CAPITOLO TREDICI

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Stiamo girando da più o meno mezz'ora tra le strade di Detroit, Dylan mi ha portato nei posti più belli e significativi della città. Dovremmo incontrare il suo ragazzo tra non molto. Ci sediamo su una panchina ed iniziamo a parlare del più e del meno, ma ad un tratto fa una domanda che evito da, quasi, un anno a questa parte: «con il tuo migliore amico vi sentite ancora?» Mi sembra un ragazzo affidabile, un buon amico ed una persona fantastica, ma non sono tanto sicura di potermi fidare, in fondo ci conosciamo da due giorni. «Diciamo che non posso sentirlo» dico sperando che ne colga il significato. «Cioè? Tu non puoi scrivergli o chiamarlo?» «Lui è morto, tra due mesi sarà un anno esatto.» Dylan ha dipinta in volto un’espressione tra il dispiaciuto e il triste, penso che si stia sentendo in colpa per aver toccato quest’argomento per me molto delicato. «Tranquillo, l'ho superata ormai, fa male parlarne ma non come prima. Vedi, da quando è morto non faccio altro che sentirmi in colpa, perché è solo colpa mia, se non l'avessi chiamato per venire da me lui sarebbe ancora vivo. Se solo gli avessi dato ascolto lui non avrebbe fatto nessun incidente ed io non sarei dall'altra parte dello stato con persone come Jacob o la sua fidanzatina» non pensavo che tenersi tutto dentro mi avrebbe portato a questo. Sono un tale casino. Quando Nicholas ha fatto l'incidente è stato a causa mia, era la sera tardi dell’undici novembre, a breve sarebbe scattata la mezzanotte ed io avrei festeggiato il mio sedicesimo compleanno. Lui, avendo due anni in più di me, aveva già il patentino e poteva guidare la moto. Lo chiamai per venire da me a festeggiare, ero sola a casa, i miei sarebbero stati via tutta la notte e c'era un bel po' di alcol. Mi rispose mortificato dicendo che non poteva, che era tardi e che per farsi perdonare il giorno dopo mi avrebbe portata al luna park, ma io insistetti e così venì da me. Non suonò mai il campanello e non si arrampicò sull'albero che affaccia sulla mia camera. All'una e mezza mi chiamarono dicendomi che un camion gli era andato addosso e che era morto sul colpo. «Hey, sta calma non è stata colpa tua, non ci pensare minimamente. Sono sicuro che si sarebbe arrabbiato se avesse sentito queste parole uscire dalla tua bocca» è vero l'avrebbe fatto, sorrido pensando alla situazione. Se solo lui fosse ancora qui con me.
Dylan riceve una chiamata dal suo ragazzo che ci sta aspettando in un bar qui vicino. Arriviamo nel locale, un ragazzo alto, dai capelli scuri e i lineamenti marcati si avvicina a noi sorridendo. Saluta il mio amico con un bacio sulla guancia e poi si presenta a me: «ciao, sono Christian. Tu devi essere Luna, giusto?» «Si, sono io, è un piacere conoscerti» cerco di essere il più sorridente e gentile possibile, mi ispira un sacco di simpatia. Ci sediamo ad un tavolo ed ordiniamo da mangiare. D'un tratto nella caffetteria entra Maddy seguita da delle sue amiche. Ci vede e si gira verso il nostro tavolo notando Dylan e Christian tenersi tranquillamente per mano, si gira versa le sue amiche e dice: «ora va in giro anche con i froci, quella Luna ha dei seri problemi.» Mi può anche insultare dandomi della puttana, ma deve tenere lontana dalla sua boccaccia sputa veleno: Dylan e tutte le persone di cui inizia ad importarmi qualcosa.

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