23 - Ti voglio

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Luis aveva ragione. Angelica aveva ragione, dovevo stare attenta. E anche il mio istinto aveva ragione, quando per tre settimane mi aveva tenuto lontana da lui. Avevo messo il mio equilibrio a repentaglio avvicinandomi ad un uomo che sapevo mi avrebbe sconvolta, ad un uomo che poi ho scoperto essere sposato, nonostante la reputazione da donnaiolo. E poi, come ho potuto pensare anche solo per un attimo che mi volesse davvero. Trovarlo in quelle condizioni, e sentire la voce di quella donna mi aveva tramortita completamente. Adesso basta. Basta David, basta John, mi dovevo trasferire e trovare un altro posto dove lavorare. Appena sento il mio corpo riprendersi, scendo un piano a piedi, e poi prendo l'ascensore per scendere. Non avrei rischiato di incrociare lo sguardo della donna che era appena stata a letto con David.

Quando le porte si aprono il ragazzo mi guarda confuso, ricordandosi di avermi accompagnato al decimo e non al nono piano. Gli sorrido e gli chiedo di riportarmi nella hall. Esco di corsa, non prestando attenzione a John, aprendo il mio ombrello e iniziando a camminare in direzione di casa, mentre le lacrime iniziano a scendermi di nuovo sul volto. L'aria fredda portata dalla pioggia inizia a entrarmi nella pelle.

"Miss Neri!" sento John dire mentre mi corre dietro. Riesco a distinguere poco la sua voce, sono in uno stato di piena confusione e non riesco a placare il mio pianto. "La prego" mi dice tranquillo, mentre mi afferra il braccio, "mi permetta di portarla a casa". Non riuscendo a rispondere e volendo evitare che sul giornale il giorno dopo ci fosse un articolo su una ragazza che piange ininterrottamente sulla metropolitana, decido di seguire John che mi accompagna verso la macchina.

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La mattina il cielo ha ripreso il suo azzurro intenso. Esco dal palazzo con un vestito leggero e tutto mi ricorda David. Le insegne che designano il nuovo proprietario del palazzo ora sono tutte fissate, e non c'è angolo nella hall in cui io mi possa guardare attorno senza vedere il suo cognome. Mentre prendo la metro so che oggi avrei dovuto iniziare a cercare un nuovo appartamento, il che presupponeva il chiamare Kate e fare una stima di quanto io possa spendere per un affitto. Non voglio spostarmi troppo lontana dalla zona dove abito ora, sono vicina ai mezzi principali, la palestra dove faccio yoga si trova a pochi isolati, e inizio anche a pensare all'ufficio.

Mi piace lavorare lì, e non posso rischiare un'altra volta di rinunciare alla mia vita per qualcuno. Per Giulio avevo abbandonato l'Italia, il mio dottorato, la mia famiglia e i miei amici. Qui avevo trovato un lavoro stabile, che mi piaceva e non avrei permesso non tanto a David, quanto a me stessa di rovinare di nuovo tutto.

Il viaggio in metro è abbastanza stressante, molti turisti raggiungono la grande mela in questo periodo dell'anno, e riempiono la metropolitana. Ma non avevo voluto accettare il passaggio di John, da come mi aveva guardata non appena ero uscita avevo capito che anche lui sapeva che non sarei salita sul Land Rover. Sapevo anche che me lo sarei trovata davanti all'ufficio una volta arrivata. La stessa storia si sarebbe ripetuta al pomeriggio, quando sarei tornata a casa.

Durante la serata, ieri, David non mi aveva chiamata ed ero sollevata. Speravo di non doverlo vedere per almeno una settimana. Non avrei potuto reggere un altro confronto con lui senza scoppiare. Arrivo al trentaquattresimo piano del grattacielo molto presto, pronta a lavorare al mio articolo cartaceo.

Questa volta non ci sarebbe stato Finn ad aiutarmi, ma un altro ragazzo che invece si occupava del giornale.

"Buongiorno Anna!" mi dice Cloe alla reception. Era raggiante, nonostante la divisa obbligatoria di quel grigio tanto triste, quanto lo era il mio umore. "Già qui?" mi chiede.

"Ciao Cloe, si ho del lavoro arretrato" le dico mentre le do uno dei due caffè che avevo comprato prima di salire in ufficio. Mi sentivo ancora in colpa per averle mentito.

Fidati di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora