Capitolo 41 (I). Una voce

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Anna e Marco si preparavano intanto per il loro fidanzamento ufficiale previsto per la fine di quel giugno 1998; Anna volle, però, prima della festa, fargli conoscere il parroco che li avrebbe poi sposati nella sua parrocchia: la chiesa del Sacro Cuore e San Giacomo di Carignano, poco distante dalla scuola delle suore dove avrebbe lavorato Andrea; ci andarono il sabato 13, di pomeriggio, un po' in anticipo rispetto all'ora prevista, dopo aver pranzato entrambi da Ilaria con Emanuele; era la prima volta che Marco entrava in quella chiesa, l'aveva sempre vista solo dall'esterno ed era sempre stato incuriosito da quel misto di stile neoromanico moderno con richiami all'antico.

All'interno era spaziosa, ben più di quel che sembrasse dall'esterno e lo spazio sembrava ancora più vasto perché a quell'ora vuoto: alle pareti laterali c'erano alte vetrate a colori vivaci di Santi che, in quel pomeriggio di giugno, proiettavano immagini colorate sul pavimento e davano un'atmosfera di raccoglimento mentre il silenzio di quelle tre navate amplificava i loro passi. Camminavano in quella centrale; Marco si vide con gli occhi della mente fare quel cammino in seguito accompagnato da sua madre e ne ebbe soggezione: si rese conto che stava calpestando all'andata da scapolo ciò che avrebbe calpestato al ritorno come primi passi da sposato. Anna lo teneva a braccetto e anch'ella sentiva di star facendo lo stesso cammino che avrebbe fatto — accompagnata dal padre — con l'organo, dietro di lei, che avrebbe dato il ritmo alla sua felicità. Ma in quel momento l'organo era silenzioso: per qualche metro si sentì solo l'eco del tocco leggero e felice del tacco basso dei suoi sandali: erano lì, insieme, il parroco li aspettava per prendere accordi per quell'evento che ormai aveva la certezza e la consistenza di un progetto, ma c'era ancora tempo per l'appuntamento; Anna, prima di entrare in sacrestia, svoltò nella navata di destra fermandosi di fronte a una vetrata che rappresentava San Giovanni Battista vestito con una pelle e un agnello ai suoi piedi. Sembrò a Marco che non si fosse fermata in un punto a caso, del resto la chiesa era vuota in quel pomeriggio di inizio estate, avrebbe potuto fermarsi prima o dopo, eppure era andata lì, quasi diretta, si inginocchiò di fronte al Santo, si alzò e poi andò a sedersi sulla panca lì a fianco e invitò Marco a far lo stesso; gli prese la mano e disse:

«Gattino, io. . . prima di entrare dal don volevo parlarti un poco, per questo sono venuta un po' prima: non ne abbiamo mai parlato di queste cose, forse anche perché le davo per scontate sapendo la tua storia e il tuo carattere. So che sei stato scout per molti anni; so quindi che hai avuto una formazione religiosa, tu sai che per molto tempo ho fatto quel che faceva tua sorella, l'educatrice per ragazzi qui, in questa chiesa; ho smesso solo dall'anno scorso per gli impegni con l'ospedale anche se continuo a stare nel consiglio di parrocchia. Io però non sono come Ilaria che sembra incrollabile nelle sue preghiere, nel suo essere credente: in me la fede è stata altalenante, specialmente dopo la morte di Luca; mi ero allontanata da tutto e da tutti, quindi anche da Dio, stavo proprio male, non capivo perché ci fosse così tanta sofferenza, perché un giovane di vent'anni dovesse morire così, banalmente, in un pomeriggio d'agosto, per una distrazione o forse troppa fretta di arrivare; ah, certo, gattino. . . Luca era di questa parrocchia, abitava qui vicino; qui c'è stato il suo funerale, in questa chiesa; era anche lui tra gli animatori, uno dei più attivi e simpatici, e la sua morte colpì tutti quanti profondamente, e me, ovviamente, di più; era morto il classico ragazzo "che non doveva morire", non così, per lo meno, quello che Dio — chissà perché — chiama prima del tempo. L'altra volta ti raccontai di Luca ma. . . non ti dissi tutta la storia, ti dissi solo che poi feci la maturità, che mi iscrissi a medicina e che, in qualche modo, recuperai la mia vita. Certo, fu così, ma c'è qualcosa prima, gattino, un periodo però. . . triste per la tua micia.»

Anna si fermò, lo guardò negli occhi speranzosa di un ritorno positivo perché aveva paura di raccontare, aveva bisogno di un incoraggiamento ed egli ricambiò il suo sguardo; la vetrata a fianco proiettava l'immagine sfocata di San Giovanni sia sulle loro mani appoggiate al grembo di Anna che sulle loro gambe e sulla panca davanti; la luce sul suo anello creava riflessi colorati sulle loro magliette e le vetrate della navata opposta, in controluce, sembravano creare una cornice colorata ai suoi capelli biondi; le carezzò la mano, invitandola a proseguire.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora