Capitolo 50 (II). La trappola

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Il bambino, anche se aveva cominciato a parlare bene, continuava a volerla chiamare "Iaia", non si sa per quale motivo, gli piaceva forse il soprannome e Ilaria non volle mai correggerlo; aveva capito che Emanuele considerasse più "casa" quella del papà e non quella dove stava con lei. Se per le mamme c'era dunque ancora la distinzione in pari fra "mamma Iaia" e "mamma Silvia", in Emanuele si stava radicando l'idea che di casa ne avesse solo una.

Anche la cameretta subì questa trasformazione; Emanuele, pur senza essere quel che si può definire un bambino "viziato", con il passare del tempo cominciò a desiderare che le sue due camerette fossero il più identiche possibile e a volere le stesse cose nell'una e nell'altra, ma non sempre ciò era agevole; a Natale 2002, per esempio, aveva chiesto e ricevuto da parte dei genitori di Silvia (la quale non aveva mai insistito con la "favola" di Babbo Natale, ma era categorica nell'aprire i doni solo il 25 mattina) una console di videogiochi; pur senza usarla tantissimo — perché Silvia gli teneva i tempi contingentati (era contro le cose elettroniche tanto quanto amante delle medicine e teneva il tempo a Emanuele anche per vedere la TV) — egli sapeva bene che c'era e aveva fatto capire a Ilaria che ne sentisse la mancanza a casa sua. Ella — su questo — non si era confidata con Marco perché aveva paura che egli, sapendo che per lei fosse una spesa grossa, l'avrebbe comprata per il nipote e non voleva che si sacrificasse.

Si sentì inferiore; Emanuele cominciava a raccontarle di tutti gli amici che andavano a casa sua (dove per "sua", purtroppo, significava casa del papà e di Silvia) per giocare alla console o per vedere con essa DVD di cartoni o di altri film per bambini.

In casa di Ilaria non è che mancassero i giochi; sia ella che Marco e anche Irene gliene compravano di nuovi e — in più — aveva ancora tutti i vecchi dello zio che non aveva portato a Colliano da Ilaria perché troppo "maschili" o ingombranti, come per esempio una discreta collezione di automobiline e un modello grande quanto un tavolo da sei persone di una città con un trenino elettrico che Marco, nei tre anni delle medie, aveva curato in modo quasi ossessivo facendolo diventare un diorama realistico con casette di cartone, ponti fatti con stuzzicadenti, montagne di cartapesta e le luci del presepe come lampioni e che poi, all'inizio del liceo, era stato smontato e messo in cantina; Marco l'aveva recuperato e rimesso in ordine per il nipote, così come una pista di auto da corsa, ma erano giochi di vent'anni prima, non così tecnologici e che, se per qualche tempo, avevano interessato molto Emanuele, dopo, con la conoscenza dell'elettronica e dei videogiochi in 3D visti in televisione e a casa di amici, divennero obsoleti e non più attraenti; la cameretta a casa di Ilaria subì la stessa sorte: nella mente di Emanuele divenne il luogo di ripiego e non più quello principale.

La mancanza di giochi tecnologici era una parte del problema: la mancanza di amici a casa sua era quella principale; Ilaria se n'era accorta da tempo e aveva tentato più e più volte di invitare i suoi compagni della materna, ma non ci era mai riuscita; a volte, persino all'ultimo, con i piattini e i bicchieri già sistemati sul tavolo per una merenda, le mamme telefonavano per dare una disdetta all'ultimo minuto con le scuse più varie e — forse — poco attendibili; non è che quelle mamme fossero cattive o prevenute verso Ilaria: il fatto è che nella mente umana — di solito — quando si forma un concetto, e viene ripetuto nel tempo, viene preso per verità: per quelle mamme Silvia, lì vicino, con il loro stesso tipo di vita e cultura — ai loro occhi —, era più facile considerarla mamma di Emanuele di Ilaria; non lo facevano apposta a escluderla, era solo il risultato di un loro condizionamento culturale che, però, a Ilaria, nuoceva.

Siccome non poteva risolvere il problema degli amici, aveva provato allora a pareggiare almeno con i giochi; per non chiedere a Marco aveva lavorato di più per qualche settimana facendo lavori di cucito a casa e anche qualche ora come donna di pulizie il sabato pomeriggio quando Emanuele era dal papà (Marco — di solito — andava a trovarla con Elena solo al mattino, preferiva tornare a casa sua per mangiare e metterla a letto); insomma, tanto fece che, a fine febbraio 2003, poté comprargli quella famosa console di videogiochi con anche i doppioni dei dischi che usava di solito dal padre: due giochi di auto, da corsa e rally, uno di magia e un gioco di strategia a livelli.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora