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1540, Città di Quito

Racconti, tra gli spagnoli si sentivano solo racconti; se quello che gli esploratori prima e i Conquistadores dopo avevano trovato in Messico e nei Caraibi era una fortuna immensa quello che era stato trovato in Sudamerica non aveva eguali, ma la domanda che tutti si facevano era: "come aveva fatto Atahualpa ad avere a propria disposizione una così ingente quantità d'oro in così poco tempo?" Quella domanda rimase per molto tempo senza risposta.
Tra gli europei circolava da secoli la voce dell'esistenza di un luogo leggendario, ricco e stracolmo di oro; la scoperta di quelle terre così ricche, e la presenza di indigeni tanto agguerriti per difenderle, lasciava intendere che forse, la terra dove il mito della città d'oro sarebbe diventato realtà era stata finalmente raggiunta.

Le colonie in Sudamerica erano in fermento, poiché Manco, che era succeduto ad Atahualpa, era riuscito a fomentare le tribù Inca e a metterle contro gli spagnoli. La difesa della città di Quito rappresentava l'obiettivo primario dei Conquistadores; fosse stata persa, gli spagnoli si sarebbero trovati costretti a ritirarsi dalle Ande. In pochi giorni arrivarono in città numerose truppe sia da Lima che da Panama, tra queste vi erano due giovani: Matias Gonzalez, un ragazzo con capelli e gli occhi castani, e Gonzalo Cordoba, un ragazzo con capelli biondi e occhi azzurri, che avevano partecipato alla prima, rovinosa, spedizione in Sudamerica, agli ordini proprio di Francisco Pizarro, e, con maggiore fortuna, alla conquista del Messico, nell'esercito di Hernan Cortes.
I due erano l'uno l'opposto dell'altro, intraprendente Gonzalez, più tranquillo Cordoba, ma entrambi desiderosi di stare fianco a fianco nelle proprie avventure.
In quel momento, Quito era la massima espressione della cultura spagnola in Sudamerica ma, visto il loro status di soldati e considerando il fatto che la città si trovava in stato di massima allerta, godersela per i due era impossibile.
Era stata una lunga giornata di marcia, e i soldati avevano bisogno di riposo; l'intero contingente fu lasciato libero di girovagare per le strade della città, il giorno dopo sarebbero stati a tempo pieno nella guardia cittadina, quindi era meglio approfittarne.
Inseparabili com'erano, Gonzalez e Cordoba, passarono la giornata ad osservare i dintorni dall'alto delle mura; la giungla e le montagne rappresentavano una splendida cornice per la città, la vista di quel panorama faceva persino dimenticare che tra gli alberi potevano nascondersi orde di ribelli indigeni.
Rimasero quasi fino a sera, si ritirarono solo quando il sole iniziò a tramontare sulle Ande, in uno scenario davvero suggestivo.
Dopo il tramonto i due si recarono alla locanda della città, un piccolo, ma accogliente locale, molto frequentato da soldati e mercanti. Gonzalez e Cordoba se ne stavano in disparte in un angolo, circondati da un grande brusio di sottofondo; in quel trambusto Gonzalez riuscì a udire alcune parole che catturarono la sua attenzione, la parola "oro" difficilmente non veniva distinta, anche in un luogo molto affollato e caotico.
«Scusami, puoi venire qui?» chiese Gonzalez, all'indirizzo di un locandiere.
Al loro tavolo si avvicinò un uomo anziano e tarchiato, con la testa rasa e gli occhi castani. Si chiamava Hernan Ramos e solo a guardarlo incuteva timore, come ogni cosa o persona che si trovasse in quelle terre.
«Cosa posso fare per voi?»
Gonzalez indicò un tavolo alle sue spalle e disse: «Li sentivo che parlavano di oro. A cosa si riferivano?»
«Gonzalo Pizarro sta progettando una spedizione a est» spiegò Ramos. «Circolano voci su una terra ricca e florida. La chiamano País de la Canela.»
Anche dopo la chiusura del locale, i due rimasero a parlare con Ramos, spinti dalla curiosità.
«Ci sono diverse voci che girano. Pizarro vuole sfidare apertamente il governatore con questa spedizione.»
«Quando partiranno?» chiese Cordoba, che per la prima volta in vita sua sembrava voler prendere un'iniziativa.
«Pizarro è già partito per la valle di Zumaco, dove incontrerà il suo secondo in comando.»
«Chi è il suo secondo in comando?» chiese Gonzalez.
«Si chiama Francisco de Orellana, è stato mandato a Guayaquil per cercare nuove reclute.»
«Dobbiamo andarci e farci reclutare.»
«Domani prendiamo servizio nella guarnigione, se ce ne andassimo saremo considerati disertori» disse Cordoba, facendolo notare anche all'amico.
«Non preoccupatevi di questo. Se verrete reclutati non ci sarà alcun problema.»
Ramos però li mise anche in guardia: Orellana aveva obiettivi diversi da Pizarro per quanto riguardava quella spedizione.

Abbandonare la città di notte fu abbastanza agevole poiché le ronde e le guardie cittadine non erano accorte come la situazione richiedeva. Superate le mura, e rubati due cavalli, Gonzalez e Cordoba si diressero verso la costa. Se Orellana avesse terminato il reclutamento prima del loro arrivo, sarebbe stata la fine della loro militanza nell'esercito spagnolo nel Nuovo Mondo.

Quando arrivarono, al mattino, Orellana si stava già preparando a partire, per raggiungere il suo comandante nella valle di Zumaco. Fu quasi un colpo di fortuna che non fossero ancora partiti, e ancora di più il fatto che erano stati reclutati appena una ventina di uomini. Coinvolgere anche loro nella spedizione non sarebbe costato nulla.
Erano gli ultimi arrivati, e anche i più giovani del gruppo, dunque fu abbastanza facile entrare in sintonia con i veterani, quasi tutti volevano prenderli sotto la loro protezione; Cordoba era riservato e molti cercavano di fare emergere la sua intraprendenza, convinti che la tenesse ben nascosta dentro di lui, mentre invece cercavano di frenare Gonzalez, che vedevano troppo su di giri per l'avventura che si preparava ad affrontare; d'altronde per due ragazzi come loro quel viaggio poteva rappresentare solo quello: un'avventura. A prescindere da come si sarebbe conclusa.
Dopo un mese di marcia Orellana e i suoi uomini raggiunsero la spedizione di Pizarro ai piedi delle Ande; fu un grande colpo d'occhio. Un vero e proprio esercito, composto da oltre duecento soldati spagnoli e quattromila nativi.
Valicare il passo andino e superare le montagne, poi il destino sarebbe stato completamente nelle loro mani: coprirsi di gloria o annegare in un mare di dolore, dipendeva solo da loro.

Una volta attraversate le Ande, la spedizione incontrò l'ostacolo che certificava la grandezza della propria impresa: la foresta amazzonica.

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