XXXIII. Risveglio traumatico.

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-Anna, sei rinchiusa qua dentro da giorni. Ti vogliamo bene, rispettiamo le tue scelte, ma hai bisgno di prendere aria fresca. Perchè non esci?- la voce di Alyssa mi giunge soffocata, a causa della porta che ci separa.

Lo sguardo puntato fuori dalla finestra, seduta sulla cassapanca, e i pensieri che volano verso i ricordi dell'ospedale. Sono rimasta rinchiusa in quella stanza asettica, circondata dai miei cari, alzandomi solo per andare in bagno con l'aiuto di un'infermiera, per circa cinque giorni. Dopo aver fatto qualche altra visita e dei controlli alle ossa, mi hanno lasciata tornare a casa.

Ma la cosa si è ripetuta: è da tre giorni che sono rinchiusa dentro la mia stanza da letto, alzandomi solo per mangiare e andare in bango; ma non perchè non posso muovermi, ma perchè non ho voglia di fare qualcosa.

Dopo quel giorno, mi sono sentita estremamente debole sia dal punto di vista fisico, che psicologico. Ho imparato convivere con la sofferenza dell'assenza di Giammarco nella mia vita, ma è dura ancora ammetterlo a voce. Lui non l'ho piu sentito, si è volatilizzato nell'aria, così come Laura, che non mi ha rivolto nemmeno una parola.

Eppure ogni volta che ci penso, mi viene da ridere, perchè inizialmente sono stati talmente sfacciati che si sono adirittura tenuti per mano, davanti a una me incosciente e hanno continuato a farlo anche dopo il mio risveglio, mentre adesso non hanno nemmeno il coraggio di mandare un messaggio per sapere il mio stato di salute.

Alyssa, così come mio padre, sono preoccupati per me costantemente e da quando sono ritornata a casa, stanno cercando di farmi uscire da qui, inutilmente.

-Anna, ci sei?- dice mio padre, distogliendo la mia visuale dal giardino che circonda la villa.

Poggio lo sguardo sulla porta, gli occhi socchiusi come circondati da una patina di sonnolenza. -No.-

Sento Alyssa ridacchiare. -Anna, esci fuori da qui.-

Taccio per qualche secondo, a corto di parole con cui ribattere. Una sua frase però, mi fa rizzare le orecchie. -Altrimenti non potrai conoscere Jordan.-

Sgrano gli occhi, sentendo gli ingranaggi arrugginiti del mio cervello spento da un bel pezzo, mettersi in moto. Me ne sono totalmente dimenticata... Dovrei fare da brava figlia quale sono, una doccia, prepararmi e scendere sotto per accogliere il mio fratellastro, ma non ne ho voglia.

-Posso entrare, almeno?- continua Alyssa, sospirando pesantemente.

-Entra- rispondo, la voce arrocchita e graffiante.

La porta si apre lentamente, facendo sbucare la testa sorridente di Alyssa; sorriso che scompare appena vede la mia faccia. -Dio, ma da quanto è che non ti fai una doccia?-

-Chiama Dio e chiediglielo, io non sono lui.- ribatto, sorridendo debolmente.

Lei ricambia, ridacchiando sottovoce. -La vena comica però non la perderai mai, vero?-

Scuoto la testa in segno di negazione, per poi riportare lo sguardo al di fuori della finestra dalla quale si intravede il grande giardino lievemente innevato. Il cielo scuro, piccoli fiocchi di neve che danzano nell'aria donando un'atmosfera rilassante al mio animo tormentato dei ricordi del passato. Sono stanca, stufa di questa mia vita piena di ostacoli, pugnalate alle spalle e segreti mai rivelati. Ho paura di questo mondo che sembra girarmi contro, al solo scopo di far soffrire le persone che mi stanno accanto: ho perso una madre, il mio migliore amico... Avanti il prossimo, direi se non avessi l'umore a pezzi.

Ciò succede a tutto quello che mi circonda: si distrugge.

-No, non devi mai pensarlo.- fa all'improvviso Alyssa, distogliendomi dai miei pensieri.

Si siede per terra, accanto a me, osservandomi attentamente. -So cosa stai pensando, Anna. Che la vita ti rema contro. Ma non ti devi abbattere, devi prenderla come un test personale... Una sfida per dimostrare che sei più forte di ciò che ti viene posto davanti, di tutte le ingiustizie che hai avuto in questi pochi anni. Siamo ancora giovani, le gioie arriveranno a tempo debito e scoprirai che soffrire alla fin fine è servito a qualcosa. È servito a rafforzare il tuo animo, il tuo corpo e il tuo carattere. Io onestamente non riuscirei ad immaginarmi un'Anna debole, che si piega al volere degli altri finché non si spezza. E sai perché? Perché mi hai dimostrato che essere deboli non serve a nulla, che lasciare che qualcuno che ti infligga pene, non fa altro che aumentare la tua voglia di scomparire. Sei una persona forte; ne hai superate tante, una in più non fa altro che renderti indistruttibile. Non è così?-

Annuisco debolmente, osservando i fiocchi cadere e poggiarsi sul davanzale della finestra. -Mi sento a pezzi.-

Alyssa sospira pesantemente, portando lo sguardo sui vetri appannati delle finestre. -Raccoglierò i pezzi e li rincollerò. So che è difficile da accettare, ma bisogna andare avanti. Persone come Giammarco, come Laura le troverai sempre, il mondo ne è pieno.-

-Hai ragione...- faccio io, sorridendo debolmente. -Ma ci vorrà un po' per assimilare il tutto... Dopotutto era la persona a cui associavo la mia salvezza. Non è una cosa su cui si può passare sopra come se nulla fosse.-

-Ne sono consapevole. Per qualsiasi cosa, io ci sono. Se hai bisogno di qualcuno con cui puoi sfogarti, io sono qui.- dice lei, posando una mano sul mio braccio destro.

Le rivolgo un piccolo sorriso riconoscente, per poi cambiare argomento, dato che le lacrime stanno cominciando a infrangere le dighe che mi sono imposta. -Allora, come ti sembra questo Jordan?-

Alyssa, salta all'in piedi, euforica e con gli occhi che brillando. -È un figo della Madonna, Anna. Si vede che fa parte dell'esercito: palestrato, tono profondo, occhi nocciola, capelli castani, sorridente, simpatico... O Dio, il suo sorriso sembra l'entrata per il paradiso per quanto è bianco! Da sbavarci dietro.-

-Calma, calma. E il barista dove lo hai lasciato?- ribatto, cercando di smorzare i suoi toni decisamente troppo adulatori.

-Chi?- risponde lei, aggrottando le sopracciglia perplessa.

-Non ci credo... E dire che ci sbavava dietro fino a una settimana fa-, sussurro sconsolata, scuotendo la testa-Mia nonna, Alyssa. Il barista è mia nonna...-

Lei mi sguarda perplessa. -Tua nonna è maschio e per di più un barista? Credo di non capire...-

-Jordan ti ha dato talmente alla testa da farti dimenticare Nicholas? Siamo messi bene...-constato io, alzandomi in piedi. Faccio una smorfia quando sento le ossa delle gambe scricchiolare; non mi muovevo da quella sedia da giorni.

-Ah! Il barista del locale... Beh, ci stiamo sentendo.- rivela lei arrossendo.

Le lancio un'occhiata di sottecchi, sentendo la felicità per lei salimi nel petto.

-Prima che organizziate il matrimonio e sfornate una decina di marmocchi a mia insaputa, lui deve avere il mio lascia passare. Altrimenti può tornare da dove è venuto.- minaccio con tono scherzoso.

-Si, Capitano. Ma adesso, mi rincresce disturbare il suo letargo, ci dobbiamo andare a farci belle per un uomo alquanto figo. O vorresti scendere conciata così?-, domanda lei, osservando il mio pigiama, -Anche se effettivamente.. Quella tonnellata di gesso non aiuta... Quando dovrai togliertelo?-

-Un mese... E non insultare il mio fantastico pigiama con gli unicorni!- mi metto sulla difensiva, poggiando il braccio sano intorno al mio busto.

Alyssa mi lancia un'occhiataccia, per poi dirigersi verso l'armadio e spalancarne le ante con un ghigno stampato sul volto. -E adesso, facciamoti resuscitare dal regno dei morti!-

L'Incantatrice - Fino alla fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora