridacchia portandomi in una stanza piena di agenti tutti in divisa. «Colleghi, ricordate il caso Harris?» aggiunge con un tono di voce alto, catturando l'attenzione del personale «Il ragazzo che pochi giorni fa è uscito su cauzione, a cui è stata data un'ordinanza restrittiva di almeno dieci metri e che non deve andare in posti in cui è presente alcol? Beh, ha violato tutto ciò che gli era stato chiesto di non fare ed ora lo possiamo sbattere di nuovo dentro» afferma entusiasta ai suoi colleghi che esultano felici, mi sorridono per poi mandarmi via dicendo che ci avrebbero pensato loro e che lui non mi avrebbe più dato fastidio. Sono felice che mi abbiano aiutata, so che è il loro lavora, ma non ho mai visto la polizia come qualcosa di "buono". A Los Angeles non facevo altro che scappare da loro mentre ora, mi rendo conto, che lo facevano solo per il mio bene. Esco da quella stanza con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Ho risolto, possiamo andare» dico al mio ragazzo che mi stava aspettando seduto su una sedia da solo. Sorride prendendomi la mano e portandomi in macchina.

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