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Kane aveva il perso il contatto con Williams, continuava a parlare ma non riceveva alcuna risposta. Avendo udito gli spari pensò che potevano essere stati catturati, o peggio ancora uccisi, ma preferì pensare positivo e immaginare che fossero riusciti a fuggire. Se fossero morti lui sarebbe rimasto nel cenote, ma se invece l'avessero abbandonato per salvarsi, allora sarebbero tornati per tirarlo fuori.
   Il problema era che aveva bisogno del compagno, affinché gli comunicasse quando effettuare le soste per la decompressione. A un tratto sentì il cavo di sicurezza allentarsi, come se l'altro capo non fosse fissato. Le ossa gli si gelarono e iniziò a raccogliere la corda; quando giunse alla fine vi fu l'amara sorpresa: qualcuno l'aveva tranciata.
   Gli fu subito chiaro che né Williams né altri avrebbero potuto aiutarlo; ma stavolta la sua mente fu invasa solo da pensieri negativi, nemmeno la sua solita determinazione riuscì a sopprimerli. Al contrario, li alimentava. Doveva tirarsi fuori da quella situazione da solo e, qualunque cosa fosse successa, trovare i suoi compagni.
   In fase di decompressione cercò di andare a memoria: poteva riconoscere i punti in cui aveva effettuato le soste durante la prima immersione e, per ogni sosta, calcolare il tempo necessario per la decompressione tramite il livello di ossigeno ancora presente nella sua bombola. Era certo che sarebbe andato tutto per il meglio. Riguardo all'arrampicarsi sulle pareti del cenote, dopo la fatica fatta dai suoi compagni per tirarlo su la prima volta, aveva preso il giusto accorgimento: un paio di piccozze da scalata, che però avevano lo scopo di rendere la vita più semplice agli altri. L'alpinismo non era il suo forte, ma avrebbe dovuto impegnarsi.

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora