chapter 3

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Durante il tragitto da casa mia a quella di Violeta i pensieri frullano nella mia testa. Sono sfinita, delusa per la discussione avuta con mio padre questa mattina. A ferirmi, è stato l'avermi accusata di essere una bugiarda.
Io che non lo sono mai stata... lui, che viveva da vent'anni sotto lo stesso mio tetto, doveva conoscermi e invece scopro che in realtà non è così, mi si spezza il cuore. A volte i gesti e le parole hanno un peso e lui dovrebbe stare attento a come usarle. Sono triste e amareggiata: ho paura di questa nuova avventura, ma l'ho scelta io e andrò avanti senza fermarmi, nessuno mi farà cambiare idea.

A distogliermi dai miei ricordi tristi è mia sorella:
<<Ehi, ci sei? Siamo arrivate>> mi dice toccandomi una spalla. La guardo per un attimo confusa e frastornata, poi scendo dalla macchina, prendo la mia valigia tremando dalla paura ed entro nel suo piccolo mondo.
Guardo la casa, meravigliata: è piccola, ma molto accogliente.
Qui mi troverò bene? Potrò mai sentirmi parte integrante di questo ambiente non mio? Penso, mentre mi guardo in torno terrorizzata e persa in questo luogo non famigliare.

<<In che paese ci troviamo?>> chiedo incuriosita
<<Siamo a Colorno, venti minuti da Parma.>> Mi risponde lei
<<Perché qui? Scusa la mia domanda, non fraintendermi, sono contenta di stare qui, ma questa casa? Sei in affitto o è tua?>> Le chiedo; che coincidenza: qui abitava la mia migliore amica, quando frequentavo ancora il liceo venivo spesso a trovarla. Ci divertivamo tantissimo a parlare di ragazzi, della scuola, ma soprattutto del nostro futuro. Quelli sì che erano bei tempi, ma ora?
Tutto questo mi manca tremendamente. Ritornare qui mi fa ricordare lei, la mia sorellina, l'unica persona in quella scuola a volermi bene e apprezzare quello che ero io; le voglio un mondo di bene.
I miei pensieri e ricordi si bloccano all'istante, ancora una volta è Violeta a parlarmi e farmi tornare alla realtà.
<<Perché sono comoda per andare sia a trovare mio figlio Nicola, sia a lavoro. Ho un bar tutto mio, lo gestisco da quando me ne sono andata da casa vostra. La casa, invece l'ho ereditata da una signora anziana che è morta qualche settimana fa... Dai, vieni, ti faccio vedere la tua stanza.>> dice cambiando discorso.

Non sapevo che avesse un secondo figlio, ma decido, visto che ha cambiato argomento, di non indagare. Capisco all'istante che lei è una sorpresa continua e chissà quali altre imprevedibilità nasconde.
La seguo per vedere la mia nuova camera. Mi piace molto, anche se è completamente vuota e ci sono solo un letto sgangherato con un misero armadio, ma poco importa.
Ad un certo punto mi guarda negli occhi sono neri e profondi come la notte, quasi mi perdo nella loro profondità. È seria, e mi dice: <<Bene. Starai qui, ma a una condizione: stai fuori dalla mia vita, tu qui sei solo un'ospite, quindi devi farti i fatti tuoi, come io mi farò i miei, chiaro?>>
Senza darmi il tempo di darle una risposta, mi lascia lì sola, triste e abbattuta. Sapevo fosse bipolare, ma così all'improvviso non me lo sarei mai aspettato. Mamma, qualche tempo fa, mi confidò che Violeta aveva problemi di personalità, ma non volli crederci; adesso ne ho la conferma e con lei devo stare molto attenta.

Appoggio la valigia su una sedia, sistemo la roba e prendo il cellulare. Aiuto!
Ho sei messaggi su WhatsApp: tre dalla mia migliore amica Samantha, due da mia madre e uno dal mio ragazzo.
Decido di aprire solamente quelli di Samantha: "Allora a stasera?",
"Passo a prenderti io, va bene?", "Ehi, sorellina ci sei?"
Le rispondo in modo frettoloso: "Ciao sorellona. Sì, sì a stasera, passa a questo indirizzo: via dei soldati numero 10 a Colorno, va bene?"
"Come a Colorno? Dai, stasera mi spiegherai, a più tardi. Ti voglio bene tata."
Mi risponde lei.

Sorrido, io e la mia amica ci chiamiamo così dai tempi della scuola e nulla è cambiato. Non vedo l'ora che sia sera per stare con lei e raccontarle tutto. Decido di non leggere gli altri messaggi, chiamo mamma, il cellulare squilla libero e mi risponde subito.
Dalla voce sento che è tranquilla, è più rilassata e questo mi fa stare bene. Forse, in qualche modo, ha accettato la mia partenza.
Le dico che non sono distante dalla città, che a breve ci vedremo e che sto bene; chiudo la conversazione, vado a farmi la doccia e mi preparo per l'imminente uscita con la mia amica.
Mi viene un'idea, decido di invitare pure Violeta: <<Ehi, Violè, vieni a cena con me e la mia amica?>> le chiedo speranzosa.
Lei mi ascolta per poi far cenno di no: <<Ho un impegno, non posso>> Mi risponde in modo brusco, non ne comprendo il motivo, ma va bene. Mi dispiace,ma non fa niente.

Sono le venti, la mia amica è lì che mi aspetta. Passiamo una bella serata, le racconto del litigio con papà e del fatto che sono da mia sorella. Appoggia la mia decisione sul trasferimento, ma non accetta che io stia con Violeta. Le chiedo il motivo, ma nulla; sa qualcosa, lo sento, ma non me lo vuole dire. Lo dovrò scoprire da sola.

Paghiamo e poi mi riaccompagna a casa; entro piano per non disturbare. Ho paura di scatenare una lite nel caso la svegliassi, ma un urlo mi fa accapponare la pelle, mi paralizzo all'istante, cerco di capire da dove proviene. Dentro di me mi sento paralizzata, ho paura, vorrei scappare da quella casa, ma allo stesso tempo sono bloccata. Le grida che sento sono di mia sorella e provengono dalla sua camera...

Mia sorella VioletaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora