Che Silvia fosse folle davvero, o per finta, non arrischieremo neppure noi a dirlo; quel che è certo è che, tuttavia, nelle settimane seguenti al fidanzamento, scivolò sempre di più nella sua personale illusione di essere "una" mamma — se non "la" mamma — di Emanuele; ormai non aveva più scrupolo di chiamarsi tale né di fronte a Ilaria, né alle maestre del nido, né alla pediatra. Al nido andava a prenderlo o a portarlo e lo salutava sempre con un bacio dicendogli: "Ciao amore, la mamma poi torna"; le maestre rimanevano perplesse ma non dicevano nulla sia perché Silvia lo diceva in modo così convincente da risultare realistico, sia perché vedevano che comunque Emanuele sembrava accettare di essere portato e preso da due mamme diverse. Egli aveva imparato a gestire la doppia mamma anche comportandosi diversamente: con "mamma Ilaria" era più indipendente e, talvolta, capriccioso, specie se Ilaria lo andava a prendere nel mezzo di attività bellissime come sporcarsi di tempera da dita o tentare di mangiare la pasta modellabile; in quei momenti guardava la mamma con un'espressione che significava: «Mamma, ancora cinque minuti, è troppo bello» e piangeva se Ilaria — per fretta — lo prendeva in braccio per portarlo via; con "mamma Silvia", invece, era più obbediente, e, appena la vedeva, anche se stava dipingendo il suo capolavoro, smetteva subito e le andava incontro con l'aspetto di un soldatino che compie il suo dovere; anche questo suo differente comportamento, unito anche alla visibile differenza d'età delle due mamme, contribuiva a dare alle maestre l'idea che Ilaria fosse una sorella maggiore e non la mamma sebbene sapessero benissimo che fosse la vera.
Quando Ilaria andava a prenderlo lo chiamavano dicendo: «Emanuele! C'è la mamma», ma, dopo un po', qualcuna di esse cominciò a dirlo anche quando andava Silvia. Del resto non si sapeva neppure come nominarla diversamente, l'avevano vista talvolta con il papà: sapevano che era la sua compagna e, visto che ella si auto proclamava "mamma" di fronte al bambino, che il bambino la accettava e che il papà non la correggeva, cominciarono a pensare che fosse giusto così. C'è anche da dire che Andrea, dopo la laurea, il fidanzamento e la certezza di avere un lavoro (della quale parleremo dopo), era molto cambiato come aspetto; con quella barba dava proprio l'idea di un uomo, vestito sempre elegante, con una bella macchina, non si può dire che incutesse timore alle maestre, ma rispetto sì; e anche Silvia — bisogna dirlo — elegante, truccata, sempre in ordine, oltreché con un eloquio da professoressa, dava un'impressione di serietà e competenza; ben più di una ragazza ventenne che, il più delle volte, arrivava trafelata dalla fermata dell'autobus a prendere il bambino con gli occhi stanchi dopo ore di cucito; vestita con abiti fatti in casa, sobria, i capelli raccolti in una coda, magari una o due borse della spesa fatta in fretta, una parlata semplice con ancora un lieve accento meridionale e un sorriso un po' forzato.
In uno dei giorni successivi al fidanzamento Ilaria ricevette una lettera dalla ASL per il secondo ciclo di vaccinazione di Emanuele; l'appuntamento proposto era al mattino; Ilaria era al lavoro, avrebbe potuto prendere un po' di permesso, ma per Silvia era la sua mattina libera e si offrì di portarlo con Andrea, Ilaria non vi vide nulla di male e accettò; Silvia si prese anche il pomeriggio libero per osservare il piccolo nel caso sopraggiungessero reazioni avverse (anche se improbabili: Emanuele aveva infatti ben sopportato il primo ciclo e anche nel cibo sembrava non avesse nessuna intolleranza o allergia). Da un punto di vista formale, dopo l'accordo firmato dall'avvocato, il bambino era affidato a lei (a quel tempo non esisteva ancora un affidamento condiviso) e dovette quindi firmare una manleva per loro due che consegnò quando lo andarono a prendere al mattino, insieme al suo libretto sanitario.
«Ciao piccolo, ma come sei vispo!», gli disse la dottoressa con un sorriso mentre Emanuele, ancora ignaro di quel che lo stava aspettando, sorrideva in braccio ad Andrea, «sì è proprio un bimbo bello, dovrebbe fare pubblicità», aggiunse l'infermiera a lato mentre indossava i guanti monouso, «allora, facciamo subito e ti lasciamo andare a giocare», la dottoressa gli diede una carezza ed Emanuele agitò le braccia contento, «è proprio un amore. . . lei è il papà, vero?», disse, sedendosi alla scrivania.
STAI LEGGENDO
Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)
General FictionSettima parte del romanzo "Dolore e Perdono" (nove in totale) Una storia di sofferenza e redenzione, una passione ostinata e proibita, tre famiglie coinvolte, trent'anni di storia. Marco e Ilaria, due fratelli divisi da quasi mille chilometri si rin...