«Gattino, che succede? Ho sentito che. . . non c'è Ilaria. . . »
«Sì, micia. . . Ilaria è fuggita da casa, Maria non sa dove sia, non ha preso la macchina, ma questo. . . è anche più preoccupante.»
«Ho sentito che parlavi di pozzi. . . »
«Esatto, ci sono quattro pozzi nell'uliveto, hanno una copertura in cemento, ma la botola si può aprire. . . »
«Oddio gattino, tu temi che. . . », Anna aprì gli occhi con un'espressione di terrore con il biberon in mano, finì di agitarlo, meccanicamente se ne versò una goccia sul braccio, andava bene, si rivolse a Elena sul seggiolone, «tieni amore, fai colazione. . . », glielo diede quasi senza guardarla.
Elena lo prese con tutte e due le mani, «mamma latte bono», e cominciò a berlo con gusto ignorando gli adulti che si guardarono per qualche secondo senza saper che altro dire.
«Non lo so micia, uno le pensa tutte. . . », disse infine Marco, si sentì il caffè salire dalla caffettiera.
Anna fece per girarsi.
«Faccio io, micia, siediti, pensa a lei. . . », Marco andò a spegnere il gas, «stavolta l'ha combinata grossa. . . », scosse il capo, portò la caffettiera a tavola, lo girò.
«Ma forse l'è capitato qualcosa di altrettanto grosso» commentò Anna; preparò le tazzine, cominciò a versarlo, malgrado tutto lo spavento l'aroma di caffè appena fatto — anche quello Anna aveva imparato a farlo (nelle notti in ospedale lo preparava ogni ora per tutti, medici e paramedici: l'avevano soprannominata la "caffettiera Tivoli" da quanto ne beveva) — rinvigorì entrambi anche nell'umore.
Per un attimo Marco smise di pensare a Ilaria, per sua moglie mise un cucchiaino, per sé nulla, ma poi disse, cupo, girandolo anche se amaro: «sì, è proprio questo che mi fa rabbia; che le sia capitato qualcosa di grosso e non me l'ha detto. . . », lo bevve a piccoli sorsi, bollente, «che sia qualcosa capitato sabato con Andrea? Ma cosa può averle detto di così grave da indurla a non salire?», posò la tazzina vuota, «devo chiamarlo, micia.»
«Sì, lo penso anch'io gattino, ma calmati, per favore», Anna gli tenne una mano sul braccio.
Ma egli non rispose, prese il telefono che si era tenuto in tasca, «che ore sono?. . . le sette e dieci. Pazienza se lo sveglio, mi deve ascoltare. . . »
«Ah. . . mamma ancola latte bono E-ena», la bimba aveva ingoiato l'intero biberon e sporgeva il vuoto per il bis, era una bambina di poco appetito durante il giorno, ma un biberon e mezzo, a volte anche due — con parecchi biscotti — al mattino lo beveva sempre.
«Amore, ancora?»
«Ancola mamma», Anna si alzò per scaldarne altro.
«Spento. . . », Marco lo poggiò sul tavolo.
«Staranno dormendo. . . o forse. . . », Anna mise mezzo biberon a scaldare, per alcuni secondi si sentì solo il ronzio del microonde, Marco pensava con la testa poggiata al gomito.
«. . . forse anche lui non vuole parlare. Avrà la coscienza sporca. . . purtroppo non conosco il nome dell'albergo dove stanno, speriamo l'accenda presto, non può stare sempre con il telefono spento. Non ho il numero di Silvia. . . », tamburellava sul tavolo, nervoso, elencava tutte le possibilità: «potrei chiamare suo padre, ma no, a quest'ora è troppo presto, però forse Gianni è sveglio, magari mi sa dire il nome dell'albergo e telefono lì. . . »
Il drin del microonde lo distolse dai pensieri, «gattino, calmati», Anna gli pose la mano sulla spalla, «so che è importante, ma aspettiamo un secondo a chiamare Giorgio, può darsi che tra poco Maria ti chiami, ti passi Ilaria e lei stessa ti racconti. . . »
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Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)
General FictionSettima parte del romanzo "Dolore e Perdono" (nove in totale) Una storia di sofferenza e redenzione, una passione ostinata e proibita, tre famiglie coinvolte, trent'anni di storia. Marco e Ilaria, due fratelli divisi da quasi mille chilometri si rin...