Mi butto di peso sul letto addossato alla parete e sbuffo, passandomi una mano sul volto. Sarà una lunga notte.
Inutile dire che non ho chiuso quasi per niente occhio durante la notte. Nonostante il letto fosse morbido e accogliente, mi sentivo come se fossi distesa su un letto di spine che penetrano nella mia cane, strappandola violentemente.
Non ho fatto altro che pensare alle parole di Ilyà, e a mio padre. Mi manca, mi manca la sua presenza... anche perché è l'unico genitore rimastomi, perciò non voglio perdere i contatti con lui.
Ci sono rimasta davvero male, quando ho scoperto la verità sui giri clandestini e sulle corse di mia madre e mio zio, che si facevano in quattro per ripagare i debiti che mio padre accumulava giocando. Per come sono fatta non avrei nemmeno preso in considerazione l'idea di perdonarlo, dato che considero le bugie come l'acido nitroso, eppure ci ho pensato molto, e ho deciso di dargli una seconda possibilità.
So che si è pentito, e so anche che io ho i maledettissimo difetto di agire sempre di impulso, a seconda di cosa mi dice il mio cervello al momento. Alcune volte fa comodo, dato che hai la battuta pronta e non ti fai ammutolire, altre invece non serve altro che a peggiorare la situazione. Esattamente come è successo con mia madre.
-Signorina, abbiamo fatto.- La voce del medico mi risveglia dai miei pensieri, facendomi voltare di scatto verso di lui.
È un uomo sulla trentina, dal sorriso talmente appiccicato al volto che mi domando se non gli facciano male gli zigomi per lo sforzo, per quanto naturale possa sembrare. Ha avuto la delicatezza di una ballerina nel togliermi il gesso, e per questo me lo sposerei sul momento.
Odio i medici, e tutto ciò che ha a che fare con loro da quando ho visto mio zio fasciato dalla testa ai piedi con bendaggi, in coma e tubicini attaccati ovunque. Come se fosse colpa dei medici la sua morte...
Annuisco leggermente, ruotando lentamente il polso finalmente libero da quella trappola mortale, che è quasi, dico quasi, peggio dei tacchi stessi.
-Mi raccomando, lo tenga a riposo il più possibile. Non faccia movimenti bruschi, e non vi applichi troppo peso. Aspetti almeno una settimana prima di ritornare alle normalità.- spiega, con i termini semplici che gli avevo gentilmente chiesto di usare, dato che non sono un'esperta di medicina e finirei per combinare qualche cretinata. -Suo padre ha già saldato il conto. Può andare.-
Alzo gli occhi al cielo, ma non ribatto, dato che non ha senso prendersela con questo povero dottore.
Scendo dal lettino sul quale mi ha fatto accomodare, e con un sorriso stampato in volto esco dalla stanza bianca dall'odore penetrante di disinfettante. Nelle sedie appoggiate lungo il muro del corridoio di fronte trovo mio padre, affiancato da Alyssa e Veronica, che lo tiene d'occhio con uno sguardo infuocato. Una patina di imbarazzo aleggia fra di loro.
-Possiamo andare... Veronica, grazie mille per avermi accompagnato. Non eri obbligata a rimanere...- spiego, riferendomi alle occhiatacce che mandava a mio padre, che la fissa con un sopracciglio inarcato.
-Mi faceva piacere sapere che saresti uscita da lì viva.- mi rassicura, sorridendomi clamorosamente. Allargo le braccia, per fargli vedere che sono ancora tutta integra e in risposta ricevo uno sguardo perplesso. -Insomma... io ti avrei tranciato qualche arto, prima di lasciarti andare libera... ma a quanto pare quel dottore era troppo fifone.- ironizza, con finto spirito critico.
-Non ne avresti avuto il coraggio.-
-Probabile. Comunque, adesso devo andare... è già mezzogiorno e ho delle faccende da sbrigare. Ci vediamo domani per... insomma, tu sai cosa.- spiega, lanciando un'occhiata di sottecchi a mio padre che alza gli occhi al cielo.
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L'Incantatrice - Fino alla fine
Action{COMPLETO/IN REVISIONE} Tutto può accadere, come un fulmine a ciel sereno. Trovare ragazze con la passione per le auto, è raro. Trovarne con l'adrenalina che scorre nelle vene quando tiene una Porsche a duecento chilometri orari in autostrada, lo è...