𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 𝙓𝘾𝙑𝙄. ⚽💙

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"Mi hai
promesso
il «per sempre»
in un mondo
dove anche
la vita è
temporanea."














FEDERICO CHIESA'S POV:

La meravigliosa Torino incorniciava quella che per me era stata una serata perfetta. Infilai le chiavi nella serratura, ed gettai il borsone sul pavimento. Non riuscivo a smettere di pensare a ciò che avevo appena fatto.
Posai delicatamente il premio "Man of the match" che mi era stato conferito dopo il goal al Chelsea. Io, Federico Chiesa, avevo appena consentito alla mia squadra, la Juventus, di andare avanti in Champions League con uno strepitoso goal alla squadra che l'aveva vinta l'anno precedente. Mi sentivo il valore aggiunto della mia squadra, e iniziavo a raccogliere i frutti del duro lavoro di quegli anni. Era stato emozionante per me essere paragonato dai cronisti a campioni del calibro di Mbappé e Halaand. Quella era la mia notte, la notte di Federico Chiesa.
Avevo finalmente ottenuto la consacrazione definitiva come calciatore, anche in ambito Europeo.
Sistemai il premio in camera mia, accanto a tutti gli altri, poi li guardai soddisfatto. Mi ricordai dei pomeriggi passati ad allenarmi con mio fratello Lorenzo, delle prime partite con la Fiorentina, alla Convocazione in Nazionale, l'arrivo alla Juventus e infine la vittoria degli Europei di calcio. Sentivo di star realizzando tutti i miei sogni, e sapevo che il Federico bambino sarebbe stato di certo orgoglioso di me.
In quella magica notte, avevo tutto.
Non mi mancava nulla. Se non lei.
Spesso tendiamo a pensare sempre a ciò che ci manca, piuttosto che a ciò che abbiamo. Ed io, finalmente, potevo dire di avere tutto quello che un ragazzo della mia età avrebbe potuto sognare.
Avevo una famiglia stupenda, degli amici veri e una passione che muoveva le mie giornate. Eppure, lei mi mancava. Mi mancava come l'aria, nonostante avessi tutto.
Karen, per me, era l'ossigeno che respiravo. Era il mio valore aggiunto.
Avrei voluto tanto poter dedicare quel meraviglioso goal a lei, che sicuramente sarebbe venuta a vedermi allo Stadio.
Immaginai a come avrebbe reagito, vedendomi rincasare. Mi avrebbe stretto forte, poi mi avrebbe sussurrato all'orecchio:
"Ma quanto sei forte? Sei il mio Chicco, il mio campione, il mio tutto."
Ed invece, lei non era lì.
Non era a casa ad aspettarmi, né tantomeno sugli spalti ad acclamare il mio goal. Non era lì. Era soltanto nel mio cuore, ma non sarebbe bastato a colmare la tristezza che avevo dentro.
Mi mancava come non mi era mai mancata. Mi mancava vederla gioire dei miei successi. Mi mancava vederla piangere ad ogni mio goal. Mi mancava vederla indossare la maglia della Juventus con su scritto il mio nome.
Mi mancava il modo in cui amava coccolarmi. Mi mancava lei.
Mi mancavano persino i momenti in cui faticavo a capirla, quelli in cui preferiva stare da sola, i momenti in cui dava il peggio di sé. Col tempo, avevo capito che una come Karen non doveva per forza essere capita. Doveva essere amata per quello che era, incondizionatamente. Purtroppo, l'avevo compreso troppo tardi e nel momento sbagliato. A peggiorare la situazione, ci si era messo di mezzo persino il matrimonio del mio compagno di squadra Manuel Locatelli. Eravamo molto amici, e a lui avevo spesso parlato di Karen. Il ragazzo aveva annunciato il matrimonio con la sua fidanzata storica Thessa proprio quel giorno. Ed io, imperterrito, avevo assistito alla gioia del mio amico.
E ancora, avevo immaginato il momento in cui mi sarei sposato io.
Il vero problema è che non riuscivo ad immaginare nessuno al mio fianco se non Karen. Lei, la ragazza che più avevo amato, l'unica capace di rendermi veramente felice, la donna della mia vita. Mi mancava. Mi mancava terribilmente. Mi mancava il suo modo di farmi ridere, il suo essere maliziosa, il suo essere continuamente insicura. Karen era tante cose, e definirla non era semplice. Ma era proprio quel suo essere tante donne in una sola a renderla così speciale.
Così, venni pervarso da un'improvvisa tristezza. Ero il talento più promettente di tutti, eppure per essere felice davvero mi serviva lei. Quella sera, Karen mancava un po' di più. Un po' di più del normale. Perché, intendiamoci, io continuavo a pensarla ogni sera prima di andare a dormire e ogni mattina appena sveglio. Ma quella sera non riuscivo proprio a distrarmi dal pensiero di lei che probabilmente dormiva tranquilla in altre braccia.
Lei, che rideva con un altro.
Lei, che un giorno avrebbe detto "ti amo" a un ragazzo che non sarei stato io. Lei, che un giorno avrebbe detto "si" ad un ragazzo che non sarei stato io.
Lei, che semplicemente un giorno si sarebbe svegliata e avrebbe amato un altro. Non mi avrebbe più pensato né prima di andare a dormire né appena sveglia. Ed io, invece, non avrei mai superato la nostra rottura. Non riuscivo a capacitarmi dell'idea che Karen non fosse più mia. Il mio cuore era ancora suo, la mia anima devota a lei, il mio sorriso provocato da ogni sua gioia.
Lei era in ogni mio gesto, in ogni mia parola, in ogni mio respiro.
I cronisti quella sera mi avevano chiesto a chi dedicavo quello splendido goal che aveva perforato la difesa del Chelsea. Ed io, con nonchalance, avevo risposto che lo dedicavo a tutti i tifosi della Juventus.
La verità era un'altra.
Io quella sera avevo segnato pensando a lei. A lei che, probabilmente, era sul divano a guardare la TV e che distrattamente mi avrebbe visto segnare. A lei, che mi avrebbe visto fare un cuore verso la telecamera.
A lei, che non avrebbe capito che quel gesto così bello era per lei.
A lei, che probabilmente si sarebbe disperata domandandosi a chi avessi dedicato il goal. A lei, che era l'unica ragione di ogni mio sorriso. A lei, a cui avrei dedicato goal all'infinito.
Semplicemente a lei.
Ancora una volta la mia vittoria più bella.
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𝙃𝙄𝙎 𝙎𝙈𝙄𝙇𝙀 || Federico Chiesa (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora