XXXIX. Muro impenetrabile.

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-In realtà...-, comincia a parlare.

Serro i denti, sentendo le orecchie fischiarmi come se qualcuno avesse passato le unghie sulla lavagna. Tutto ciò che esce dalla bocca di mio padre, non prospetta mai nulla di buono.

-C'è una cosa che devi sapere, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtela, perché aspettavo che tu crescessi ancora un po' per metterti al corrente di tutte queste cosa. Una delle persone con cui mi indebitai fu il leader degli "Scorpions", una specie di organizzazione che gestisce le corse clandestine a Miami. I debiti erano talmente alti, che mi minacciarono: se non avessi ripagato il debito entro un mese, dall'esatto giorno in cui me lo dissero, avrebbero preso te e saresti diventata un loro membro. Ma non per correre, credo... Per altri... Scopi, ecco. Stavo uscendo di casa, per andare al casinò della città, quando li ho visti appostati con una Chevrolet davanti casa mia. Erano venuti per prenderti... Non ero riuscito a pagare l'intero debito. Ma li ho convinti a desistere, dicendo che avevi a malapena pochi anni. Non se ne facevano nulla di una bambina.-

Ascolto tutto il suo discorso, impallidendo sempre di più. Finché la mia bocca non si spalanca, e incomincio ad urlargli contro: -Ma che diamine ti è saltato in mente! Hai dato me in cambio di qualche soldo. Tua figlia! Mi hai venduto. E aspetti solo ora a dirmelo? Non... Non ho parole per descrivere come mi sento in questo momento. Sono venuta qu, in cerca di una casa, lo sai. Non sono in cerca di guai, a causa tua.-

-Anna... Io... mi dispiace davvero. Non potevo ribattere, altrimenti avrebbero ammazzato tutta la famiglia e non volevo che ti accadesse qualcosa di brutto-, spiega passando alla sedia accanto a me, lentamente.

-La mia vita era segnata sin dalla mia nascita...-, sussurro posando gli occhi sul pavimento piastrellato, -Io... Non ci posso credere.-

La vista diventa appannata dalle lacrime, che creano una patina lucida su di essi. Mi alzo di scatto, facendo strusciare la sedia con un fastidioso rumore, ed esco dalla stanza senza voltarmi.

Corro per il corridoio, e giù per le scale. Mi fermo un momento, guardando il soggiorno in cui mi trovo come se fosse la prima volta. Miriam è nella stessa posizione di prima, ma di fronte si trovano Ilyà e Jason che poggiano lo sguardo su di me, appena scendo dall'ultimo gradino.

Scoppio in lacrime, chiudendo la mani a coppa sul mio viso, mentre i singulti pretendono di uscire dalla mia bocca, a mala pena contenuti.

Mi sento umiliata, da tutto ciò che mi circonda. Sono sempre stata considerata come un oggetto alle dépendance degli altri, senza un minimo di valore. Mi usavano finché ero utile, poi venivo abbandonata e buttata nel mucchio delle cose inutili e sgradite.

Credo di non meritarmi un simile trattamento, dopo che provo sempre ad accontentare tutti, nel mio piccolo. Non mi sono mai sentita accettata da questa società, per modi di fare e pensare. Non l'ho mai considerata casa mia, perché non la sentivo, e non la sentirò, mai mia.

Sento che la mia esistenza su questo mondo non ha un senso, come se fossi nata per sbaglio. Da un errore.

E scappo, scappo da tutto ciò che mi insegue. Tutto ciò che mi circonda. Voglio stare sola, sola con i miei pensieri...

Non voglio più essere trattata come una pezza usata, dato che credo di valere più di ciò. Però non ho il coraggio di ribellarmi, perché in fondo non sono così forte come voglio far credere. Sono una bambola di cristallo, che deve essere maneggiata con cura, e non sbatacchiata a destra e sinistra. Ho trincerato il mio cuore con una muraglia in cemento armato, per proteggerlo... Ma adesso sta cedendo. Sento i suoi battiti rallentare, finché un giorno, molto presto, cesseranno di risuonare nella cassa toracica.

L'Incantatrice - Fino alla fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora