9. Uno in avanti, due indietro

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Zora

Erano le dieci in punto stando all'orologio da taschino di Orestes, quello che non aveva mai sbagliato un colpo, la taverna era già gremita, ma della salamandra non c'era traccia.

Zora aveva preparato il biglietto affinché Egon lo prendesse, ma non ci aveva riposto poi troppe speranze, per cui non aveva pensato di aggiungerci anche un indirizzo preciso.

Certo, poteva essere quello il motivo del ritardo, pregò il Primo che Egon avesse solo sbagliato strada e non ripensato alla sua offerta.

«Ti stai mangiando le unghie» la riproverò Orestes. L'uomo le coprì la mano con una delle sue e gliela allontanò dalle labbra.
Il tocco gentile dell'amico non bastò a tranquillizzarla.
Intorno a loro i marinai bevevano e mangiavano, poi bevevano e cantavano, poi bevevano e bevevano.

C'era anche Jerome, già appisolato in un angolo solitario, con la fiaschetta di vino che sbucava da sotto al braccio.

Zora non era l'unica presenza femminile, ma la sola con una camicia abbastanza accollata da tenere alla larga gli uomini che erano ancora sobri. Per quelli ubriachi ci pensava Orestes.

Orestes che era lì con lei, dopo una lunga giornata di lavoro, e non a casa a riposare.

«Mi dispiace» gli disse, «è stata solo una perdita di tempo.»
Lui le sorrise scoprendo i suoi denti bianchissimi. «Zora, calmati, credevi davvero che fosse puntuale?»
Lei si chiuse nelle spalle e sospirò. «Saresti dovuto restare a casa... O con Clove.»
Orestes brontolò e una smorfia gli piegò le labbra. «Né io, né tu vogliamo metterla in pericolo. E se le avessimo detto del nostro incontro stasera, nulla l'avrebbe fermata dal seguirci.»
Zora sghignazzò. «Non ne dubito.»

Un fragoroso rumore di vetri rotti si elevò dall'angolo della musica e qualcuno iniziò a suonare.
Per loro due, che erano accomodati al bancone, il suono era ammortizzato da una valanga di schiamazzi e canti stonati dai testi non proprio casti.

Jerome si svegliò di colpo quando le note di "Mia bella Rue" gli solleticarono le orecchie.

Orestes ordinò da bere, perché il cibo era pessimo, Zora aveva lo stomaco sottosopra e non avrebbe toccato neanche un bicchiere d'acqua in quel momento.

Se non fosse venuto cosa avrebbe fatto?
L'avrebbe cercato l'indomani per chiedergli spiegazioni?
O avrebbe dovuto cambiare approccio?

Magari era stata una pessima idea. Si stava cacciando in una faccenda più grande di lei. E per cosa? La sua libertà? Erano anni che non aveva idea di cosa significasse essere libera. Non se lo ricordava più, ormai.

Avrebbe dovuto rinunciare e aspettare che il disegno del Primo si compisse anche per lei.
Il disegno di un dio che l'aveva abbandonata in balia del mare aperto.
Che l'aveva lasciata a marcire in quel regno corrotto piuttosto che concederle l'accesso al regno di Kal e una fine appropriata, che fosse nel ghiaccio o nel fuoco.

Zora piantò i palmi delle mani sul bancone e scattò in piedi. «Dovremmo andare vi...»
Un paio di mani le afferrarono la schiena prima che lei inciampasse in qualcuno.
«Ci hai ripensato?»

Lo aveva riconosciuto da prima che parlasse. Dal tocco. Gentile come quello di Orestes e non violento o sgarbato come quello della quasi totalità degli uomini del regno.

Zora si voltò a guardargli il viso, la cicatrice luccicava sotto la luce delle lampade e delle candele. «Credevo non venissi più» si scusò.
Egon si chiuse nelle spalle. «Non ho ancora imparato bene a guardare l'orologio» disse, quindi lanciò un'occhiata dietro di lei e sorrise. «Ti sei portata la guardia del corpo.»
Orestes si sistemò sul suo sgabello. «Anche tu» gli disse.
Solo in quel momento Zora si rese conto che l'altra salamandra, il ragazzo rosso, se ne stava nascosta dietro la sagoma di Egon.

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora