Capitolo 50 (I). La trappola

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Ilaria e Marco, nei mesi successivi, tentarono di andare avanti con questo nuovo equilibrio: Ilaria ce la mise tutta nel non farsi più sopraffare dalla tristezza e di parlare di più a suo fratello, anche chiamandolo più spesso; Anna, ritornando al lavoro, lasciò Marco più da solo; con la primavera cominciò a portare Elena a casa di Ilaria quando, di sabato o domenica, Anna aveva da lavorare; Ilaria accoglieva Marco e la nipote sempre con il sorriso, ma si può dire che la tristezza, per lei, divenne cronica e non sembrava più triste perché — semplicemente — lo era sempre ed era brava a ricacciarla indietro; non lo faceva apposta a nasconderla, era il suo modo di essere, il suo non voler apparire una "vittima" e di non dar pensiero al fratello.

Ma ciò che per altri genitori è "normale", un periodo di malanni dei propri figli, per Ilaria fu un dramma e — ogni volta — una prova da superare; purtroppo per lei, in quella primavera, vuoi per l'asilo con più alunni (e più occasioni di contagio), vuoi per il cambio di stagione, di codeste prove Emanuele ne ebbe in abbondanza: dopo la varicella venne un'influenza intestinale con diarrea e vomito che lo costrinse a letto per altri quattro giorni, poi una tosse persistente con molto catarro che durò quasi una settimana, poi un'otite virale che dovette fare il suo corso e poi la solita influenza stagionale con febbre, raffreddore e mal di gola; insomma, in quella primavera, fino a inizio giugno, fu un susseguirsi, per Emanuele, di scambi di virus e batteri ignoti da tutti i suoi compagni — generosamente ricambiando con quelli che aveva già preso come figurine doppie — e veniva tenuto a casa di Andrea perché Silvia era più libera di guardarlo. Ilaria non insisteva neppure più: anche volendo avrebbe avuto difficoltà nell'averlo sempre malato in casa propria, avrebbe dovuto far venire al nord sua madre.

Silvia fu bravissima in questo ruolo, chiese vari permessi al lavoro — che era già ridotto — e si trovava a suo agio con termometri, bacinelle, borse di ghiaccio, pastiglie da somministrare a ore stabilite, cucchiai di sciroppo da far ingoiare anche se amaro e — pure — supposte da mettere; la cameretta del bimbo, in quei periodi, ebbe l'aspetto di una farmacia da quante scatole di farmaci stessero sulla mensola (in alto, fuori dalla sua portata); Emanuele era curato con amore, come fosse in ospedale, ma con la sua apprensione, inconsapevolmente, ingigantiva ciò che si sarebbe dovuto minimizzare: se la pediatra dava a Emanuele tre giorni a letto, Silvia insisteva con Andrea e Ilaria affinché ne stesse quattro o cinque, perché — si sa — le ricadute sono peggiori della malattia; non lo faceva per farle un dispetto, era solo una manifestazione della sua paura, ma ciò, ovviamente, a Ilaria faceva male perché era di tutt'altro avviso: avrebbe usato per suo figlio meno medicine e più rimedi naturali o anche semplicemente l'aria fresca del mattino (specie per la tosse).

Andrea, pur se tendeva comprensibilmente a dare ragione alla moglie, non le fece mai ostacoli per andare a visitare il bambino a casa loro, né Silvia d'altra parte lo pretese, ma questo non significa che Ilaria fosse serena nel stare sola in casa sapendo suo figlio malato dal papà; curato, certo, ma da altre mani.

Marco le telefonava sempre tutti i giorni, a volte anche più volte al giorno, specie nei periodi in cui era sola con Emanuele malato, le aveva consigliato di comprarsi un cellulare e così, anche solo per SMS, a volte si facevano compagnia; per il resto Ilaria non era fatta per quelle cose elettroniche e, si può dire, lo usò solo come modo per comunicare più facilmente con il fratello e per essere raggiunta dalle maestre dell'asilo in caso Emanuele stesse male.

Per fortuna, a giugno, con la fine della primavera, quel periodo stancante di malanni passò; con le decine di pastiglie di ricostituenti e vitamine che Silvia volle per forza fargli ingoiare, ma, soprattutto, con i pasti che Ilaria finalmente gli cucinò in abbondanza senza aver paura che finissero in un catino, Emanuele non solo acquistò un bel colorito, ma divenne più forte e ingrassò pure; fu in questo periodo che in lui si formò di più l'immagine di sua mamma intenta a far la spola tra la macchina da cucire e i fornelli e che gioiva nel vederlo finalmente, con l'appetito di un tempo, divorare tutto il piatto e chiedere il bis.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora