48. Contro ogni pregiudizio

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Zora

Sbarcarono dopo due notti, perché gli Elementali dell'aria erano stanchi e provati dal viaggio, mentre la fata stava consumando tutte le energie per Kai.

Arrivarono a sud di Valdris, a una dovuta distanza dalla costa delle rovine di una vecchia città comune. Lasciarono la nave e usarono le scialuppe per raggiungere la riva bassa e sabbiosa. Da lì avrebbero dovuto camminare fino alla Montagna di Fuoco.

Era una processione lenta, una sorta di marcia funebre, accompagnata a un certo punto da un fiume di luci dorate. "Fate minori", aveva detto un elfo nelle retrovie, anche se a Zora sembravano solo lucciole. Almeno finché non portarono loro del cibo e dell'acqua.

Riusciva a vedere la montagna in lontananza. Era alta e spoglia, le rocce erano minacciose come Egon gliele aveva descritte, ma man mano che si avvicinarono il paesaggio arido si tinse di verde. Pini, abeti e betulle segnarono l'inizio di una foresta e dopo quasi un'ora di cammino, alcuni Elementali dell'aria si staccarono dal gruppo.

«Stanno tornando a casa» disse l'elfo accanto a lei, che invece era rimasto, «da quella parte c'è la Pianura d'Argento.»
Gli occhi di Clove guizzarono nella direzione in cui si erano allontanati gli altri Elementali. Quella era stata la casa di sua madre, sicuramente Clove aveva ancora dei parenti da quelle parti.

«Tu non vai?» gli chiese Zora, la gola secca.
L'elfo scosse la testa. Era giovane, aveva la testa rasata da un lato e i capelli biondi lunghi dall'altro, ed erano raccolti in una morbida coda di cavallo sulla spalla.
«La mia casa è a Domea, ma sono un guerriero della regina e al momento sono al suo servizio. Mi chiamo Nirowem» le sorrise gentile.
Lei non ebbe le forze di ricambiare il gesto. «Io sono Zora» rispose piano.

Nirowem infilò una mano nella tasca della sua casacca argentata. «Bene, Zora, prendi» le allungò un fagotto di carta e stoffa blu «non hai una bella cera, ne hai più bisogno di me.»
Zora fece per rifiutare, se non fosse che il fagotto sprigionò un profumo così intenso...

Lo afferrò senza pensarci troppo e  addentò subito l'impasto morbido e dolce. Il sapore di nocciole le riempì la bocca e il dolcetto le si sciolse sulla lingua. Non riuscì a trattenere un gemito di piacere.
Da quanto tempo non mangiava? Non lo ricordava.

Nirowem ridacchiò. «Siamo quasi arrivati» la tranquillizzò, «al Palazzo avrete altro cibo.»

L'elfo aveva ragione. Dopo diversi minuti, Zora sentì il rumore dell'acqua e poco più avanti notò il fiume da cui si diramavano diversi ruscelli provenienti dalle fonti montane. Il paesaggio non era ostile come credeva che fosse, ma sicuramente più spoglio rispetto alla foresta che avevano appena passato.

Eppure, la città era stupefacente. Le case si inerpicavano sul costone roccioso della montagna ed erano connesse tra loro da ponti e scale di pietra; la strada che avevano imboccato si fece via via più stretta fino ad arrivare all'ingresso del Palazzo.

Il Palazzo del Fuoco era immenso. Zora sollevò lo sguardo, ma non riuscì a capire dove finisse la facciata di finestre arcuate e longilinee e dove, invece, iniziasse la roccia nuda della montagna. Faceva piuttosto caldo, perciò si tolse il manto dalle spalle, rivelando il vestito sporco e strappato. Nessuno le diede conto mentre si avvicinarono ai cancelli del Palazzo, con Egon che li precedeva e accelerava gradualmente.

Le guardie calarono la fronte quando videro il lord. «Vi aspettavamo per domani, signore» dissero, «i sovrani sono...»
Egon li scansò. «Abbiamo anticipato i tempi, lo so» poi si rivolse al suo piccolo corteo, «seguitemi.»

Il tono di Egon era basso, calmo, inespressivo. Zora sapeva che stava contenendo l'emozione prima che esplodesse. La salamandra non aveva fiatato da quando aveva messo piede nel territorio che poteva chiamare casa.

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora