𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 𝙄𝙄. ⚽💙

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"Non serve
che tu sia davanti a me,
mi brillano gli occhi
anche solo
se parlo di te."














Tornare a Milano aveva rappresentato come una doccia fredda per me, un ritorno alla realtà.

Avevo vissuto a Roma per circa tre mesi, innamorandomi perdutamente di quella città e sognando un giorno di far crescere i miei figli tra quelle strade.

Ho passato i miei giorni più belli proprio nella Città Eterna, ritenendola la città del mio cuore.

Il tempo però mi ha dimostrato che la mia città del cuore sarà sempre e solo una:
Milano.
È qui che sono nata.
È qui che mi sono innamorata per la prima volta.
È qui che ho detto le mie prime parole e che ho mosso i miei primi passi.
È qui che la mia vita è iniziata, e, chissà, magari è qui che finirà.

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Toccare nuovamente dopo mesi il suolo milanese fu per me un emozione unica.
Quella notte mi ero fatta una bella dormita, nonostante ciò che era successo la sera precedente con i Måneskin.
Cercai di non pensarci.
Presi le mie valigie, e mi avviai verso l'uscita della stazione, dove il mio migliore amico Francesco mi stava aspettando per riportarmi a casa.

Francesco era uno dei miei migliori amici.
Ci eravamo conosciuti per caso una mattina dentro al Kiko.
Lui stava comprando dei trucchi da regalare a sua sorella per il suo compleanno, ma non aveva abbastanza soldi per permetterseli tutti, così glieli avevo pagati io:
da quel giorno mi era rimasto così grato che eravamo diventati amici.

Adoravo i ragazzi come Francesco, puri e semplici, legati alle loro famiglie e alle loro radici.
Ragazzi un po' come me.
Cosa che Damiano non era, e forse non sarebbe mai stato.

Decisi di farmi venire a prendere da Francesco proprio perché sapevo che lui non mi avrebbe fatto domande, non mi avrebbe chiesto il perché e il per come di tutte le vicende.
Mi avrebbe soltanto rispettata, capita, senza fare domande.
Era un ragazzo paziente, Francesco.
Molte volte avevo pensato che potesse essere innamorato di me, tanto che mi trattava bene.
Ma poi conclusi che forse era soltanto un ragazzo estremamente educato, uno che sapeva come si trattava una donna.
Era proprio per questo che era il mio migliore amico.

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Vagai alla ricerca dell'automobile del mio amico, ma non la vidi.
Improvvisamente sentii un clacson suonare più forte che mai, e mi accorsi che nell'auto in questione c'era Francesco.
Mi apparve un bel sorriso sul viso alla vista del mio migliore amico.
Corsi nella sua direzione, mentre lui usciva dall'auto per aiutarmi a posizionare i bagagli.

"Ehiii!"
Neanche il tempo di salutarmi, che io gli saltai addosso.
Vedere una faccia amica come la sua per me era essenziale in quel momento.
Mi persi nel nostro abbraccio, essenziale per me.

"Mi sei mancata, lo sai?"
"Anche tu." sentenziai, stringendolo ancora più forte tra le mie braccia.
Non mi sembrava vero.

I miei amici erano una delle cose che mi erano mancate di più in quei lunghi mesi trascorsi a Roma.
Avevo provato a trovare del tempo anche per loro tra interviste e concerti, con scarso successo.
Ma li amavo, tutti.
Se in amore non ero mai stata fortunata, in amicizia lo ero sempre stata.
Avevo conosciuto persone meravigliose che avrebbero fatto di tutto per me, e io per loro!
Forse era per questo che ero risultata simpatica a Federico:
ero una persona piuttosto amichevole, anche se non sembrava.

"Allora, dimmi un po', dove ti porto?"

Appena il nostro abbraccio si sciolse, venne il momento delle domande.
Osservai Francesco un po' confusa, per poi chiedergli di condurmi a casa mia, dalla mia famiglia.
Il moro mi sorrise e annuí.

Non parlammo per tutto il viaggio, perché lui sapeva.
Sapeva che se ero tornata c'era davvero un motivo valido, perché in altri tempi non mi sarei separata dai Måneskin per nulla al mondo.
Francesco c'era, in silenzio, e questo bastava e avanzava.
Significava molto per me, e non avrei mai immaginato una vita senza di lui.
Mai.

Il viaggio continuò, e qualche minuto più tardi arrivammo a casa mia.
Ad accogliermi c'erano le mie sorelle e le mie amiche più care, che vivevano con noi.

Mi strinsero tutti in un abbraccio fortissimo, e io fui così grata di essere nuovamente a Milano!
Quella sì che era casa mia.
Perché, in fondo, casa non è un luogo.
Sono delle persone.
E Vanessa, Sahara, Jessica, Ashley, mamma e papà erano più che casa per me:
Erano il mio porto sicuro.
Mi sciolsi a quel pensiero e decisi che mi sarei goduta il tempo con loro appieno.

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FEDERICO CHIESA'S POV:

Alla partita finale con l'Inghilterra mancava sempre meno, eppure la mia ansia cresceva di pari passo alla mia voglia di vincere.
Sarei partito da titolare anche lunedì, e la cosa mi entusiasmava non poco.
Avrei dato il massimo, il meglio di me, nella speranza di essere decisivo nella partita finale.
Ero cresciuto un sacco in questi europei:
da sostituto di Berardi a titolare.
Ero diventato il punto di riferimento di mister Mancini e avevo ricevuto anche delle proposte lavorative dal Liverpool.

Ma la cosa che mi rendeva più felice era aver reso orgogliosi di me i miei genitori e il mio fratellino Lorenzo.
Loro erano la mia forza.
Era per loro che scendevo in campo, che lottavo.
E i paragoni con papà Enrico non potevano che rendermi felice e orgoglioso di me stesso.
Avrei fatto tutto il possibile per la mia squadra e per la mia nazione.
Quella coppa sarebbe diventata nostra, e io l'avrei tenuta tra le mani.
Ce l'avremmo fatta:
ne ero certo!

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Mancavano soltanto due giorni.
Due.
Due giorni mi separavano dal lottare per quella coppa.
Due giorni e saremmo stati a Wembley.
Due giorni, due giorni per prepararci al meglio.
Due giorni e la nostra vita sarebbe potuta cambiare.

Mente tutti questi pensieri mi affollavano la testa, stavo cercando di riscaldarmi assieme ai miei compagni di squadra.
Improvvisamente incontrai gli occhi di Nicolò, e mi ricordai di Karen.

Karen.
La ragazza che mi stava facendo perdere la testa senza un motivo ben preciso.
Era anche per lei che volevo segnare nella finale.

"Chiesa, a cosa pensi?
Dai, su!"

Il Mister Mancini mi richiamó all'attenzione, e Barella mi diede una leggera pacca amichevole sulla spalla.

"Ha ragione Mister, mi scusi."

Cercai di non pensare a Karen e alla finale per tutta la durata degli allenamenti, ma non stavo riuscendo molto bene in questo compito.
Era impossibile per me non pensare a Karen, e questa situazione era iniziata quando avevo incontrato il suo sguardo limpido per la prima volta.
Aveva ragione Barella:
Mi stavo facendo un sacco di pippe per apparire al meglio nei suoi confronti, ma era della partita che dovevo occuparmi in quel momento.

Mi ripromisi che avrei pensato a Karen soltanto quella sera, a cena, quando finalmente sarei stato un po' meno sotto stress.
Ma toglierla dalla mia testa era più difficile del previsto.

Feci un bel respiro, e ricominciai ad allenarmi.
Quella ragazza mi stava proprio facendo perdere il senno.
Sorrisi a quel pensiero, e ricominciai a correre più velocemente.
Con una spinta in più.
Pensando a lei e al suo sorriso luminoso.

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FINE SECONDO CAPITOLO. 💙⚽

𝙃𝙄𝙎 𝙎𝙈𝙄𝙇𝙀 || Federico Chiesa (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora