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All'aeroporto di Lima c'era un via vai di gente incredibile. Anche se ogni gate di sbarco era tenuto sotto controllo da diversi poliziotti c'era la possibilità che, in tutto quel trambusto, qualcosa potesse sfuggire anche a un occhio vigile e attento.
   Il dipartimento di polizia di Santiago de Surco era stato avvisato degli sviluppi riguardo alle indagini in Scozia; il Sudamerica era la destinazione più probabile di Robertson.
   La sezione peruviana dell'Interpol aveva ricevuto l'ordine di sorvegliare ogni possibile via d'accesso al paese, effettuando controlli approfonditi nei confronti di chiunque provenisse dalla Gran Bretagna.
   Aulas aveva insistito perché sul posto venisse inviato Gabriel Reyes, scontrandosi però con l'opposizione dei vertici della sezione peruviana dell'Interpol.

   Reyes era il miglior agente che si potesse trovare in Perù. Per questo motivo, l'idea di rimuoverlo dalla gestione di casi importanti e metterlo a seguire un caso di compravendita illegale di beni culturali, tra l'altro non di competenza dell'Interpol, sembrava uno spreco delle sue capacità.
   D'altro canto, sul caso in questione stava lavorando già Scott James: una sorta di suo alter ego americano. Riconosciuto come uno dei migliori agenti a livello internazionale, quasi all'unanimità.
   Insomma, se lui era su quel caso, allora Reyes non si sarebbe tirato indietro. Lui stesso insistette perché la richiesta di Aulas venisse accolta dai suoi superiori; che, anche se restii all'idea, accettarono.

   Era parecchio nervoso. Guardava il display che segnava gli arrivi dei voli ogni cinque minuti, e ogni ritardo lo mandava fuori di testa; nella sua mente imprecava come un pazzo. Aveva insistito per seguire quel caso, e se non avesse ottenuto risultati si sarebbe giocato la carriera.
   Gli giunse una comunicazione tramite la trasmittente. «Agente Reyes, mi riceve?»
   Quel messaggio radio fu come una ventata d'aria fresca in una giornata afosa, un grandissimo sollievo.
   «Si, ti sento. Che succede?»
   «Abbiamo un uomo» gli comunicarono. «Inglese, viene dalla Gran Bretagna. Lo blocchiamo?»
   «Affermativo» rispose Reyes. «Sto arrivando.»
   L'inglese sembrava parecchio infastidito dall'essere stato arrestato. Soprattutto perché, a quanto gli era già stato riferito, la sua descrizione non rispondeva a quella dell'uomo che gli agenti stavano cercando.
   Non era saggio effettuare un arresto in un luogo affollato come un aeroporto ma Reyes non se ne curava. S'incontrarono in uno dei bagni; l'uomo era in manette e l'altro agente armato.
   «Non è il nostro uomo» disse Reyes. Era seccato.
   «Quindi posso andare?» chiese l'uomo.
   Nessuno dei due agenti si degnò di rispondergli. Erano troppo impegnati a discutere tra loro per dargli ascolto.
   «Io devo raggiungere i miei colleghi prima che sia tardi. Posso andare?»
   Quelle parole attirarono l'attenzione di Reyes. «Prima che sia tardi?» chiese. Era una scusa che molte persone usavano per essere immediatamente rilasciate, ma in quella situazione poteva essere più di un banale stratagemma. «Chi sono i suoi colleghi?»
   «Alexander Kane e Lewis Williams, del British Museum. Sembra che siano in pericolo.»
   «Come in pericolo?»
   «Abbiamo ricevuto la visita di un agente dell'Interpol. Mi sembra che si chiamasse Scott James.»
   Reyes sussultò. «Ha parlato di un uomo che si chiama Nathan Robertson?»
   «Si ma...»
   Reyes lo zittí quasi subito. «Allora è già qui» mormorò. Poi si rivolse allo sconosciuto. «Abbiamo bisogno di lei. Come si chiama?»
   «Richard Gunn.»
   «Ci serve un identikit dei suoi colleghi. Trovati loro saremo un passo più vicini a Robertson.»
   Gunn non si aspettava di dover lavorare con l'Interpol, ma in terra straniera era un aiuto da tenersi stretto. Inoltre, fatta eccezione per la dottoressa Amelia Cruise, non sapeva proprio come trovare Kane e Williams. Sarebbero partiti da lei, senza però sapere che era stata sequestrata.

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