63. For One So Small You Seem So Strong

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Penultimo capitolo di AbO, godetevelo perché ve lo siete meritato.

Riprese coscienza quasi subito, anche se nella sua mente dovevano essere passati interminabili minuti. Strinse gli occhi, poi tossì e il petto bruciò come se gli stessero sciogliendo la pelle con una fiamma molto vicina, ma non troppo da avvolgerlo completamente e dargli fuoco.

Si agitò, mentre sollevava le palpebre e le batteva ripetute volte, cercando di pulire la vista annebbiata. C'era qualcosa che lo teneva incollato al sedile e che lo stava soffocando, sfregandogli il collo.

La prima cosa che riuscì a vedere fu il parabrezza: linee sottili, come trame di ragnatele, si disegnavano sul vetro. L'urto era stato forte, così forte da spaccare la lastra sul lato sinistro e sparpagliare schegge più o meno grandi all'interno del veicolo. Scendendo a guardarsi, nella poca luce residua che doveva provenire da uno dei due fanali anteriori ancora acceso, che proiettava un fascio luminoso sul tronco dell'albero contro il quale si erano schiantati, capì l'origine del suo bruciore: una miriade di piccole ferite si aprivano sul suo petto. Niente di grave, con tutti tagli che aveva riportato in CZW quelli erano una barzelletta.

Sollevò una mano, per potersi sfiorare il busto e togliersi un po' di stille dai vestiti, quando si rese conto che qualcosa non andava: il braccio non rispondeva ai suoi comandi, segno che la spalla doveva essersi lussata... o peggio.

«Merda...» imprecò a denti stretti mentre, non appena il suo corpo divenne più sveglio, il dolore lancinante, che gli mandava in fiamme l'articolazione, gli tolse il respiro e gli fece lacrimare gli occhi.

Inspirò ed espirò, cercando di arginare la sofferenza. Poi, quando sollevò nuovamente le palpebre, finalmente la guardò.

«Lydia...» sussurrò.

Lydia era seduta contro il sedile, trattenuta dalla cintura proprio come lui. I lunghi capelli sfioravano il tettuccio della macchina, esattamente come le mani, abbandonate all'inerzia del suo corpo. Aveva gli occhi chiusi, il viso sporco di fuliggine, e c'era sangue... ma non sapeva da dove venisse.

Era svenuta.

Doveva essere svenuta.

«Lydia? Lydia?» la chiamò più volte, allungando il braccio buono per scuoterla. Lei non diede segni di vita. «Oh, avanti, little fighter... non farmi questo.» mormorò, distogliendo lo sguardo, mentre sentiva le lacrime pizzicargli gli occhi.

Non la fissò abbastanza a lungo per sincerarsi che stesse ancora respirando.

Lei respirava... doveva stare respirando, non accettava un'altra realtà.

Armeggiando, riuscì a sganciare la cintura e cadde a peso morto contro il tettuccio, picchiando la testa e la spalla ferita. Ingoiò una serie di imprecazioni, poi cercò di scivolare sotto il corpo di Lydia, senza toccarla né guardarla. Raggomitolò le gambe al petto, poi spinse con tutta la forza di cui era capace, calciando il vetro del finestrino. Non si ruppe e una scossa di dolore gli attraversò le leve inferiori, facendolo produrre in una bestemmia irripetibile. Diede un altro colpo e un altro ancora, fino a che, finalmente, il vetro non cedette: si ruppe attorno a lui, cercando un buco frastagliato della circonferenza delle sue gambe. Nel ritirarle dentro, si strappò i jeans e si ferì stinchi e polpacci, ma il dolore era ormai così forte (e così ininfluente, a quel punto) che nemmeno lo sentì. Avvertì solo il sangue scendere in rivoli dai lunghi tagli e fargli solletico.

Con una mossa fluida, riuscì a portarsi nuovamente al posto del guidatore. Con i gomiti, coperti ancora dal giacchetto di pelle, spaccò quel che rimaneva del finestrino, aprendosi un varco, poi si voltò nuovamente verso Lydia.

𝐀𝐧𝐲𝐭𝐡𝐢𝐧𝐠 𝐛𝐮𝐭 𝐎𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora