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L'Hercules volava verso ovest a velocità normale, con i motori al minimo della potenza. Soria sapeva che avrebbero lasciato lo spazio aereo peruviano prima che dei caccia potessero costringerli a tornare indietro.
   Tutto stava procedendo secondo i piani, ma Robertson non era ancora tranquillo. Per i primi minuti di volo rimase in cabina di pilotaggio ad annoiare i due piloti con le sue lamentele. «Non si può andare più veloce?» ripeteva incessantemente.
   Schroeder, rimasto con quei pochi dei suoi uomini che erano riusciti a salire a bordo, sentiva le lamentele fin dall'interno della stiva. «Vuole darsi una calmata? Ormai siamo al sicuro.»
   «Lo siamo davvero?» chiese Robertson urlando. Stava diventando a dir poco paranoico.
   «Pensi che risparmierà sul nostro compenso, visto che abbiamo perso gran parte della mia squadra e massacrato quei tagliagole. Questo dovrebbe farla tornare di buon umore, non crede?»
   «Sarebbe un buon inizio, ma sarò tranquillo solo quando atterreremo.»
   «Abbracci una di quelle casse e si faccia una dormita allora» ribatté sarcasticamente Schroeder. «Manca ancora molto per atterrare.»

   Al mattino, quando all'orizzonte iniziava a intravedersi l'alba, l'Hercules aveva iniziato la discesa ed era in fase di atterraggio. Schroeder e i suoi erano rimasti svegli per quasi tutta la notte, per godersi un po' di tranquillità. Avevano riposato solo per un paio d'ore.
   Robertson invece, sembrava non ricordare nemmeno di essere su un aereo. Una turbolenza lo scaraventò giù dalla sua branda e, quando si rialzò, lo fece imprecando. Insomma, non proprio un dolce risveglio.
   «La pace è finita» borbottò uno dei mercenari.
   «Non fare battute, idiota» lo ammonì pesantemente Robertson. 
   Il copilota parlò attraverso l'altoparlante. «Abbiamo iniziato le manovre di atterraggio. Sedetevi e allacciate le cinture.»
   L'annuncio li prese un po' alla sprovvista. Ci sarebbe voluta mezza giornata, forse più, per raggiungere Tuvalu, ma era trascorsa appena la metà del tempo da quando erano decollati da Lima. Schroeder guardò dal finestrino, ma il cielo era molto nuvoloso e non si riusciva a scorgere l'orizzonte. Ma che la fase di atterraggio era già iniziata ed era stata annunciata in ritardo era palese.
   «Ho una brutta sensazione» mormorò Schroeder guardandosi intorno in cerca di un indizio che gli facesse capire dove si trovavano. Una cosa però era certa: non stavano atterrando a Tuvalu.
   Quando il carrello di atterraggio toccò la superficie della pista, tutti i presenti nella stiva furono sbalzati in aria. Non si trovavano nella situazione più adatta per decidere di sedersi, rilassarsi e godersi l'atterraggio. L'annuncio del copilota fece gelare il sangue a tutti: «Signori, siamo appena atterrati all'aeroporto di Miami.»
   «Cosa?!» sbraitò Schroeder. «Siamo negli Stati Uniti?!»
   Robertson andò verso la cabina di pilotaggio e iniziò a picchiare come se volesse sfondare la porta a mani nude, mentre Schroeder e i suoi cercavano nervosamente le loro armi che però sembravano essere scomparse nel nulla.
   La porta della cabina si aprì. «Cosa diavolo sta succedendo? Dovremmo essere in volo per Tuvalu.» Non ebbe il tempo di finire la frase che sentì qualcosa appoggiato sul petto. Guardò in basso e si vide la canna di un Heckler MP5 puntata contro.
   «Spiacente, ma c'è stato un cambio di programma.»
   Robertson lo fissò con gli occhi sbarrati, pieni di terrore. Cercò di buttare un'occhiata anche all'interno della cabina dove vide Soria steso a terra e completamente immobilizzato. Il copilota approfittò di quell'attimo di distrazione per aprire il portellone e la rampa di carico della stiva.
   «Benvenuti in America, signori.» Alla base della rampa si palesò un uomo alto, abbigliato in giacca e cravatta, e circondato da una squadra di poliziotti.
   Schroeder cercò di improvvisare. «Salve, abbiamo avuto un problema tecnico che ci ha costretti ad atterrare.» Le labbra gli tremavano e l'uomo voleva proprio vedere fin dove riusciva a spingersi. «Contiamo di ripartire il prima possibile.»
   «Werner Schroeder» lo interruppe. «Mi permetta di presentarmi: sono Scott James, Interpol. Seguo lei e il suo capo da quando vi siete incontrati a Loch Ness.»
   Robertson comparve in fondo all'aereo, seguito dal copilota che lo teneva sotto tiro. «Agente James, qui c'è il suo uomo. Il comandante Soria è in cabina di pilotaggio, immobilizzato.»
   James si avvicinò a Robertson per guardarlo negli occhi. «Non sai da quanto aspettavo questo momento.»
   «Riesco a immaginarlo.»
   «Portateli via. Avvertite l'agente Reyes che qui è andato tutto liscio e rimandate questo aereo e il suo carico in Perù» ordinò James con un sorriso a trentadue denti. Era stato focalizzato su quel caso per tutta la sua carriera e finalmente l'aveva chiuso.

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora