52. Molto stupida, molto coraggiosa

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Zora

Egon non chiedeva mai il permesso prima di prendersi qualcosa.

Quella notte era successo il contrario.
Insomma, il sesso selvaggio contro il muro era stato esattamente come se l'aspettava, forse anche meglio, ma quello che avevano avuto dopo no. Per niente.

Una tale intensità, una dolcezza così pura e il bisogno di sentirsi attaccato a lei, evidente nel modo in cui le aveva stretto la mano, quello non lo avrebbe mai immaginato. Adesso, invece, era sicura che l'avrebbe sognato per sempre.

Zora guardò Egon dormire prono, con le mani sotto al cuscino e la testa ruotata verso destra. Le scapole ampie si contraevano a ogni respiro e le venne voglia di accarezzarlo, di baciargli le cicatrici lunghe e oblique che gli percorrevano la schiena come aveva fatto qualche ora prima.

Ma non lo fece.

Egon le aveva detto di amarla e Zora non aveva risposto.
Non perché non ricambiasse il sentimento, ma perché era troppo sconvolta. Sapeva che cosa significasse per lui aprirsi in quel modo. Se non si fosse fidato completamente di lei, se non ne fosse stato sicuro in tutto e per tutto, allora avrebbe taciuto.
Invece, nonostante Atlas e le persone che gli avevano fatto perdere la fiducia nell'amore e in se stesso, Egon le aveva offerto il suo cuore.
Egon Merrior. Lord Egon Merrior la amava.

E lei gli aveva portato la guerra.

Zora allungò una mano per aggiustargli i capelli sulla fronte, poi si abbassò a baciargli il sopracciglio sfregiato.

«Tu non partirai domani» gli disse.
Lui continuò a dormire.
Bene.
«Non posso permettere che la guerra arrivi fin qui. Non posso lasciarti andare» sussurrò, «ho promesso che ti avrei protetto.»

Un altro bacio ed Egon rimase assorto nel suo sogno.

Da quanto tempo non dormiva?

Ma era meglio così, meglio che fosse caduto in un sonno profondo. Zora si alzò, si rivestì alla svelta infilandosi pantaloni e casacca e si guardò intorno: Egon era entrato in camera sua con solo i vestiti addosso, niente armi. Nemmeno la spada di Leyran. E in tutta la stanza non c'era neanche l'ombra di un coltello o di un paio di forbici... Persino una limetta per le unghie! Niente.

Eppure, considerando il luogo dove si  sarebbe diretta, Zora poteva portare con sé qualcosa di più grande di un'arma. Qualcosa di più utile, senza dubbio.

Aprì la porta cercando di non far rumore mentre l'aurora colorava l'orizzonte, e prima di uscire lanciò un'altra occhiata alla salamandra nel suo letto. A quell'uomo bellissimo che era stato il suo miracolo.
Per lui.
Per lui avrebbe smesso di scappare.
Per lui avrebbe affrontato le sue responsabilità.
Per lui avrebbe rischiato ogni cosa.

Lo ricordò così, che dormiva in pace come un bambino, poi uscì socchiudendo la porta; e dopo dieci minuti e dopo essersi persa una volta tra i corridoi del Palazzo, Zora arrivò alla caverna.

Alcuni leoni dormivano acquattati, ma quello di Egon era in piedi, sveglio, e quando la sentì entrare rivolse la testa nella sua direzione.

Amias ruggì pacato quando si accorse che non era il suo padrone, ma lei. Zora sollevò le mani per tenerlo buono, un po' come avrebbe fatto con un cavallo. Sperò che fosse la stessa cosa.

«Ciao Amias, sono Zora, ti ricordi? Ci siamo incontrati ieri.»
Il leone scoprì i canini ma rimase fermo e dopo un minuto in cui Zora trattenne il fiato, l'animale abbassò la testa e tornò a farsi i fatti suoi.

«Aspetta. Ho bisogno di te» gli si avvicinò, un passo alla volta e sempre sull'attenti.
«È per Egon,» disse, «non voglio che parta per battersi contro gli umani.»
Il leone emise un suono gutturale graffiante e si sedette sulle zampe posteriori.
Zora capì che ora aveva la sua attenzione.
«Domani arriveranno dei nemici dal mio continente ed Egon andrà a combattere in prima linea» spiegò, «ma se impedisco loro di arrivare fin qui, Egon non si esporrà ad alcun pericolo.»

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora