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L'aria pesante della giungla rendeva la marcia difficile, gli alberi limitavano la vista e, in generale, la vegetazione era talmente fitta al punto che appariva impossibile, non tanto esplorarla tutta, ma anche solo riuscire a uscirne. Nemmeno una forma di vita nel raggio di chilometri e dopo diversi giorni di marcia, in quel verde che diventava sempre più una gabbia, la fatica per avanzare era indescrivibile, soprattutto perché le barriere di liane andavano abbattute con le asce, e ciò logorava gli uomini.
   Si trovavano nelle più remote profondità della foresta pluviale, lontani dalle avanzate tecnologie ma soprattutto, e questo era quasi un paradosso, da qualsivoglia fonte di cibo; il clima umido e soffocante aveva deteriorato i viveri, mentre la maggior parte del bestiame si era dileguato nell'intricato meandro della giungla.
   La vista era limitata e ciò rendeva difficile l'avvistamento di selvaggina o distinguere alberi da frutto.
   Serviva un'idea, e alla svelta. Oltre la metà dei membri della spedizione era già perita, rimanevano poco più di un migliaio di uomini tra spagnoli e indigeni.
   Gli europei erano già stati costretti a cibarsi dei cavalli e dei cani, i nativi erano stati meno fortunati.
   Fortuna e disperazione giocarono un ruolo fondamentale nei giorni successivi; dopo aver raggiunto le sponde del Rio Napo, un fiume navigabile, Gonzalo Pizarro decise che i membri della spedizione dovevano prendere strade diverse, separarsi per sopravvivere. Addentrarsi nuovamente nella giungla sarebbe stato un suicidio, seguire il fiume sembrava la soluzione migliore.
   Trovandosi in una foresta, il legname di certo non mancava, dai ferri dei cavalli uccisi vennero ricavati dei chiodi, e con quel poco a disposizione fu possibile realizzare un brigantino rudimentale; quando si dice "la disperazione aguzza l'ingegno."

   Orellana e altri cinquanta uomini, tra i quali Gonzalez e Cordoba, si imbarcarono in quella missione disperata con l'obiettivo di raccogliere notizie e provviste da portare ai loro compagni.
«Buona fortuna Francisco.» Queste furono le ultime parole dette da Pizarro a Orellana. Nessuna risposta, e subito il viaggio ebbe inizio.

   La navigazione non durò a lungo, la corrente del fiume trascinava velocemente la rudimentale imbarcazione verso una destinazione incerta. In quei giorni duri Gonzalez e Cordoba strinsero un profondo legame con un uomo: un colono peruviano, robusto come un gorilla, con i capelli e gli occhi castani, di nome Miguel Perez, normalmente molto cordiale e tranquillo, ma nel gruppo, lui più di altri aveva risentito della fatica e della fame.
   La prospettiva della loro fine contribuì a rafforzare i legami. Erano passati dall'essere un gruppo di soldati allo sbando su una nave al diventare amici che lottavano per la vita di tutti i loro compagni.
   «Dove finiremo?» chiese Cordoba, che in quella situazione stava facendo riemergere il suo lato timoroso e insicuro.
   «Porteremo a termine il compito che ci è stato affidato» rispose Gonzalez con decisione, anche se forse a quelle parole non ci credeva nemmeno lui. «Poi torneremo a Quito. Ne sono sicuro.»
   Da qualche giorno il fiume si era ampliato, come se avessero preso un'altra strada. E per certi versi era così: il Rio Napo era sfociato nel Rio delle Amazzoni, un fiume allora sconosciuto.
   Senza aver recuperato alcuna provvista per gli uomini di Pizarro, rimasti sul Napo, Orellana decise di seguire il corso del fiume; non che avesse scelta, la forza della corrente rendeva difficile anche solo pensare di poter tornare indietro risalendo il fiume. Dal canto suo Pizarro, dopo mesi senza notizie, decise di tornare indietro; la marcia verso Quito fu rovinosa al punto che nemmeno un centinaio di uomini giunsero a destinazione.

   Gli uomini di Orellana non se la passavano meglio, in quel momento non si rendevano conto che quel viaggio disperato verso il mare sarebbe passato alla storia, ma nella loro situazione saperlo non sarebbe stato di alcuna consolazione. Le poche provviste a disposizione andavano consumandosi velocemente, presto anche loro sarebbero rimasti senza nulla. In un momento di totale sconforto Perez si alzò in piedi sul ponte della nave, aveva gli occhi vuoti al punto da dare l'impressione che gli mancassero le iridi, e tale tratto lo rendeva davvero inquietante.
   «Miguel, cosa ti prende?» chiese Cordoba.
   Nessuna risposta; era in preda a una terribile isteria, che lo portava a vedere indigeni attaccare la loro imbarcazione, e a un desiderio folle di sopravvivenza. La preoccupazione dei compagni era evidente, ma non c'era nulla che potessero fare.
In un attimo, privo di ogni briciolo di lucidità, si gettò giù dalla nave. Gonzalez e Cordoba, che avevano cercato di fermarlo, furono trascinati anch'essi nel fiume.
   «Fermate la nave, dobbiamo recuperarli» tuonò uno dei soldati.
   «No. Lasciateli» ribatté immediatamente Orellana.
   «Ma signore...»
   «Lasciateli, non rischierò tutti voi per salvare loro.»
   Tutti a bordo rimasero spiazzati da quegli ordini. Non volevano abbandonare i compagni, ma non potevano nemmeno opporsi al loro comandante.

   Furono trascinati per ore dalla corrente, fino a che non si fermarono sulla sponda del fiume. Quando Gonzalez e Cordoba si risvegliarono erano soli, di Perez nessuna traccia, solo delle impronte dirette verso l'interno della giungla, che potevano essere sue come anche di un indigeno.
   «E ora che facciamo?» chiese Cordoba.
   Gonzalez chinò la testa e rispose: «Non lo so»
   Quando raggiunsero la sponda era quasi notte, se si fossero addentrati nella giungla non ne sarebbero più usciti vivi.
   Era chiaro che i compagni non sarebbero andati a cercarli, se volevano uscire da quell'inferno avrebbero dovuto riuscirci da soli.
   «Restiamo qui per la notte» propose Gonzales. «Domani troveremo una soluzione.»

   L'arrivo delle tenebre sembrò quasi spegnere la vita della giungla, era possibile sentire soltanto freddo e silenzio. Ogni suono che li aveva accompagnati durante la giornata tacque.
   Svegliatosi nella notte, Gonzalez avvertì una presenza nella fitta coltre di alberi, e non solo; una figura scura nascosta nella vegetazione l'aveva ben distinta.
   «Gonzalo, svegliati.»
   «Che succede?» chiese Cordoba.
   «C'è qualcuno nascosto tra gli alberi.»
   «Potrebbe aiutarci a uscire da questa maledetta giungla.»
   «Lo spero.»
   Chiunque fosse quella figura, sapeva muoversi bene in quel groviglio di piante e liane. I due cercarono di tenere il suo passo, facile a dirsi, un pò meno a farsi.
   «Dov'è finito?» chiese Cordoba.
   Gonzalez non ebbe il tempo di rispondere che si trovarono di fronte a un piccolo tempio, avvolto dalla vegetazione.
   «Cos'è questo posto?»
   La sinistra figura che li spiava vicino al fiume comparve sull'ingresso del santuario, un uomo robusto, con il corpo ricoperto di tatuaggi rappresentanti simboli indigeni, e privo degli occhi.
   La lunga permanenza in quelle terre permise loro di comprendere quello che l'indigeno gli comunicava.
   «Benvenuti. Vi ho attesi a lungo.»
   «Chi sei?» chiese Gonzalez, con diffidenza.
   «Io sono Tacora, sciamano e custode di questo tempio, sono la guida di chi giunge qui cercando qualcosa che non potrà mai ottenere o trovare.»
   «Cerchiamo solo una via d'uscita da questa giungla. Puoi aiutarci?»
   «Voi cercate ricchezze, siete discesi dalle montagne per trovare tesori.»
   «Ti sbagli, cercavamo un luogo chiamato La Canela.»
   «Cosí credevate. Voi uomini venuti dal mare siete spinti solo dall'avidità e dal desiderio dell'oro» ribatté Tacora e loro iniziarono a capire di cosa parlava Ramos, prima della loro partenza. «El Dorado non è un tesoro, come credete. È qualcosa di molto di più.»
   «Vogliamo solo sopravvivere» ribatté Cordoba, quasi con le lacrime agli occhi.
   Lì Tacora vide che i due erano diversi, lottavano contro quella giungla per la loro vita, e non per ottenere ricchezze. Indicò loro una strada, tramite un enigma, e li affidò a un vicino villaggio dove, con loro grande sorpresa, era giunto anche Perez, ormai sull'orlo della follia. Se avessero voluto tornare a Quito avrebbero saputo come fare, in caso contrario sarebbero potuti rimanere con i nativi.

   Avevano mancato il loro appuntamento con la storia, come anche i loro comandanti. Gonzalo Pizarro non avrebbe visti ripagati i suoi sforzi per raggiungere La Canela e sarebbe morto in miseria, mentre Orellana non avrebbe mai trovato El Dorado diventando però il primo europeo a raggiungere l'Atlantico attraversando tutto il Sudamerica.
   La loro vicenda sarebbe rimasta custodita nel diario che Cordoba teneva con sé fin dalla propria partenza dalla Spagna verso Cuba, dove poi avrebbe conosciuto Gonzalez.

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora