𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 𝙇𝙓𝙓𝙓𝙑𝙄𝙄. ⚽💙

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"Non credo
in molto,
ma vorrei
pensare che
tu sia il
mio destino."


















FEDERICO CHIESA'S POV:

Ci sono cose che non vengono dette sull'amore. Quando siamo piccoli, ci viene descritto come l'unico sentimento capace di portare avanti il mondo.
Passi la tua intera adolescenza a chiederti cosa sarà, quale sarà il viso della persona che stravolgerà per sempre la tua esistenza. Ma le poesie, le canzoni e i film d'amore non ti parlano del modo in cui si avvolge allo ossa, o al modo in cui è capace di spezzarti il cuore per sempre, portandoti a non fidarti più di nessuno. Quando ero soltanto un adolescente, vedevo l'amore come un'qualcosa di lontano, quasi irraggiungibile. Vedevo i miei coetanei innamorarsi, ed io che ero concentrato soltanto al realizzare i miei più grandi sogni, che non li capivo.
Finché, nella mia vita, non arrivò Benedetta. Ci incontrammo in una festa di amici in comune, e da lì non ci lasciammo più. A colpirmi fu la sua risata. Benedetta era sempre stata un'amica preziosa per me, ma col tempo si dimostrò anche una perfetta compagna di vita. Io e lei eravamo sempre stati molto simili. Riuscivo a capirla con uno sguardo e lei riusciva a capire me. Quando la nostra storia finì, mi concentrai solo e soltanto sul calcio, la mia più grande passione, nonché il mio lavoro. Ma non dimenticai mai Benedetta. Avevo sempre creduto nel destino. Se due persone sono destinate a stare assieme, si ritroveranno, in un modo o nell'altro. E io vissi nella convinzione che un giorno, io e lei, ci saremmo ritrovati. Quando Karen era entrata nella mia vita, non avevo pensato che a lei. L'aveva stravolta, come soltanto gli uragani come lei sanno fare. Mi aveva portato a credere nel colpo di fulmine, nell'amore a prima vista, nelle occasioni del destino.
Ma si sa, quando si è giovani, si provano emozioni forti e spesso contrastanti. Il mio amore per Karen si era spento nel giro di pochi mesi, quando mi ero conto chi fosse veramente lei. Non mi ero mai sentito all'altezza della mora e, quando Zaniolo era entrato a far parte della sua vita, avevo immediatamente capito che non ne sarebbe uscito così facilmente come ne era entrato. È lì che capii di averla persa, persa per sempre. In quegli stessi giorni, ricominciai a provare dei forti sentimenti per Benedetta. Io e Karen eravamo ancora fidanzati, ma io la sentivo sempre più lontana, soprattutto nel giorno in cui mi comunicò di voler andare a Roma per incontrare Zaniolo.
Quel suo gesto mi ferí incredibilmente, e mi portò a dubitare della fedeltà della ragazza. Il suo arrivo a Torino, i litigi, il presunto tradimento e la rivelazione dell'aborto spontaneo furono soltanto le gocce che fecero traboccare un vaso ormai pieno. Benedetta mi aveva aiutato ad aprire gli occhi, ad aprirmi ad una realtà che non volevo vedere realmente. E io, in quei mesi, sentivo di esser diventato una persona differente da quella che si era innamorata di Karen. Non ero più una promessa del calcio, ma un vero e proprio professionista. Avevo bisogno di qualcuno che mi stesse accanto, non di qualcuno da rincorrere perennemente.
E per quanto mi costó ammetterlo, con Karen le cose sarebbero state più difficili del previsto, in ogni caso. 
Ho sempre pensato che il vero amore durasse per sempre. E continuavo a farlo, nonostante tutto. Ma ciò che mi aveva fatto provare Karen in due mesi, non me l'aveva mai fatto provare nessuno. Era questione di chimica, non di tempo. Passai intere notti a tormentarmi sul perché la nostra storia fosse finita, sul perché quella maledetta sera non ebbi il coraggio di dirle di restare. Poi, però, riuscii a rispondermi.
Non avevo mai avuto il coraggio di sceglierla. Avevo sempre optato per la via più semplice, convinto che mi avrebbe reso felice per il resto dei miei giorni. Con ogni probabilità, avrei sposato e vissuto per sempre con quella moretta che tanto teneva a me.
E Karen, probabilmente, sarebbe rimasta soltanto uno dei più bei ricordi, ma anche uno dei più dolorosi.
Lei, per me, era stata l'emblema dell'amore assoluto. Qualcosa di bello come le rose che lei tanto amava, ma capace di fare male. Forse io non avrei mai compreso a fondo i momenti in cui lei, rannicchiata nelle mie braccia, mi raccontava di quanto le mancasse suonare con i suoi amici e vivere nella Capitale. Non avrei mai compreso ciò che lei voleva, così come lei non aveva compreso i miei desideri. Eravamo diversi, io e Karen. Ma forse, per capirsi, bisogna essere un po' diversi.
Certe mattine mi capitava di svegliarmi e rimanere a fissare il soffitto senza saperne il perché, con una certa malinconia. Mi sembrava di avere tutto, ma avere niente. Così come mi ero sentito tanti mesi prima, quando la mia storia con Benedetta era giunta al termine.
Mi rigiravo nel letto e, dall'altra parte, scorgevo i suoi lunghi capelli mossi posati sul cuscino, che lei abbracciava con tanta decisione. Eppure, non provavo nulla. Assolutamente nulla.
Amavo Benedetta, ma era un amore a metà. Come l'amore di quei genitori che stanno insieme per abitudine. Perché, seppure avessimo riscoperto i sentimenti reciproci l'un per l'altro, la nostra storia non era cambiata. Era sempre la stessa. Lei, era sempre la stessa. Ma io? Io non ero più lo stesso.
Non ero lo stesso ragazzo che tre anni prima si era innamorato di lei.
Ma ero convinto che fosse giusto così.
Che io stessi con lei, e lei stesse con me.
Eravamo destinati a stare insieme, legati da un filo rosso indissolubile.
Le anime gemelle, però, non sempre sono fidanzati. A volte sono anche amici, anime che si sono trovate in un determinato momento della propria vita e che non si sono più dimenticate.
In cuor mio, sentivo che la mia anima gemella era Karen. Ma il mio amore eterno era destinato a Benedetta.
Perché era giusto così, e lo sarebbe stato per sempre. Il problema che vi era tra me e Karen, è che noi non eravamo amici. Noi eravamo semplicemente amanti. Benedetta, invece, era anche mia amica. L'amore non basta, a volte.
Quante volte lo avevamo ripetuto?
Tante, forse troppe. Ma era effettivamente così. Perché io avrei potuto amare Karen più della mia stessa vita, ma lei non lo avrebbe mai saputo. Perché non eravamo destinati l'uno all'altro. Ed io sentivo che lei sarebbe potuta essere felice anche senza di me. Ed io? Io mi accontentatavo di Benedetta e del suo sorriso, che era poesia di per sé.
Una volta, lessi in un libro che è proprio accontentandosi che si diventa infelici.
Benedetta non era un ripiego: era quella certezza che avevo sempre portato nel cuore, e che non avrei mai più lasciato. Non ero più pronto a rischiare per una ragazza come Karen.
Potevo soltanto amarla da lontano, come il Sole ama la Luna. Da lontano, senza mai incontrarla. Forse lei aveva sempre avuto ragione. Non ero capace di stare da solo. Avevo sempre bisogno di qualcuno al mio fianco, a cui donare tutto l'amore che avevo dentro.
Ma ormai, cosa importava? Quell'amore lo avrei donato al ricordo che avevo di Karen. E a Benedetta, ma in piccola parte. Il mio cuore le apparteneva, ma la mia anima no.
Quella era e sarebbe stata sempre di Karen. Ma mia figlia avrebbe avuto il suo nome, anche come secondo nome.
Perché io, l'emozione di leggere "Karen Chiesa" l'avrei voluta provare per il resto della vita. Non avrei mai provato quella sensazione dal vivo, ma le avrei reso omaggio nel miglior modo che conoscevo. E quella, non era una mancanza di rispetto nei confronti di Benedetta. Perché lei lo sapeva.
Lei sapeva che io amavo ancora Karen.
Ma sapeva anche che lei, lei e soltanto lei, avrebbe potuto farmi vivere tranquillo per il resto della vita.
Aveva le chiavi del mio cuore, Benedetta, ma Karen...
Karen aveva il lucchetto.
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𝙃𝙄𝙎 𝙎𝙈𝙄𝙇𝙀 || Federico Chiesa (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora