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Il dottor Pablo Farfán aveva appena lasciato Lima quando ricevette la telefonata di Flores. Si stava recando a Cusco per svolgere dei test su una mummia, lui che era un'eccellenza in paleontologia e nello studio delle ossa; probabilmente, all'interno di quel settore, era l'unico uomo che il mondo invidiava al Perù. Alto e robusto, con lunghi capelli neri e occhi verdi, a prima vista lo si sarebbe potuto scambiare per un uomo d'azione, quando invece era tutt'altro.
   Non era proprio entusiasta di dover affrontare un viaggio di diciannove ore in auto, per questo motivo gradì molto il presentarsi di quell'imprevisto. Lui e Flores erano amici di vecchia data, oltre che stretti collaboratori, come le rispettive professioni imponevano. Insomma, se c'era qualcuno a cui la preoccupazione di Flores non poteva sfuggire, quello era Farfán.

   Come stabilito, s'incontrarono al laboratorio che i musei di Lima usavano per analizzare i fossili. Farfán era accompagnato da un agente della polizia, normale procedura riguardo le analisi che riguardavano casi di omicidio. Flores aveva accennato a questa possibilità quando si erano sentiti telefonicamente.
   Farfán osservava scrupolosamente ogni millimetro quadrato di ogni osso dello scheletro. La prima analisi, pochi giorni prima, era stata lasciata nelle mani di un altro paleontologo che, data la vicinanza del corpo ad alcune rovine, aveva frettolosamente dichiarato che si trattava di un Inca; tutti gli indizi portavano in quella direzione e non c'era alcun motivo per dubitarne, almeno non ce n'erano stati fino a quel momento.
   «Incredibile» esclamò Farfán tenendo fisso lo sguardo su una costola.
   Flores si precipitò subito a dare un'occhiata. «Cosa c'è? Che hai scoperto?»
   «Una piccola lesione. Provocata da un proiettile.»
   «Com'è possibile?»
   Farfán fece un respiro profondo, poi con tutta tranquillità rispose: «Chiunque fosse quest'uomo, è morto di recente. Forse da pochi mesi.»
   «Come hanno potuto non accorgersene durante le prime analisi?» chiese Flores sconcertato.
   Ciò che di più strano caratterizzava quella situazione era la totale assenza di interesse per un probabile caso di omicidio da parte dell'agente incaricato di supervisionare lo svolgimento dei test, i due però erano così concentrati sull'analisi da non curarsene minimamente.
   Il silenzio del laboratorio, completamente deserto in quanto era giorno di chiusura, venne improvvisamente interrotto dall'esplosione di un colpo di pistola, seguito a pochi secondi di distanza da un secondo sparo. Il dottor Farfán cadde a terra, con due buchi sul petto e una pozza di sangue iniziò lentamente a espandersi intorno a lui.
   Flores alzò gli occhi e vide il poliziotto con la pistola puntata. «Ma che diavolo sta facendo?»
   Come risposta si prese un proiettile nella gamba, ma gli fu subito chiaro che quello non era un agente di polizia, o probabilmente era un maledetto corrotto. La sua più grande preoccupazione non era la ferita che gli era appena stata procurata, o la prospettiva di trovarsi nelle grinfie di qualche maniaco criminale; se sapevano del suo incontro con Farfán, allora sapevano anche di Amelia, Kane, Williams e Miller. L'unica speranza era che di loro conoscessero solo i nomi, e che venissero sottovalutati. Conoscendo anche lui la fama dei due archeologi inglesi però, doveva augurarsi che Kane e Williams sfoderassero uno dei loro colpi a sorpresa; non erano celebri per i loro successi, ma per come li raggiungevano.
   Sfortunatamente anche il suo aggressore era molto famoso, e Flores se ne accorse nel momento in cui si strappò dal viso una sofisticata maschera di gomma. Quell'uomo che si spacciava per un poliziotto altri non era che Nemanja Shkodran. I notiziari arrivavano anche in Perù.

I DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora