Il lettore, a questo punto, probabilmente si domanderà come mai Ilaria non si confidasse più con Marco; la risposta è da ricercare nel fatto che ella, dopo quel colloquio, aveva già perso la speranza, la capacità di lottare, sentiva inevitabile la perdita del figlio. Alla sera Marco le parlava contento dei progressi nel linguaggio di Elena, sereno con sua moglie, perché dargli pensieri? Perché dirgli: «devo cedere Emanuele»? L'avvocato aveva il suo bel dire nell'indorare la pillola; ma per lei non averlo più a dormire era un cederlo a Silvia. Cosa avrebbe potuto dire o fare suo fratello? Per lo stesso motivo non disse nulla a sua madre, nulla al lavoro e, quasi, nulla a sé stessa, perché ciò che avrebbe dovuto dirsi, «cedo Emanuele ad Andrea» era troppo doloroso, fin da pensare. Il dolore ha questa caratteristica: oltre una certa soglia diventa incomunicabile, almeno agli amici; Marco — che amico non era, invece, grazie al suo amore — avrebbe capito il dolore di Ilaria a prezzo, però, di provarlo egli stesso, ed era questo che ella non voleva. Non voleva che la sua vita, così serena fino a quel punto, dopo tre anni di matrimonio senza un intoppo, con Anna moglie e dottoressa affermata, egli padre e ingegnere stimato, potesse da un momento all'altro ribaltarsi.
Fingeva, sì, fingeva: diceva «Marco mio, tutto bene» quando egli le telefonava, «Mamma, tutto bene», quando parlava a Maria, «Signora Gioia, sto bene, sono solo un po' stanca», quando la padrona le chiedeva del suo stato. Con tutti fingeva fino a che, di nuovo, cominciò a confondere la realtà e a dimenticare che, invece, c'era quella lettera dell'avvocato che attendeva una risposta alla quale, però, non aveva ancora realmente pensato.
Provò a immaginarsi cosa sarebbe stato stare tutte le sere a casa — in quella casa di Irene — senza il figlio, con quella cameretta vuota che era stata di Marco e poi sua; nelle sere in cui Emanuele era a dormire dal papà si sedeva su quel letto, toccando le lenzuola ben stese, provando a immaginare il senso di vuoto di vederla tutte le notti così, con il bambino dal padre che avrebbe avuto il "bacio della buonanotte", per sempre, da un'altra donna.
I ruoli si sarebbero scambiati: avrebbe provato ciò che Silvia aveva provato con la sua "camera azzurra" vuota, senza, però, per lei, neppure la consolazione della Fede, di una disgrazia capitata per un volere divino che, per quanto amaro, fosse superiore in potenza a un volere umano; per lei, stare in quella cameretta vuota, avrebbe significato accettare un suo sbaglio umano, la sua incapacità di difesa, l'incapacità di Marco nell'averla lasciata, pian piano, cadere in quella fossa dalla quale sembrava ormai impossibile uscire. Stare in quella cameretta vuota sarebbe stato, giorno dopo giorno, vivere con il rimpianto di non aver saputo far nulla al momento giusto, di aver sbagliato e — soprattutto — avrebbe dato a Marco il senso di colpa per averla trascurata nei suoi guai con Silvia, per farsi una sua vita con Anna ed Elena, cosa che invece ella aveva con tutto il cuore voluto, fin dall'inizio.
In quelle sere — e soprattutto in quei fine settimana in cui non aveva Emanuele — arrivò alla conclusione che, ormai, la questione non fosse più se accettare o no l'accordo di Andrea, ma prendere una decisione più profonda e radicale, una scelta di vita che, per quanto dolorosa, avrebbe potuto evitare che Marco cadesse insieme a lei. La meditò a lungo, pregando, ma senza avere risposte e, una domenica mattina di metà giugno, andò in chiesa per sperare di avere un conforto, se non una approvazione, dalla statua della Madonna alla quale non parlava da qualche tempo, sperando che cambiando luogo, forse, avrebbe avuto un Messaggio; sperava anche di incontrare Don Giambattista e di potergli parlare.
Anche se non ne abbiamo più parlato dai tempi del battesimo, infatti — concentrandoci più sulla vicenda fra Ilaria, Silvia e il papà — Don Giambattista era di nuovo presente nella vita di Ilaria e, ora, ci permettiamo di tornare un poco indietro per riunire — sinteticamente — i fili di quel rapporto.
Dopo il rifiuto dell'anello di Andrea, per un po' di tempo, Ilaria non si era più fatta vedere in chiesa per non dover dare spiegazioni e anche perché il bambino così piccolo la impegnava molto, ma, pian piano, vi era ritornata — anche se solo come fedele e non più come animatrice — dopo che Emanuele aveva cominciato a parlare; non lo faceva più per lei, ma per il figlio perché voleva che crescesse cattolico e inserito nella comunità. Sopportava di non essere accolta dalle sue vecchie amiche; tollerata, certo, ma non più inserita come un tempo, andava in chiesa da sola con il bimbo e sola vi rimaneva, per lei l'importante era portarlo in chiesa, pregare e insegnargli le preghiere, raccontargli le storie che sua madre le aveva raccontato e poi riportarlo a casa.
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Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)
General FictionSettima parte del romanzo "Dolore e Perdono" (nove in totale) Una storia di sofferenza e redenzione, una passione ostinata e proibita, tre famiglie coinvolte, trent'anni di storia. Marco e Ilaria, due fratelli divisi da quasi mille chilometri si rin...