Prologo

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Egon

Le lenzuola di seta nere gli accarezzavano la pelle come le mani dell'amante con cui aveva condiviso il letto, in modo disinteressato e perpetuo.
Ma adesso il letto era vuoto e freddo.
Era strano, per una salamandra, avvertire così distintamente il freddo del primo mattino, eppure Egon lo sentiva fin dentro le ossa e si odiava per quello.

Si era svegliato sentendo i passi dell'amante che aveva lasciato la stanza prima ancora che sorgesse il sole e poi era rimasto lì, da solo, a contemplare il soffitto della sua stanza regale. Il ridicolo drappeggio di tende dai ricami oro, le lanterne a olio spente, il quadro imbarazzante di se stesso in groppa ad Amias mentre guidava i suoi uomini nella battaglia per la riconquista del Palazzo del Fuoco, durante la guerra contro gli oscuri.

Battaglia che gli era valsa non solo la nomina a consigliere reale, ma anche il titolo di lord, grazie al quale poteva contare numerosi vantaggi, tra cui i sorprendentemente copiosi inviti nelle camere da letto.

Di solito tendeva a rifiutare ogni tipo di proposta, eppure, nonostante la sua freddezza d'animo, non riusciva a far perdere le speranze a chi, prima o poi, credeva che avrebbe scalfito la sua corteccia.

Il se stesso di qualche anno prima avrebbe reagito mettendo su un'espressione crudele di superiorità e diffidenza, così lo avrebbero indubbiamente lasciato in pace, ma adesso non riusciva a nascondere il fatto che un po' si sentisse in colpa.
Era cambiato. E la cosa lo spaventava e lo incuriosiva allo stesso tempo.
Più che altro perché non sapeva se il cambiamento fosse stato un bene o un male.

Di certo, la sera prima non ci aveva pensato più di tanto. Forse era stata la musica della festa, o il liquore elfico che Freya si premurava sempre di inviargli in gran quantità, o forse le parole irripetibili, che a un certo punto gli erano state sussurrate all'orecchio mentre danzava, con un tono basso, carezzevole e peccaminoso a cui non aveva saputo resistere.

Certo, erano state quelle parole a convincerlo. Sicuramente. Il fatto che suo fratello Renan - il suo piccolo fratellino - si fosse presentato al palazzo con una giovane salamandra dai capelli bronzei non aveva minimamente influito.

Alla soglia dei sedici anni, il ragazzino aveva una vita sentimentale migliore della sua. Aveva visto negli occhi di Ren, mentre ballava con la ragazza, una luce nelle iridi che dall'ambra le faceva diventare dorate.

Per tutti i fottuti Shek, suo fratello si era innamorato!

Ne era felice. Infinitamente felice.
E al tempo stesso si era sentito solo. Infinitamente solo.

Era inutile continuare a prendersi in giro, era stato quello il motivo che l'aveva spinto a rotolarsi nel letto con una persona di cui non ricordava neanche il nome.

Ne era pentito? No. E neanche l'amante, per quanto ne sapesse, ma adesso la sensazione di vuoto era tornata e rimuginarci su non gli sarebbe servito a niente.

Fortuna che qualcuno bussò alla porta.
«Egon, sei sveglio?» Kai aveva la voce ferma e spigliata, segno che non si era abbandonato ai piaceri dell'alcol, come invece aveva fatto lui, la sera prima.
Tipico di Kai, pensò.

Si alzò dal letto con un lamento gutturale e prese a cercare i pantaloni tra i vestiti sparsi sul pavimento, sui ripiani dei mobili, dietro la tenda... Ma come ci erano finiti dietro la tenda? Quanto aveva bevuto per non ricordare?

«Entra» sbadigliò sentendo la lingua impastata e un sapore metallico sotto al palato.
Kai aprì la porta con circospezione, forse spaventato da ciò che avrebbe potuto trovare dall'altro lato, perciò tirò un sospiro di sollievo quando notò che Egon fosse solo.

Egon si allacciò la cintura, fissandola una tacca più stretta del solito, quindi si mise alla ricerca della camicia tenendo d'occhio la chioma rossiccia di Kai.
Il ragazzo scosse la testa. «È davvero necessario bere così tanto? Non mangi, sei un fascio di nervi... agli uomini non piace la tua assenza agli allenamenti.»
Egon alzò il sopracciglio. «A me non piace che tu sia qui di primo mattino a farmi la predica.»

Kai incrociò il suo sguardo e lo sostenne con fierezza.
Egon sbuffò. «Grazie, papà. Sto bene.»
«No, non stai bene.»
«Non ti riguarda» ribatté Egon repentinamente.
Digrignò i denti e incrociò le sopracciglia, fissando Kai come un cane rabbioso. Era esattamente nella sua essenza comportarsi in quel modo e, infatti, Kai non si sorprese.

Eppure, Egon l'aveva notato, aveva visto quel minimo cambiamento nell'inclinazione del labbro del ragazzo, una bazzecola, una smorfia invisibile, ma era più che sicuro che fosse reale. Egon sapeva quanto Kai tenesse a lui, trattare il ragazzo con sufficienza non faceva altro che sottolineare quanto fosse caduto in basso, quanto fosse diventato stronzo persino con i suoi amici più cari.
La verità era che rifiutava chiunque intendesse prendersi cura di lui.

Eccezion fatta per due persone.

Eccola. La camicia era volata sullo scrittoio e copriva tutte le scartoffie che Egon avrebbe dovuto leggere approfonditamente e firmare. Storse il naso in un'espressione plateale quindi si infilò l'indumento sudato e maleodorante. «Perché sei qui?»
Kai soppesava ogni suo gesto con sguardo critico e accusatore. Alla fine si limitò a sospirare. «È arrivata una lettera da Lagren.»

Il ragazzo sfilò dalla mantella nera dei Pušák'reskar un pezzo di carta rettangolare, ripiegato con così tanta cura da fare sembrare gli spigoli taglienti. Sullo sfondo dei vestiti corvini di Kai, la lettera era così bianca da splendere e il sigillo reale, rosso e oro, risaltava con un evidente sfarzo.

Egon la fissò per un attimo, dunque distolse lo sguardo con un sorrisetto, focalizzandosi sui bottoni dei polsini. Dopotutto, le lettere arrivavano sempre, dopo ogni festa, solo che di solito arrivavano nel pomeriggio inoltrato. «Rispondi alla regina che il liquore è stato gradito, come sempre» sorrise, «aggiungi anche che la aspetto al palazzo per festeggiare insieme... Magari può portarsi suo marito.»

Egon scosse la testa e sbuffò una risata. Da quando era diventato re, Atlas era carico di responsabilità, come anche lui in qualità di lord, del resto. Solo Freya era rimasta lo spirito libero e solare che aveva conosciuto anni prima. Quella donna era fondamentale nella vita di Atlas, Egon lo sapeva, senza di lei il popolo degli Elementali del fuoco non avrebbe conosciuto lo splendore che stava vivendo.

Kai tossì appena. «Non è da parte della regina» sventolò la lettera sotto al naso di Egon, «la manda Atlas.»
Egon fece guizzare lo sguardo sulla testa rossiccia della salamandra, dunque gli strappò la lettera dalle mani.

Si avvicinò allo scrittoio e prese il coltello per rompere il sigillo.
Gli occhi volarono veloci sulle parole scritte in fretta, con una grafia svolazzante e seria.
Quando le lettere provenivano da Atlas volevano significare due cose: o il re voleva assicurarsi sul suo stato di salute fisica e psicologica, o c'erano guai in vista.

Nel primo caso, però, le lettere di Atlas giungevano a fine giornata.

Egon prese un bel respiro e ripiegò la lettera, quindi sollevò lo sguardo su Kai che attendeva impaziente un qualsiasi tipo di informazione.

Il lord sospirò. «Prepara Amias e Rook. Io e te andiamo immediatamente a Lagren.»

Ignis - Elementali Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora