38. Finché la notte muta nel giorno

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Zora

Zora si morse il labbro per contenere il grido al dolore improvviso, eppure familiare.
Egon aspettò che lei calmasse il suo respiro prima di avanzare ancora, le diede il tempo di abituarsi alla sensazione di pienezza, con calma, come lei gli aveva chiesto.

Zora gli premette le unghie nella schiena non appena Egon affondò di più dentro di lei e quando lei si lasciò scappare un urlo secco Egon si fermò, valutando se si trattasse di una lieve fitta, o del piacere che stava per invaderla.

«Se ne hai bisogno, puoi mordermi la spalla» le disse lui all'orecchio con quel ghigno malizioso che lo contraddistingueva.
Zora ansimò. «Se vuoi essere morso basta chiedere.»
Sorprese persino se stessa per essere stata capace di rispondergli a tono in una situazione del genere.
Doveva ammetterlo, però, la risata di Egon fu una distrazione abbastanza efficace, che lui sfruttò per spingersi dentro di lei in tutta la sua lunghezza con un ultimo colpo di anche.

Zora non lo morse. Piegò la testa sul cuscino, strizzò gli occhi e gemette, aggrappandosi alla sua schiena con tutta la forza che le era rimasta.
Sentì le dita di Egon insinuarsi nell'attaccatura dei suoi capelli; rimasero lì ferme un attimo, poi iniziarono ad accarezzarle la cute.

Bontà divina.

Avrebbe potuto piangere per la dolcezza nelle carezze di lui, sorpresa ed estasiata dal fatto che fosse Egon, la salamandra dal cuore di ghiaccio, a farle bruciare il cuore.

Zora cercò il viso di lui illuminato debolmente dalle candele e si perse in quegli occhi d'ambra appannati da un velo di desiderio.

Non l'aveva mai visto così, ed era bellissimo, più bello di quanto lo fosse alla luce del sole.
Ed Egon, al di là di quanto lei gli avesse mai fatto capire, era davvero il maschio più incantevole su cui avesse posato gli occhi in tutta la sua vita.
D'altronde, non c'era bisogno di dirglielo... la salamandra aveva già un ego d'acciaio.

«Sei così calda» le disse. E stavolta non era né un gioco né una provocazione, ma una richiesta. Una supplica.

Di solito, Egon non chiedeva mai il permesso prima di prendere ciò che desiderava, ma Zora sapeva che si sarebbe fermato non appena lei avesse obiettato.

La tenerezza di quel pensiero la fece rabbrividire. Zora sollevò una mano e gli passò un dito sulle labbra, poi più in alto, verso il bordo della cicatrice. Non seppe bene il perché, ma gliela accarezzò e poi si sporse per baciargliela.

Quel gesto fu come lasciargli carta bianca.
Egon si ritrasse fino alla punta e riaffondò. Lei chiuse gli occhi in estasi e lui ripeté il movimento, stabilendo un ritmo che Zora provò a inseguire con i suoi fianchi, incontrandolo nel mezzo dei suoi colpi.

Egon era come un'onda, ma sapeva di legno e braci, e le svuotava i polmoni riempiendole tutto il resto.
Credette di affogare quando lui, a un certo punto, gemette nel suo orecchio.
«Mi ucciderai» gli disse intrecciandogli le mani nei capelli. E già sentiva le guance andare in fiamme.

Egon le diede una spinta più forte, più profonda. E sì. Zora sentì davvero di aver lasciato quel mondo.

«Baciami» pretese lui «baciami fino a togliermi il fiato, Zora.»
Lei obbedì e bastò sentire la lingua di Egon che premeva nella sua bocca con la stessa insistenza, affinché si formasse di nuovo quel nodo nel basso ventre.
Stavolta, però, Zora lo accolse, se lo gustò e lo rincorse a ogni affondo di Egon dentro di lei.
Poi interruppe il bacio. «Egon» gemette.
Lui faticò a darsi una regolata, temendo che lei volesse fermarsi di nuovo.
No. No. No.
Zora gli legò le gambe intorno alla vita e lo attirò a sé.
«Di più» piagnucolò.

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora