XVI. Oca e babysitter in casa.

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Giovedì arriva velocemente, troppo velocemente per i miei gusti.

Non ho più rivisto nè Manuel, nè gli altri del giro. Il giorno prima l'ho passato quasi tutto il tempo a impacchettare i miei vestiti e a parlare al telefono con Giammarco, Laura e Giulio.

Ho raccontato loro tutto ciò che era successo martedì, omettendo sempre la parte sull'asfalto... Non voglio essere compatita.

E adesso eccomi qui, davanti al'enorme villa di mio padre, alle 9 del mattino, con una marea di valigie e la mia fantastica sorellastra Alyssa accanto a me.

Ammetto di aver avuto spesso dei ripensamenti sul fatto di venire a vivere qui, ma ogni volta Alyssa mi incoraggiava ad andare avanti e dicendo che, così facendo, avrei migliorato i rapporti tra me e mio padre, rapporti che lei non ha mai avuto con il suo.

Eppure quando ho chiuso la porta di casa, per sempre, ho provato un leggero senso di angoscia. Quella è stata la casa in cui sono nata, cresciuta e che avrà sempre un posto nel mio cuore.

In silenzio religioso io, mio padre e Alyssa saliamo gli scalini esterni che portano sul portone principale.

La villa all'esterno è bellissima e soprattutto, veramente grande. Le alte pareti sono di un rosso ciliegia, così come il cancello all'entrata su cui è appesa un'enorme B in ferro battuto. Essa è circondata da un'immenso giardino verde, in cui vi sono degli alberelli e alcune fontanelle in pietra sparse in giro, a contornare il dritto vialetto d'ingresso.

Oltre il giardino vi è un'enorme garage, dove mio padre conserva tutta la sua collezione di Porsche e, a malincuore, Mercedes.

"Detesto le Mercedes..." penso disgustata.

Massimo apre la porta urlando un "Siamo a casa" e afferrando qualche valigia nostra, per darci una mano. Non scorderò mai l'espressione che ha fatto qualche ora fa vedendoci arrivare al suo furgone, piene di valigie e borsoni.

Un'eccessiva presenza di bianco mi acceca appena entriamo. Bianco ovunque. Mobili, divani, vasi, solo i muri si salvano essendo di un leggero rosa cipria. Davanti a me si staglia una scalinata che porta al piano di sopra, a destra il soggiorno con un divano angolare e qualche poltrona, anch'esse bianche e un enorme televisore al plasma appeso alla parete.

Sulla sinistra vi è una cucina piena di accessori, un'isola di due metri e mezzo in marmo bianco, dove vi sono alcuni sgabelli per poter fare colazione e pensili ovunque. Mi ricorda tanto quelle enormi case americane super accessoriate...

Noto la presenza di una donna sulla quarantina che, infilata in un tubino nero e con ai piedi dei tacchi a spillo, viene verso di noi ancheggiando come una modella e con un sorriso stampato in faccia.

"Oddio...No, per favore" mi lamento nella mia testa "Questa qui si crede Belen in persona".

-Bentornato amore-esclama lei con tono di voce pacato.

"Almeno non ha la voce di una civetta stridula" penso sollevata.

-Voi dovete essere Anna e Alyssa, piacere Miriam-si volta verso di noi con un sorriso cordiale e porgendo la sua mano ad ognuna di noi due.

La osservo attentamente. Sembra quel tipo di donna modello, perfetta in tutto e per tutto nel suo abito formale e lo chignon di capelli biondi, occhi azzurri.

Mi ricorda una persona... Ma in questo momento non riesco a inquadrare bene chi.

-Vi presento mia figlia-annuncia lei, mentre sento dei tacchi provenire dalle scale.

L'Incantatrice - Fino alla fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora