11. Innocenti bugie

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Zora

Il sole si era imposto nella sua visuale prima ancora che aprisse gli occhi.

Zora mugolò un verso di dissenso e si strofinò le palpebre dolenti.
Ma certo!
La notte prima aveva dimenticato le tende aperte. Dopo che simpatia uno e due l'avevano lasciata sotto casa, era salita nella sua soffitta al primo piano della galleria d'arte e si era appostata dietro alla finestra; quindi aveva aperto le tende per guardare le due salamandre che confabulavano tra loro.

Egon le aveva chiesto un miliardo di volte perché mai lei vivesse in una galleria d'arte abbandonata, ma Zora non aveva perso tempo a spiegargli quanto le piacesse svegliarsi con l'odore dei colori a olio incrostati ovunque, delle tele invecchiate e del gesso delle statue incomplete.

Quello, e anche il fatto che non avesse abbastanza denaro da permettersi una sistemazione diversa.

Quando finalmente Egon l'aveva lasciata salire, lei aveva provato a leggere il labiale dei due dalla sua finestra. Kai si era lamentato, tanto per cambiare, del fatto che Egon desiderasse proseguire la collaborazione con Zora.

Il rosso era sveglio e anche molto cauto, al contrario del lord impulsivo e testardo. Nonostante tutto, l'ultima parola spettava sempre a Egon e l'ultimo sospiro a Kai.
Riconoscendo uno spettacolo che aveva già visto nei giorni precedenti, Zora capì che non ci sarebbe stato più niente di interessante da vedere e se ne era andata a letto.

Di colpo sbarrò gli occhi. «Merda! La signora Ashen!»
Gettò per l'aria le lenzuola e andò a lavarsi alla meglio prima di infilarsi il vestito del giorno precedente con il bordo della gonna sporco di terreno.

Per fortuna, non era poi così tardi, ma Zora doveva ancora percorrere un bel tratto di strada a piedi prima di arrivare a casa dell'anziana.
Imboccò la salita principale e la percorse fino alla piazza dell'orologio, poi svoltò a sinistra fino al negozio di abbigliamento e da lì in poi doveva contare tre porte prima di arrivare a casa Ashen.

Ma la vetrina del negozio era troppo invitante per non fermarsi. L'abito esposto era blu notte, troppo eccessivo per essere indossato quotidianamente, ma era incantevole e, modestamente, Zora sapeva che con il suo incarnato e con il colore dei suoi capelli le sarebbe stato divinamente.

Magari in un'altra vita, quando non doveva lottare per arrivare a fine mese o accettare l'invito a pranzo e cena da Clove e Orestes perché non le erano rimasti soldi per il cibo.

Socchiuse gli occhi e inspirò lentamente. Piano piano scivolò in un sogno dove indossava quell'abito e camminava per le stanze di una villa decorata come piace a lei, con le pareti nascoste da quadri e affreschi e busti di gesso in ogni angolo.

E poi la faccia di Egon sbucò da dietro una porta della villa con la promessa che quella libertà sarebbe stata sua... Allora lei gli credette.

Semplicemente perché la salamandra era fin troppo facile da convincere. Grazie al Primo, non le era servito neanche mettere in mostra la scollatura per ottenere qualcosa da lui.

Zora odiava farlo... Ma purtroppo le era già capitato in passato e se significava possibilità di sopravvivenza, allora l'avrebbe fatto ancora.

La signora Ashen.

Il sogno con l'abito e la villa sfumò in una nuvola e si vaporizzò; Zora contò tre porte e poi sbatté il batacchio sulla porta di legno scuro della casa che cercava.

Amelie Ashen era una donna di sessant'anni, minuta e raggrinzita, ma ricolma di generosità, sebbene appartenesse alla classe medio borghese.
Quando le aprì la porta la accolse con un vassoio di brioche appena sfornate.
«Buongiorno, cara, stavo preparando la colazione ne vuoi un po'?» si spostò da un lato e Zora fu investita dal profumo di zucchero a velo.
Le venne l'acquolina in bocca all'istante. «Se non è un disturbo» rispose.
«Oh, ma che disturbo, mia cara! Prendi, senza troppi complimenti.»

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora