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Quando Kane riuscì a tirarsi fuori dal cenote era quasi il tramonto. La scalata si era dimostrata più complicata del previsto, nonostante l'allenamento che aveva fatto poco meno di una settimana prima in Cambogia. Arrampicarsi sulle pareti di una rovina era sicuramente molto più semplice che scalare un pozzo calcareo profondo trenta metri, soprattutto se non si disponeva dello stile, e dell'esperienza, di uno scalatore professionista.
   Non appena fu fuori si distese sulla schiena, respirando in maniera affannosa. Non aveva nemmeno la forza di esultare, non che ci fosse molto da festeggiare; era riuscito a tirarsi fuori da una situazione potenzialmente mortale, ma non aveva idea di dove avessero portato i suoi compagni.
   La loro attrezzatura era stata seriamente danneggiata, la maggior parte era stata resa addirittura inutilizzabile. Il primo pensiero di Kane andò al numero dei responsabili: una così elevata quantità di danni doveva essere opera di un gruppo molto numeroso, tuttavia le impronte nel fango e sull'erba alta indicavano che di lì erano passati pochi uomini. Aveva esaminato la zona come Sherlock Holmes avrebbe esaminato una scena del crimine, a trecentosessanta gradi.
   Perché stai qui a perdere tempo? si disse. Williams, Amelia e Gunn erano chissà dove in ostaggio e lui era l'unico che potesse fare qualcosa per aiutarli. Si tolse la muta da sub e indossò i suoi abiti, poi diede un'occhiata in giro, sperando di trovare qualche pezzo di attrezzatura che non fosse danneggiato.
   Urtò per caso la sua USP con il piede. «Questa mi servirà» pensò ad alta voce. La prese in mano e notò, con irritazione, che un proiettile aveva scalfito la canna. Continuò a guardare in giro in cerca di qualcos'altro che potesse tornargli utile, mentre l'ambiente intorno a lui era passato dalla leggera illuminazione del tramonto a quella più fioca del crepuscolo. Curiosando tra l'erba trovò anche una torcia, a cui era stato rotto il vetro, e la trasmittente, l'unica cosa che poteva servirgli più della sua pistola; purtroppo per lui, un proiettile l'aveva colpita in pieno, rendendola di fatto inutilizzabile. Informare Reyes della situazione era impossibile, doveva arrangiarsi e contare esclusivamente sulle proprie forze.
   Non si erano nemmeno preoccupati di portare qualcosa da mangiare, dato che il loro piano prevedeva di usare come base un piccolo insediamento; quindi doveva lanciarsi in un inseguimento nella giungla, il secondo in pochi giorni, a stomaco vuoto e stremato dagli sforzi compiuti per uscire dal cenote. «Dovranno darmi una medaglia per questo» borbottò; ma almeno, stavolta aveva una pista da seguire: i colpi di machete sulla vegetazione erano evidenti, e le impronte lasciate sul terreno fangoso della giungla rivelatrici. Non c'era possibilità di errore: erano andati da quella parte. Prese un bel respiro e si addentrò nel folto della vegetazione, che lo inghiottì, sparendo, come se non fosse mai esistito.
   Mentre camminava a passo svelto su quel sentiero fangoso, provato dalla stanchezza e dal clima umido della giungla, non poté fare a meno di pensare che Robertson e i suoi mercenari dovevano averli raggiunti. Chi altro poteva avere un motivo valido per rapire Williams e Amelia, se non qualcuno che li conoscesse? Anche se le Ande brulicavano di quel tipo di uomini, Kane voleva prendere in considerazione soltanto quella possibilità. Non aveva il tempo per preoccuparsi di un eventuale terzo gruppo; in un certo senso la possibilità che fossero stati catturati da Robertson appariva come la prospettiva migliore.
   Teneva gli occhi e la torcia fissi sulle fronde lacerate dai colpi di machete e sulle tracce lasciate sul terreno. Alla fine stabilì che poteva raggiungerli entro l'alba.

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora