Capitolo 39: la carbonara è un'opera d'arte.

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"Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutare di vivere per paura di morire."
- Jim Morrison

«Dove mi porti, Styles?»

«È una sorpresa! Sali» dice aprendomi lo sportello per poi fare il giro dell'auto e sedersi al posto del conducente.
Sono sollevata che non sia venuto in moto come la prima volta, visto che stasera mi sono decisa ad indossare un tubino nero abbinato alle mie vertiginose Louboutin, come consigliato da Trisha. Non sarebbe stato per niente semplice salirci sopra, vestita così.

Nel silenzio dell'auto riesco a percepire i battiti del cuore rimbombare nel mio petto; Harry continua a non proferire parola e per un attimo mi sento fuori posto, almeno fino a quando la sua mano destra si sposta dal volante per arrivare a stringere la mia e poi si volta verso di me per mostrarmi il suo incantevole sorriso che ricambio. Sono costretta a voltarmi velocemente in direzione del finestrino per nascondere il rossore sulle mie guance.

Quando la macchina si ferma di fronte all'immenso edificio del Metropolitan Museum of Art rimango immobile ad ammirare attraverso il finestrino la facciata in stile Beaux-Arts illuminata dalle luci artificiali che fanno sembrare il museo ancora più possente e incommensurabile a contrasto con il buio della notte.

Quando la macchina si ferma di fronte all'immenso edificio del Metropolitan Museum of Art rimango immobile ad ammirare attraverso il finestrino la facciata in stile Beaux-Arts illuminata dalle luci artificiali che fanno sembrare il museo ancora pi...

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Sono costretta a interrompere il mio stato di contemplazione nel momento in cui Harry mi apre lo sportello invitandomi a scendere di macchina.

«Non è chiuso a quest'ora?» chiedo mentre ci incamminiamo verso la scalinata. Le macchine sfrecciano sulla 5th Ave alle nostre spalle come ad ogni ora qui a New York; ma le persone qui intorno sono veramente poche dato che, come ogni altro museo della città, l'ora di chiusura dovrebbe essere verso le cinque del pomeriggio e adesso sono le sette passate.
«Ho i miei agganci» risponde mostrandomi un mezzo sorriso.

Nonostante io sia passata da qui innumerevoli volte, non mi sono mai fermata a visitare il museo. Infatti, sono veramente pochi i luoghi culturali in cui sono stata in questi quasi due anni a New York. Così, pensando alle opere di Monet e Van Gogh che non vedo l'ora di ammirare, accelero il passo nel salire ogni scalino lasciando indietro Harry per un attimo che, però, non ci mette troppo a raggiungermi. Arrivati davanti l'ingresso non so in quale direzione andare, ma Harry continua a camminare ed io lo seguo. Lo vedo guardarsi intorno più volte — probabilmente per il timore di essere riconosciuto da qualche passante — fino a quando non ci viene aperta un'entrata secondaria.

Non appena raggiunto l'ingresso principale, blocco di nuovo i miei passi e mi fermo ad apprezzare l'immensità di questo luogo in simultanea al silenzio e al vuoto che non ci sarebbe certamente stato se fossimo venuti durante l'orario di apertura.
Quando la stessa signora che ci ha aperto ci comunica che non avremo il tempo a disposizione per visitare l'intero edificio, Harry mi lascia scegliere un reparto da visitare ed io opto decisa per la pittura europea senza prendermi neanche del tempo per pensarci. La donna sulla quarantina — che solo adesso mi rendo conto di quanto sia estremamente bella e in gran forma — ci accompagna nell'ala che desideriamo per poi lasciarci finalmente soli.

Due mondi troppo distanti. || H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora