49. Gli occhi non mentono

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Egon

«Sei diverso dall'ultima volta che ci siamo battuti. Hai ripreso peso» Atlas provò un affondo, ma Egon lo parò con una semplice mossa del polso.

La mano che adesso reggeva la spada, solo la sera prima aveva seppellito Kai nella Valle dei Caduti. Il funerale era iniziato al tramonto. I Pušak'reskar avevano intonato i canti funebri e Atlas era stato il primo a dirgli addio poggiando la prima pietra, Freya la seconda, lui il terzo.

Non ricordava altro, né si era curato di chi fosse presente alla cerimonia; sapeva soltanto che dopo aver restituito il corpo di Kai alla terra e all'Etere, il ragazzo avrebbe trovato la  pace. Ed Egon la sua. Perciò, quando aveva toccato il letto era crollato esausto, aveva dormito poche ore e poi Atlas l'aveva mandato a chiamare per l'allenamento.

Egon sapeva che Atlas avesse trovato un pretesto per consentirgli di sfogare la rabbia e la frustrazione, ma il re si stava divertendo.
«Mi sono allenato» ribatté Egon, il peso familiare della spada di Leyran era un piacere indescrivibile.

Atlas lo aveva umiliato nello scontro prima di partire ed Egon non se n'era dimenticato. Avanzò trasportando tutto il proprio peso nelle braccia e con un solo colpo disarmò il suo re.

Atlas ghignò. «Io invece no» si giustificò, «anche se Freya insiste ad allenarsi, non può fare grandi sforzi, è passato poco tempo dal parto. E sinceramente la differenza è notevole» sbuffò un sorriso.
Egon alzò entrambe le sopracciglia. «Se ti sentisse ti manderebbe col culo per terra in due mosse.»
Atlas rise. «Ma noi non glielo diremo» la risata terminò di colpo e il re gli lanciò un'occhiata incerta. «Vero?»
Egon scoprì i denti e poi rinnovò la presa sulla spada. «Battimi e terrò la bocca chiusa.»

Sembrava un ritorno al passato. Le loro faide si erano sempre risolte in quel modo, a colpi d'acciaio e patti stipulati.

Atlas scosse la testa. «Basta così, per oggi. Va' a lavarti. Devi conoscere i miei figli.»

"I miei figli".

Egon ebbe un sussulto improvviso che gli fece quasi cadere la spada. Il cuore prese a palpitargli da un'emozione nuova, sconosciuta e inebriante. Atlas dovette accorgersene, perché gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.

La verità era che Egon era spaventato. L'ultima volta che aveva visto un neonato si trattava di Renan e lui era ancora un bambino.
Ma adesso erano i figli di Atlas.
Di Atlas, cazzo.

Atlas che era re, aveva una moglie e adesso era diventato padre. Ed era suo coetaneo.

Porca merda.

Era come se il tempo gli stesse scorrendo addosso ed Egon non era altro che una roccia che non poteva essere trasportata dalla corrente.

Dopo che si furono cambiati, Atlas lo condusse verso l'ala ovest del palazzo, dove Egon aveva lasciato intatta la vecchia stanza del re.

I suoi piedi divennero di ghiaccio quando dal fondo del corridoio si levò un lamento.

Atlas si voltò a guardarlo e sorrise. «Hai paura che ti mordano?» scherzò, «sono piccoli Elementali, non cuccioli di Shek, andiamo.»
Gli strinse il braccio e lo spinse nel corridoio, fino alla stanza, poi Atlas aprì la porta...

Freya stringeva contro il seno un fagotto di lenzuola bianche con ricami blu, dondolava sui talloni e canticchiava a labbra strette mentre, Egon capì, stava allattando il neonato.

Quando li vide entrare non gli rivolse più di un sorriso e un cenno di saluto col mento.

Per Xels!

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora