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1532, Costa del Perù

Gli stranieri giunsero dal mare. Gli indigeni raccontavano di grandi palazzi, castelli o torri, galleggianti e capaci di muoversi sull'acqua, accompagnati da forti boati: i cannoni, che segnalavano all'equipaggio l'avvistamento della terraferma, sconosciuti agli abitanti del Nuovo Mondo che li scambiavano per semplici tuoni.
Una miriade di piccole imbarcazioni solcavano le onde. Gli uomini al loro interno affondavano i remi nell'acqua azzurra e spingevano con forza. Imbarcazioni che, tanto numerose quanto cariche di uomini al loro interno, si avvicinavano alle spiagge.
Gli indigeni credevano di star assistendo all'avvento di divinità a loro sconosciute. Rimasero stupiti dei grandi mezzi, e delle avanzate tecnologie, di cui gli uomini venuti dal mare erano in possesso ma, allo stesso tempo, erano terribilmente spaventati dalle enormi bestie che cavalcavano.

Il grande impero Inca, già scosso al suo interno dalla guerra civile tra Atahualpa, campione di Quito, e il fratello Huascar, signore di Cuzco, cadde nel panico; la popolazione era conscia che nel Nord, l'avvento degli stranieri aveva provocato il crollo dei grandi imperi Maya nella penisola dello Yucatan e in Guatemala, da tempo sull'orlo del collasso, e dell'impero Azteco, nel Nord del Messico; ma i capi dei due schieramenti non se ne curavano, affermando di essere attesi da un destino diverso. Se davvero gli stranieri erano divinità, come il popolo Inca e le tribù indigene del Sud America sostenevano, allora erano lì con il solo scopo di ergere sul trono dell'Impero il suo legittimo sovrano.

A capo degli Spagnoli vi era Francisco Pizarro. Egli aveva già visto di quali ricchezze disponesse quella terra e la fortuna ottenuta dai Conquistadores in America Centrale alimentava le sue speranze di trovare un luogo sconosciuto e ricco oltre ogni misura, una terra da conquistare. Quando la notizia delle fortune rinvenute da Hernan Cortes giunse a Panama, il suo desiderio di eguagliare il connazionale venne stimolato in maniera inimmaginabile.
Pizarro aveva già guidato, nel 1524, una spedizione in Sudamerica; conclusasi però rovinosamente e costata la vita di molti soldati. Quello era il secondo tentativo, stavolta aveva deciso di puntare a est, verso il Perù; ma i risultati non furono migliori. L'ordine di ritornare a Panama, quando ormai si era accertato che anche quel tentativo era stato un fallimento, come il precedente, si rivelò la chiave di volta per ottenere l'accesso al regno andino degli Incas.

Il Nord era stato un importante insegnamento per gli Spagnoli, Pizarro e i suoi sapevano quanto vasto fosse quel grande Impero che era stato capace di sottomettere tutte le tribù andine; ma davvero quello che avevano visto in Messico sarebbe stato come ciò che speravano di trovare in quelle sconosciute terre del Sud!? La situazione ai Conquistadores era chiara, la rivalità tra i signori Incas sarebbe stata la chiave per mettere le mani sullo sconfinato impero sudamericano, serviva solo la pazienza di attendere il momento più opportuno per inserirsi nel conflitto. Né Huascar e né Atahualpa avevano mai mostrato segni di debolezza nei confronti dell'altro perché sia il regno di Quito che quello di Cuzco possedevano una grande potenza militare. Pizarro e gli altri capi della spedizione non perdevano la speranza, sapevano che prima o poi si sarebbe aperta una crepa nel conflitto cui far entrare la superiorità strategica dei soldati Spagnoli e quella tecnologica delle armi europee, ma più lo scontro si trascinava e più quella speranza andava scemando.
Anche se tecnologicamente e strategicamente superiori, i Conquistadores non avrebbero mai potuto rischiare una battaglia campale contro entrambe le fazioni, sapevano che la superiorità numerica degli indigeni non lo consentiva. Per gli Spagnoli sarebbe stato un massacro.
La svolta sembrava non voler arrivare e i soldati desiderosi di trovare fortuna e ricchezza erano sempre più demoralizzati, alcuni pensarono addirittura che la spedizione fosse stata un fallimento e che bisognava quanto prima tornare verso le colonie in America Centrale. Forse nel momento in cui meno se lo aspettassero gli Spagnoli furono raggiunti da una gradita notizia; Atahualpa aveva sconfitto Huascar.
I Conquistadores non indugiarono un minuto e immediatamente l'esercito spagnolo si mise in marcia verso la città di Cajamarca, sulle Ande, dove Atahualpa li attendeva.

Durante il tragitto, la sensazione di molti era che in qualunque momento potessero trovarsi a fronteggiare un agguato degli indigeni. La strada verso Cajamarca, attraverso le montagne era ripida, scoscesa e perfetta per organizzare un'imboscata, essendo un numero esiguo in confronto all'esercito Inca sarebbero stati sopraffatti con perdite minime per gli indigeni; Atahualpa però aveva altri piani: voleva incontrare gli Spagnoli.
Una volta giunto a Cajamarca, Pizarro inviò un contingente di soldati a incontrare il sovrano Inca; Francisco era convinto di poter prendere il controllo di quelle terre senza sacrificare i propri uomini e i soldati di ritorno dall'incontro con Atahualpa confermarono quelle che erano le sue sensazioni: l'indomani il re Inca sarebbe venuto di persona a incontrarlo.
La sottomissione dell'impero Azteco, ad opera di Cortes, fu di grande ispirazione per Pizarro: se Atahualpa si fosse recato da lui, catturarlo avrebbe significato catturare il suo impero; ma il piano presentava una falla: l'Inca avrebbe avuto al suo seguito una schiera di trentamila guerrieri indigeni mentre le forze spagnole non contavano nemmeno un migliaio di uomini.

I preparativi furono meticolosi. I soldati furono disposti in maniera tale che, anche se in numero ridotto, avrebbero potuto facilmente sgominare l'imponente armata indigena. Il pretesto per lanciare l'attacco, non che servisse, lo diede lo stesso Atahualpa rifiutando di servire la corona spagnola e mostrando un'ovvia avversione alla parola di Dio. Gli indigeni non si resero nemmeno conto, in pochissimo tempo furono massacrati, con perdite minime per gli spagnoli, come si augurava Pizarro, e il sovrano fu fatto prigioniero.

Atahualpa era convinto che la morte incombesse su di lui, invece venne tenuto in vita e ancora al potere, anche se in misura ridotta. Sapeva bene che ciò a cui gli spagnoli si interessavano erano esclusivamente oro e ricchezze, così fu risparmiato dietro il pagamento di un pesante tributo: ottanta metri cubi di oro, più una quantità doppia d'argento.

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