28 - Il passato che tormenta

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Finisco di mettermi il mio rossetto rosso preferito, quando sento arrivare l'ascensore al piano.

Il bagno di David è molto più grande del mio, con una grossa doccia walk-in e una vasca bianca opaca davanti alla grande finestra, in cui mi sono appena fatta un bel bagno caldo.

"Speravo di arrivare prima, per vedere il mio regalo indossato" mi dice David una volta entrato nel bagno. Lentamente si sta spogliando, lasciando la camicia davanti alla porta.

"Ma non era il mio regalo?" dico voltandomi verso di lui.

"Mmm... direi che vederti nel completino di pizzo è più un regalo me che per te" mi risponde sussurrando, dopo avermi baciato il collo. "Comunque è meglio che non mi faccia distrarre, faccio una doccia veloce e usciamo", conclude entrando in doccia in tutto il suo splendore.

"Dove andiamo?" gli chiedo una volta saliti in macchina.

"Dove è iniziato tutto" mi risponde.

L'Aston Martin sfreccia per le strade, mentre un po' di neve inizia a cadere dal cielo. David indossa un bellissimo completo blu scuro, con la cravatta che gli ho regalato qualche settimana prima.

Il Golden Sky è ancora più bello dell'ultima volta in cui ci sono stata. Dal grattacielo vedo l'inverno newyorkese sopraffare la città, e le luci risplendere con il bianco della neve.

Sono talmente presa dalla vista, e dalla vicinanza di David che, come al solito, mi accompagna tenendo un braccio intorno alla mia vita, che mi accorgo solo dopo qualche minuto che non c'è nessuno seduto ai tavoli.

"Mr Lockwood, Mrs Neri, prego da questa parte" dice uno dei camerieri, un ragazzo giovane con i capelli rossicci. Ci porta in un tavolo completamente isolato davanti ad una vetrata da cui si può vedere la città. "Accomodatevi".

"Ti piace?" mi chiede David una volta seduto.

"Non ho parole... È la cosa più bella che ci possa essere" dico imbambolata mentre ammiro il panorama.

"Ho i miei dubbi su questo, ho qualcosa di più bello proprio davanti a me. Ma comunque sono contento che ti piaccia" sorride leggermente, come solo lui sa fare.

"Hai riservato tutto il ristorante per noi?"

"Volevo vivermi questa cosa con te. So che ci tieni a trascorrere del tempo solo io e te, soprattutto da quando mi hai parlato del cottage e voglio farti capire che anche per me è importante.. Sai, avere dei momenti in cui siamo una semplice coppia".

Mi allungo e gli accarezzo l'avambraccio. "Grazie, per me è importante sentirti vicino".

"Lo so, e per questo voglio spiegarti perché non ti ho mai portata in quel cottage" mi dice schiarendosi la voce "te lo devo, o forse lo devo più a me stesso".

"Peter ha detto che sono anni che non ci vai più...", Cloe infatti mi aveva già anticipato che quel cottage era off-limit per David.

Dopo che il cameriere ci porta due calici di prosecco, David continua, e io lo ascolto, impaziente di scoprire qualcosa in più.

"Non avevo ancora compiuto diciannove" dice volgendo lo guardo al panorama fuori. Non smetto di osservarlo, mentre contrae nervosamente la mascella, "ormai sai com'era la mia vita in quegli anni, una merda." Fa una pausa.

"Era una domenica mattina, dormivo, sfatto nel letto... Non ero tornato da molto, avevo passato la notte in una sorta di locale qui a New York, non mi ricordo neanche sinceramente, per me è un periodo pieno di vuoti. Sta di fatto che ci avevo messo anche un po' a tornare al cottage, dove avevamo deciso di passare il weekend. Quella mattina c'era mio padre..." inizia a dire guardandomi. È la prima volta che David parla apertamente di suo padre, sono intenta ad ascoltarlo, mentre per la prima volta si apre con me. "Gli piaceva allenarsi nel cortile, dove palleggiava un po' e faceva qualche canestro, Peter era a Londra all'epoca e mia madre era rimasta in città. Non so cosa sia successo, mi ricordo solo di essermi svegliato all'improvviso con un frastuono incredibile. C'erano sirene che strillavano e un'ambulanza che si affiancava al cottage." Continua sospirando. "Aveva avuto un infarto, mi dissero i medici, non c'era stato nulla da fare. Ma io non riesco a perdonarmelo". Erano stati i vicini a chiamare l'ambulanza, si erano accorti di suo padre disteso a terra durante una passeggiata con i cani. Vedo il senso di colpa perforare il so sguardo.

"David, non è stata colpa tua" gli dico avvicinandomi a lui, che mi fa sedere sulle sue ginocchia.

"Fossi stato lucido, forse.. avrei potuto fare qualcosa", continua abbassando lo sguardo.

"Hanno detto che non c'era stato nulla da fare. Non pensare a questo, pensa a come tu sia uscito da tutto questo, pensa a come hai portato avanti il suo lavoro, la sua azienda", lo conforto accarezzandogli lentamente il volto, "hai creato un cavolo di impero!"

David finalmente mi guarda, il suo sguardo scava nel mio. Non c'è più nulla intorno a noi.

"Cazzo Anna", dice rimettendosi i suoi panni, " è per questo che ti amo".

Senza darmi il tempo di replicare, a quelle parole che aspettavo, ma che conoscevo già, mi mette le mani tra i capelli e mi bacia intensamente.

La cena continua, tutto è perfetto. Io e David siamo più uniti che mai. Mi accorgo di come dietro alle sue manie di controllo, alla sua mancanza di fiducia, ci sia una mancanza di fiducia in lui. Un uomo capace di dominare una città con le sue società non è in grado di superare il proprio senso di colpa. Un po' come me, con le mie delusioni che mi hanno portato ad essere troppo affrettata nelle mie decisioni. Mi racconta che non c'è stato un motivo particolare per cui si è avvicinato all'alcool, alla droga: "provi, poi ti rovini la cazzo di vita".

"Non hai rovinato nulla" gli ricordo ancora una volta. "Poi d'ora in poi ci sarò io".

Il viaggio in Aston è più veloce del solito. David guida nervosamente, come me sente la necessità di arrivare a casa il prima possibile. Dopo aver parcheggiato nei sotterranei, mi divora completamente nell'ascensore. Quando arriviamo al piano, in neanche due secondi mi abbassa la cerniera del vestito rosso, quello che tanto lo fa impazzire, e finalmente può vedere il suo regalo indossato.

"Questa roba è tutta mia" afferma deciso, prima di portarmi in camera da letto.



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