47

7 4 0
                                    

La confusione che si era generata intorno al cenote sembrava invitante; come per la squadra di Kane, un condor aveva deciso di controllare la situazione, stavolta però, dato il grande numero di persone, aveva al proprio seguito l'intero stormo.
   L'attrezzatura, ormai danneggiata, usata dagli archeologi era sparsa intorno al bordo del profondo, e poco invitante, pozzo calcareo. Il cavo di sicurezza tranciato con cui Kane si era calato nel cenote era ancora legato al fusto di un albero; e la moltitudine di impronte sul terreno lasciavano intendere che probabilmente non era  poi così tanto morto come invece Shkodran aveva riferito.
   Le operazioni di ricerca erano iniziate subito dopo il loro arrivo nel sito. Robertson sapeva di aver lasciato pochi uomini a sorvegliare la Missione, così come sapeva che gliene servivano il più possibile per trovare quello che stava cercando. Ma aveva scelto comunque di rischiare.
   Sapendo di doversi immergere in un cenote, grazie alle informazioni derivate dalla cattura di Williams, Amelia e Gunn, si erano ben preparati. Disponevano già dell'attrezzatura per le immersioni e nella Missione erano riusciti a reperire un argano, che avrebbe permesso loro di portare fuori il più alto numero di manufatti nel più breve tempo possibile.
   Robertson era in fibrillazione. «Quanto manca?»
   «L'argano è pronto» rispose Schroeder. «Io, Pedro e altri due uomini ci caleremo per un primo sopralluogo. Quando avremo trovato qualcosa manderete giù qualcuno ad aiutarci.»
   Alvarez sbuffò. «Questo non è il mio campo. Non posso calarmi in quella trappola.»
   Robertson si voltò a guardarlo, accigliato, mentre Schroeder dovette sforzarsi di trattenere una risata. «Ora che il suo cane rabbioso non è qui, hai trovato il coraggio di contraddirlo?»
   «Di che diavolo parli?» chiese contrariato Alvarez. «Questo è il tuo piano. Io non sono l'uomo adatto per questo tipo di operazione.»
   «Io sono qui per far uscire quello che troveremo dal paese. Tu devi solo accertare che quello che troveremo sia autentico, e preferirei che lo facessi prima di farcelo tirare fuori da un pozzo.»
   «Io preferirei essere certo che ci sia qualcosa da esaminare prima di rischiare la vita.»
   «Ora basta» li ammonì Robertson. «Andate là sotto e fate ciò per cui vi ho ingaggiato, altrimenti sarò costretto ad alleggerire il mio libro paga. Mi sono spiegato?»
   Alvarez dovette sforzarsi per non mostrarsi spaventato da quella minaccia, aveva ancora nella testa quello che Robertson aveva detto della dottoressa Cruise. Schroeder, che era già pronto per effettuare l'immersione, al contrario, rimase impassibile. «Hai sentito? Prendi l'attrezzatura e raggiungi me e gli altri sul fondo.»

   Si ritrovarono ad annaspare nel disgustoso strato di melma che si trovava sulla superficie. Alvarez non voleva proprio smettere di mostrarsi contrariato per il suo coinvolgimento in quella parte dell'operazione. «Dovevi proprio tirarmi dentro? Non lavorerò mai più con te.»
   «Mi faresti un grande favore» ribatté Schroeder in tono serio. «Ora metti maschera, respiratore e segui me e gli altri. Senza fare storie.»
   A Robertson assistere alla scoperta non interessava minimamente, quello che voleva era aggiungere nuovi pezzi alla sua collezione e vendere quello che non gli garbava. Stava appollaiato sul ciglio del pozzo, guardava l'orologio ogni cinque minuti e non faceva altro che borbottare: «Ma quanto ci vuole?»
   Si vedeva che il suo modo di lavorare consisteva semplicemente nello staccare un assegno, che non aveva idea della cura necessaria per prelevare un reperto da un sito senza danneggiarlo, e nemmeno dei tempi necessari affinché questo fosse possibile.
   Tutta la squadra si era addentrata nelle profondità del cenote per trovare tracce di quello che, a detta di alcuni dei tanti mercenari ingaggiati, era solo un tesoro immaginario oppure, nel peggiore dei casi, l'ossessione di una mente malata. Lì tutti sapevano che Robertson disponeva della più importante collezione privata del mondo; una corona a cui mancava soltanto una gemma. Più Robertson sentiva di avvicinarsi alla meta, più il suo desiderio si faceva feroce.
   Fortunatamente Kane aveva fatto gran parte del lavoro per loro. Ogni galleria sommersa che aveva esplorato, e che sfociava in un vicolo cieco, era stata contrassegnata con un chiodo da roccia che rifletteva la luce delle torce, e permetteva loro di risparmiare tempo.
   «Come procede là sotto?» continuava a chiedere Robertson. Ogni volta il suo tono si faceva sempre più nervoso.
   «Gran parte delle gallerie sono state esplorate dai nostri rivali. I vicoli ciechi sono contrassegnati, quindi evitiamo di sprecare ossigeno e tempo» spiegò Schroeder.
   «Sei sicuro che non faremmo meglio a esplorare ogni angolo?» chiese Alvarez, convinto che, utilizzando i chiodi, Kane avesse voluto depistare altri curiosi.
   «Le prime due gallerie erano vicoli ciechi. Non c'è motivo di dubitare che lo siano anche le altre.»
   Robertson non ribatté a nessuno dei due. L'unica cosa che gli frullava in testa era sostituire Alvarez con un nuovo esperto di civiltà precolombiane, una volta terminata quella massiccia operazione; un punto su cui era ormai irremovibile. Non riusciva più a sopportarlo.
   «Proseguite. Lì sotto gli ordini li dà Werner. È chiaro?»
   Ci fu un attimo di silenzio, poi Alvarez rispose: «Ricevuto.»
   Proseguirono in immersione per altri dieci minuti, costantemente in silenzio radio, finché la galleria non sembrò farsi più ampia, come se stesse per sfociare in una grotta. La luce delle torce rifletté su una superficie liscia e luminosa; e quando emersero si trovarono davanti la tanto agognata scoperta.
   Un'ampia grotta, stracolma di manufatti lavorati in oro, argento, giada e pietra, vesti reali, decorate con rifiniture dorate, e su un piccolo altare posto al centro della sala di roccia, una corona ornata di piume.
   Alvarez rimase senza parole. Tutte le voci, le ricerche e gli articoli di riviste scientifiche che parlavano del famigerato "tesoro perduto degli Inca" trovavano conferma in quello sperduto e remoto angolo di mondo, nascosto tra le cime delle Ande peruviane. «È incredibile!» esclamò; in quella grotta erano ammassati tesori per il valore di mezzo miliardo di dollari americani. 
   «Abbiamo trovato quello che cercavamo, signore» disse Schroeder parlando alla radio.
   «Ditemi tutto. Voglio sapere» ordinò Robertson. Il segnale però giungeva leggermente disturbato, a causa della eccessiva profondità e delle pareti di roccia.
   «È indescrivibile, signore. Faccia calare l'argano, ci mandi casse e respiratori di riserva. Portiamo tutto fuori.»
   «Datevi una mossa.» Fu l'ultimo ordine impartito da Robertson che, dopo aver chiuso il collegamento radio, tornò a fissare impazientemente il fondo del pozzo, in attesa di vederli tornare con l'oro dell'El Dorado.
   Schroeder divise gli uomini che si erano immersi con lui in due gruppi. Erano una dozzina: lui, Alvarez e altri due avrebbero iniziato a preparare il tesoro per il trasporto, mentre gli altri sarebbero tornati indietro a prendere le casse in cui imballarlo.
   Alvarez iniziò ad esaminare i manufatti, sbalordito.
   «Allora?» chiese Schroeder.
   «Non ci sono parole. È una scoperta che va oltre ogni più rosea aspettativa» rispose Alvarez. Strinse tra le mani la corona piumata e scorse un'iscrizione sull'altare; era in lingua kichwa, e serviva a confermare, qualora ce ne fosse bisogno, che quel tesoro era autentico.
   «Cosa c'è scritto?» lo interrogò Schroeder.
   «La corona del nostro re. I nostri tesori. La nostra terra. Questi non saranno mai consegnati all'invasore dal mare. Li terremo al sicuro finché non verrà cacciato» tradusse Alvarez. Poi aggiunse: «Grosso modo c'è scritto questo. Tradurre testi antichi non è proprio il mio forte.»
   «Mi sembra che abbiano fatto un buon lavoro… per noi» ribatté Schroeder con aria divertita. Proprio in quel momento erano arrivate le prime casse. «Coraggio, portiamo fuori tutto questo ben di Dio.»

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora